Olio di palma e di soia: stop ai sussidi di Stato in vista?

Perché occorre vigilare sull'iter di approvazione della legge delega che dovrà mettere fuori mercato le “false rinnovabili”

Andrea Poggio
Una piantagione di palme finalizzata alla produzione di olio © migin/iStockPhoto
Andrea Poggio
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La fine degli incentivi per gli oli alimentari, come palma e soia, bruciati nel biodiesel o nelle centrali elettriche potrebbe essere presto decretata per legge, a partire dal 1 gennaio 2023. Nei prossimi giorni anche le nostre Camere potrebbero approvare la legge delega al governo per il recepimento della revisione della direttiva europea sulle fonti rinnovabili. Riforma che ridefinisce la regolamentazione dei biocarburanti ad alto e basso rischio ILUC (Indirect land use change), che provocano cioè un cambiamento indiretto dell’uso del suolo, come l’olio di palma e l’olio di soia.

Un emendamento vuole prolungare incentivi a olio di palma e soia al 2030

Non sarà un passaggio scontato, in queste settimane di incertezze e scontri politici. Nella prima lettura al Senato, infatti  è stato presentato un emendamento da parte del deputato ravennate Alberto Pagani (PD) con l’appoggio dei colleghi dell’opposizione che punta invece a prolungare gli incentivi all’olio di palma e soia sino al 2030. Ma come mai un deputato di Ravenna si schiera contro l’ambiente per continuare bruciare oli alimentari provenienti dalle grandi piantagioni nelle foreste dell’Indonesia, della Malesia e dell’Amazzonia? 

Gli abbiamo scritto per saperlo. Una prima spiegazione viene dal suo collegio elettorale: a Porto Corsino, il porto industriale di Ravenna, si trova una delle principali bioraffinerie di oli vegetali italiane, la Novaol appartenente al gruppo multinazionale Bunge). Stabilimento che produce sia per l’industria alimentare che per biocarburanti, con poche decine di addetti (per l’energia), ma che riceve centinaia di milioni di contributi italiani per «false rinnovabili». 

olio palma
Una scavatrice taglia un albero di palma da olio © Wirachai/iStockPhoto

Gli incentivi alle false rinnovabili ci costano un miliardo di euro l’anno

Incentivi vale la pena di ricordare, pagati dagli automobilisti, a ogni pieno di carburante e dalle famiglie in ogni bolletta elettrica che nel solo 2018 hanno sfiorato il miliardo di euro. Eppure oltre 65mila cittadini italiani firmatari della nostra petizione «Un pieno di palle» su Change, hanno ben compreso come gli oli vegetali siano «false rinnovabili», causa di deforestazione, perdita di biodiversità e sfruttamento dei territori. 

Non si può fare «greenwashing». Lo ha detto l’Antitrust (multando Eni)

Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) a gennaio di quest’anno ha condannato Eni al pagamento di una multa record pari a 5 milioni di euro per pubblicità ingannevole. Proprio perché aveva definito green, rinnovabile e poco inquinante il proprio gasolio «Enidiesel+»  che contiene sino al 15% di olio di palma. 

La prima sentenza di condanna per greenwashing come stabilito dall’Autorità, con grande soddisfazione delle associazioni ricorrenti: Legambiente, Transport&Environment e Movimento difesa del cittadino.

L’olio di palma usato in Europa ha distrutto 25,6 milioni di foreste e la biodiversità

L’esplosione del mercato energetico dell’olio di palma provocato negli ultimi 15 anni dagli usi energetici ha distrutto, secondo i dati della Commissione europea, ben 25,6 milioni di ettari di foreste e torbiere in Indonesia e 7,7 milioni in Malesia. Una estensione pari all’Italia e alla Svizzera. Uno spreco di dimensioni planetarie che porta con sé anche la distruzione della biodiversità.

Insieme all’orango, a cui non a caso Legambiente ha dedicato la campagna #SavePongo, la tigre, il rinoceronte e migliaia di specie animali e vegetali. Oltre che favorire la diffusione di batteri e virus in gran parte sconosciuti, come la pandemia da Covid-19 ci sta ricordando. Senza dimenticare che lo sfruttamento di territori vergini si coniuga con la violazione dei diritti civili, la distruzione di comunità indigene e l’ulteriore impoverimento dei contadini. 

Anche l’olio di soia non può diventare il «nuovo petrolio»

Ma occorre sottolineare che, messo al bando l’olio di palma, per un vuoto legislativo in Europa si prepara lo sfruttamento dell’olio di soia. Che potrebbe dare vita a un nuovo mercato rifugio per gli operatori petroliferi ed energetici che perdono il pelo ma non il vizio. Il loro obiettivo resta  cercare un «nuovo petrolio» vegetale a basso prezzo, nelle piantagioni che sorgono ai bordi delle grandi foreste tropicali. Per poterlo sfruttare, raffinare, trasportare e commerciare. Ricerche internazionali stanno già dimostrando, infatti, che il consumo di soia come biocarburante in Europa comporta i medesimi rischi ambientali e sociali già evidenti per l’olio di palma. 

Attenzione all’iter parlamentare

Per questi motivi è cruciale puntare i riflettori sull’iter parlamentare della nuova legge che dovrà anche definire quali energie possono davvero essere definite rinnovabili e green. Iter che non sarà breve: con questo primo passaggio parlamentare si definiranno le indicazioni delle Camere al governo per scrivere la legge delega. Dopodiché il governo avrà sei mesi per redigere e trasmettere nuovamente alla Camera e al Senato il testo per l’approvazione definitiva. Come noto, per il bicameralismo perfetto in vigore in Italia, se la legge verrà modificata dovrà tornare per l’approvazione definitiva all’altra aula parlamentare. E’ quindi probabile che il testo definitivo vedrà la luce non prima di un anno

A maggior ragione la nostra battaglia di sensibilizzazione e di monitoraggio sull’iter parlamentare continua. E’ davvero molto importante che si introduca in Italia la fine dei sussidi agli usi energetici di tutti gli oli vegetali a partire da quello di palma fino a quello di soia, prima ancora che si sviluppi anche questo mercato nel nostro Paese. Sbagliare oggi è facile, tornare indietro poi, costerà di più.

Andrea Poggio è responsabile mobilità sostenibile e stili di vita presso la segreteria nazionale di Legambiente.