Plastiche, il riciclo è un miraggio (e i big del greggio si arricchiscono)
Dal 1950 produzione di plastica su del 19000%. I re del petrolio fanno festa. Ma il riciclo è al palo. L'OCSE: costo ambientale da 13 miliardi di dollari l'anno
Le proposte della Commissione europea per ridurre l’impatto della cosiddetta “Single-Use-Plastic” (SUP) passeranno al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio.Che i tempi saranno brevi non è affatto sicuro. Le pressioni delle lobby delle multinazionali della chimica e della plastica si faranno senz’altro sentire, anche usando i rappresentanti degli Stati dove più forti sono le imprese del settore. Ma intanto ci pensa l’ultimo rapporto dell’OCSE a ricordare come la pervasività della plastica stia diventando un problema non più rinviabile. Per la salute pubblica e del Pianeta.
Produzione di plastica: +19000% in 50 anni
Le materie prime utilizzate nella produzione di materie plastiche rappresentano circa il 4% della produzione mondiale di petrolio e gas. Si è passati dai 2 milioni di tonnellate prodotti negli Anni 50, agli oltre 380 milioni di tonnellate di plastica a livello globale nel 2015, con emissioni di “pari peso”: 400 milioni di tonnellate di gas serra, ogni anno, vengono emesse a causa dell’energia utilizzata nella loro produzione, trasporto e del trattamento finale dei rifiuti.
I dati, snocciolati nel report Improving Markets for Recycled Plastics, fanno molto riflettere: la percentuale di riciclo della plastica negli USA è ferma al 10%, nella Ue arriva al 30% e la media globale è ferma al 15%. Per di più, in molti paesi in via di sviluppo, la raccolta e il conferimento in discarica dei rifiuti, sono ancora prevalenti. Fattori che rendono drammatico il quadro.
Riciclo fermo al palo
I numeri ci dicono che tra il 1994 e il 2014, le percentuali di riciclo della plastica sono aumentati, globalmente, solo dello 0,7% all’anno. Se si continua allo stesso ritmo degli ultimi 20 anni, la percentuale complessiva del riciclo per le materie plastiche sarà del 44% entro il 2050. Con la stessa logica, il tasso di incenerimento globale dei rifiuti plastici sarà del 50% entro il 2050, lasciando il 6% annuo smaltito in discarica o acqua.
Sarebbe a dire – stando ai calcoli dell’UNEP, il programma ambientale delle Nazioni Unite – oltre 12 milioni di tonnellate dispersi impropriamente nell’ambiente. Questo perché il packaging di consumo, soprattutto legato all’industria alimentare, non è diminuito, ma anzi tende ad aumentare.
“…Ai ritmi attuali nel 2050 il tasso di riciclo della plastica sarà appena del 44% e la metà dei rifiuti saranno ancora inceneriti. E 12 milioni di tonnellate saranno disperse nell’ambiente…”
La proliferazione delle materie plastiche, nei mari e negli oceani, il marine litter, è così evidente da essere anche al centro delle politiche del G7 sotto la presidenza canadese, per via delle ripercussioni ormai assodate, sulla salute degli ecosistemi, sulla qualità dell’ambiente costiero e, di conseguenza, sulla redditività delle industrie del turismo e della pesca.
Il costo di queste spese è stato stimato dall’OCSE in 13 miliardi di dollari all’anno. Così come “vi sono alcune prove del fatto che l’ingestione di materie plastiche da parte dei pesci e la possibile migrazione dei loro additivi chimici nella catena alimentare potrebbero comportare rischi per la salute umana”.
Il club dei 10 inquinatori dietro i polimeri plastici
Ed è proprio cercando le soluzioni per una migliore raccolta e riciclo delle materie plastiche, che l’OCSE mette alla luce le contraddizioni del sistema. La produzione di materie plastiche primarie, che raffina il petrolio greggio, fino ai monomeri che vengono poi polimerizzati e miscelati, è dominata da una manciata di multinazionali dai fatturati miliardari. Tra loro: BASF (USD 63,7 miliardi); ENI (61,6 miliardi di USD), Dow Chemical (49 miliardi di dollari); Lyondell Basell (33 miliardi di dollari); Exxon Mobil (236 miliardi di dollari); SABIC (35,4 miliardi di dollari); INEOS (40 miliardi di dollari); LG Chem (USD 16,8 miliardi); Chevron Phillips (13,4 miliardi di dollari); e Lanxess (7,9 miliardi di dollari).
La filiera del riciclo piccola e frammentata
Tutto questo mentre il settore della produzione dei manufatti e del riciclo delle materie plastiche è molto più piccolo e frammentato rispetto all’industria primaria. Solo in Europa, secondo i dati di Plastic Consult e Plastic Europe, ci sono oltre 50mila aziende con un volume di affari di 260 miliardi di euro l’anno, oltre 1 milione e 600mila addetti e una produzione di 50 milioni di tonnellate di manufatti in plastica. Senza dimenticare che parte del mercato globale è stato finora concentrato in alcuni Paesi, come la Cina che ha rappresentato circa due terzi delle importazioni di rifiuti di plastica nell’ultimo decennio, fino al blocco di gennaio 2018.
Fatti che si sono tradotti in uno svantaggio significativo in termini di economie di scala e capacità di assorbire gli shock del mercato, come il recente crollo dei prezzi del petrolio. Tanto che, sottolinea l’OCSE, il prezzo delle materie plastiche riciclate è molto più elevato dei costi di raccolta della plastica.
Rimangono poi le sfide ambientali anche nei processi di riciclo: dalla presenza di additivi pericolosi, ai bassi standard ambientali nelle industrie di smaltimento in alcune parti del mondo e la competizione tra il riciclo e recupero energetico dai rifiuti mandati ad incenerimento, che in questo quadro, potrebbe essere individuato come il male minore.
Ma, sottolinea il Comitato per la politica ambientale dell’OCSE, la transizione verso un’economia circolare è una priorità. La direzione è quella della prevenzione della produzione di rifiuti, la sostituzione con materiali biodegradabili, la progettazione di plastiche più facilmente riciclabili e con un fine del ciclo di vita certo. L’innovazione tecnologica, già sollevata dal protocollo Ellen MacArthur Global Plastics è l’unica strada per affrontare ora gli ostacoli tecnici ad un autentico riciclo post-consumo. Che è ancora un miraggio.