Plastica addio! Ecco le scelte e i materiali per renderla superflua
Imballaggi edibili, black list dei prodotti acquistabili negli enti locali, materiali innovativi dai legumi. La caccia alla soluzione per archiviare i materiali plastici è ben avviata
Fare a meno della plastica si può eccome. In tanti ci riescono già. Grazie a materiali alternativi o alle decisioni politiche di contrasto all’inquinamento e agli sprechi.
Acqua da mangiare, senza bottiglia
Lo sanno ad esempio i ricercatori di Skipping Rock Lab. Questa startup londinese, di cui fanno parte ingegneri dell’Imperial College London e un team del Royal College of Art, potrebbe infatti farne presto un grande business, a partire dal suo primo progetto di packaging ecosostenibile chiamato Ooho. Di più, un packaging edibile e insapore, studiato per contenere l’acqua da bere in appositi globi, decomponibili nell’arco di solo 4-6 settimane.
Per consumare il liquido è sufficiente produrre un piccolo foro nell’involucro e spremerne il contenuto direttamente in bocca, eventualmente mangiando anche il contenitore. Poiché queste speciali sacche trasparenti sono composte di fibre vegetali e – assicurano le pagine Web del progetto – sono facili da colorare e aromatizzare, per renderle più divertenti e appetibili.
https://www.youtube.com/watch?v=424wmHV_JtM
Studiata con l’obiettivo di ridurre gli sprechi e di rendere l’imballaggio completamente biodegradabile, l’invenzione un giorno potrebbe perciò sostituire completamente le bottiglie di plastica. Sempre che Ooho sia resa adatta ad un confezionamento – non in plastica, naturalmente! – che ne consenta il trasporto, e sia compatibile tecnicamente ed econonomicamente con la produzione in formati diversi e grandi numeri. Rispettando inoltre gli standard igienici di legge prescritti per gli alimenti.
Di certo l’idea ha già fatto il giro del mondo dal punto di vista mediatico. E la pagina destinata a sviluppare ulteriormente il progetto grazie ai soldi raccolti col crowdfunding registra oggi oltre 965mila euro di offerte.
Amburgo, la black list del Comune
Già nel 2016, il comune di Amburgo, seconda città più grande della Germania, si dimostrava attento ai temi legati alla diffusione della plastica monouso. Preoccupato di quante emissioni di CO2 e costi di smaltimento rifiuti si associno all’attività svolta negli uffici, tra cialde e bicchierini di caffè, o acqua minerale versata dalle bottigliette.
E così la municipalità tedesca ha emanato un documento (Guide to Green Procurement da oltre 200 pagine e poi una versione inglese sintetica) con le linee guida per i propri funzionari, al fine di orientare verso la sostenibilità ambientale gli acquisti e le pratiche quotidiane.
Nel piano complessivo si fa riferimento a una vera black list – raccontata anche per immagini – di abitudini e oggetti messi al bando. Un divieto di acquistare “determinati prodotti inquinanti o componenti di prodotto” utilizzando denaro comunale, tra cui acqua in bottiglia e birra, piatti e posate in plastica, ma anche prodotti per la pulizia a base di cloro e deodoranti per ambienti.
Il divieto colpisce anche le capsule per le macchinette del caffè da ufficio, le quali, dichiarava Jan Dube, portavoce del dipartimento dell’Ambiente e dell’Energia di Amburgo alla BBC, «non possono essere riciclate facilmente perché sono spesso costituite da una miscela di plastica e alluminio».
La soluzione adottata dai tedeschi non indica proposte alternative, ma il suo approccio locale, attuato su media scala, potrebbe risultare efficace. Magari più di programmi elaborati a livello nazionale. Come le semplici linee guida diffuse in Italia qualche anno fa dall’allora ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, o le iniziative dell’omologo britannico contro l’eccessiva diffusione della plastica monouso.
Caccia al killer perfetto
Intanto, mentre noi ne scriviamo, i laboratori di chimica, biologia, ingegneria di tutto il mondo stanno tentando di individuare chi possa risultare il killer definitivo della plastica. Un materiale innovativo, facile ed economico da produrre, ecocompatibile, capace di sostituirla, eliminando così il problema alla radice.
Ci stavano provando nel 2015 gli americani del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering dell’Università di Harvard, ad esempio, puntando sul chitosano. Sostanza derivata della chitina, abbondante nell’esoscheletro di insetti e crostacei, se unito a una proteina della seta chiamata fibroina il chitosano dà vita allo Shrilk.
A detta dei suoi scopritori questo materiale è forte e trasparente, adatto al packaging e a varie applicazioni, alla produzione con metodi industriali. Non solo. È tanto green che un seme di pianta lasciato al suo interno è in grado di germogliare in pochi giorni.
L’Europa dal 2016 ci sta provando invece con piselli, fagioli e lenticchie attraverso il programma Leguval (Valorisation of legumes co-products and by-products for package application and energy production from biomass). Finanziato dalla Ue, Leguval aggrega i partner dell’industria e della ricerca. Obiettivo: produrre materiali rinnovabili ricavati da sottoprodotti dei legumi. E finora ha portato a qualche esito pratico (film e realizzazione di oggetti complessi) anche in tema di alternative alla plastica.
Pubblicata quest’anno sulla rivista «Science», è arrivata infine dal Wisconsin una proposta intermedia. Il suo intento è di eliminare il petrolio dalle materie prime del PET, cioè il tipo di plastica più diffusa nelle bottiglie, impiegando al suo posto zucchero e pannocchie di mais, con costi di produzione di poco superiori agli attuali (+3%).