Nel Pnrr di Draghi manca il coraggio di cambiare

Nel Piano di ripresa e resilienza (PNRR) “competizione”, “concorrenza” e “impresa” ricorrono 257 volte: il doppio di “lavoro”. “Diseguaglianze” 7 volte. Chi vuol intendere, intenda

Giulio Marcon
Nel PNRR di Mario Draghi mancano gli interventi per un vero cambiamento, anche in ambito ambientale © NirutiStock/iStockPhoto
Giulio Marcon
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Incominciamo dalle parole. Nel Pnrr di Draghi la parola “concorrenza” compare 42 volte, “competizione” 79, mentre “disuguaglianze” 7 e “diritti” 18. E già questo ci dice qualcosa. Se mettiamo insieme “competizione”, “concorrenza” e “impresa” (257), hanno più del doppio di citazioni (378) di quelle del “lavoro” (179). Che pure sta sulla bocca di tutti come la cosa più importante. Ora, non si tratta di mettersi a fare il campionato delle citazioni, ma l’enfasi sulle parole ha sempre qualcosa a che fare con il senso di un discorso, il suo indirizzo, le finalità cui soggiace. Il lessico ha la sua importanza. Così, nel piano di Draghi, le disuguaglianze scolorano nelle pari opportunità, i diritti  nell’accessibilità ai servizi mentre la ricerca scientifica acquista la sua importanza se va verso l’impresa (e non per esempio verso il benessere dei cittadini). 

Montecitorio Parlamento PNRR
Il 25 aprile 2021 il Governo ha trasmesso al Parlamento il testo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Si inserisce all’interno del programma Next Generation EU, il pacchetto da 750 miliardi di euro concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica © MasterLu/iStockPhoto

Alcune riforme importanti, nessuna per un vero cambiamento sociale

L’impianto del Pnrr di Draghi è sostanzialmente tecnocratico e liberista, pur contenendo diverse cose importanti: le misure per la transizione ecologica, quelle per la medicina territoriale, per l’inclusione sociale e la scuola e altro ancora. Ci sono alcune riforme previste (nel segno della sacrosanta efficienza del sistema), ma non quelle che potrebbero dare il senso di un cambiamento sociale e più giusto del Paese: la riforma del fisco (che sta nel calderone generico delle “varie ed eventuali”), del mercato del lavoro (invertendo la rotta del precariato verso i diritti), della sanità pubblica ricostruendo le basi del Servizio sanitario nazionale, dell’introduzione dei “Livelli essenziali di assistenza”, già previsti da 20 anni e mai realizzati. Non c’è il coraggio di dire qualche parola in più sulla prospettiva e gli strumenti dell’intervento pubblico in economia. Nel piano manca la politica industriale (altra riforma che non c’è): non sono evidenziate le sedi, gli strumenti, i poteri di indirizzo, di stimolo e di monitoraggio delle scelte per il nostro sistema produttivo.

Soldi alle imprese, non al lavoro. Disuguaglianze assenti

Le imprese continuano ad essere le più importanti beneficiarie dei fondi pubblici (come è stato nel 2020 con i vari decreti d’emergenza): quasi 50 miliardi di euro del piano, mentre alle politiche per il lavoro vanno solo 6,6 miliardi.

Di disuguaglianze non si parla e, soprattutto, manca una strategia su come affrontarle: il discorso è sempre lo stesso, con la crescita si risolverà tutto. Ricetta falsa: non è così e non è stato così in questi anni. Sulle disuguaglianze sanitarie si dice poco o niente su come affrontarle (non si affronta il tema della divaricazione dei sistemi sanitari regionali) e così quasi nulla (briciole) sul digital divide che incombe su gran parte del Paese.

I dubbi sui temi ambientali nel Pnrr

Per l’ambiente le cose potrebbero andare meglio, certamente. Anche se le associazioni ambientaliste hanno espresso già le loro critiche. Ma ci si consenta qualche dubbio sul rapporto costi-benefici di un provvedimento, come quello del bonus 110%, su cui anche l’UpB (l’Ufficio parlamentare di bilancio) ha sollevato qualche dubbio. Un provvedimento (che implica tante risorse), di cui non usufruiscono né i poveri né i ceti medio-bassi e il cui effetto sull’abbattimento delle emissioni è molto sovrastimato. Mentre lo spazio per incentivi fiscali sull’ecoefficienza è molto più ampio e molto più diffuso.

Scompaiono quasi del tutto gli incentivi per la rigenerazione energetica degli edifici pubblici e rimangono solo quelli per i privati. Tutta questa enfasi per l’investimento sull’idrogeno (più di 3 miliardi) suscita qualche interrogativo, anche perchè è un vettore energetico, più che una rinnovabile. E, soprattutto, un interrogativo: se tra le varie disposizioni non si nasconda anche l’aiuto dello sviluppo dell’idrogeno blu (cioè dal gas), su cui sta puntando l’ENI.

Inoltre, non ci sono impegni per il superamento dei Sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui usufruiscono in gran parte le imprese. Ulteriori semplificazioni vengono previste per la procedura VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) e codice appalti: più che meno burocrazia questo significa più deregulation. Qualcosa di cui sarà felice il ministro Cingolani, ex responsabile dell’innovazione per Leonardo: aumentano enormente i fondi (quasi un miliardo di euro) per le infrastrutture satellitari. Ne sarà contento l’ad dell’azienda Profumo.

Questione di governance: chi monitora il Pnrr?

Molti dubbi anche sulla governance (sulla cabina di regia si rimanda ad un successivo provvedimento) e sul monitoraggio previsto per il piano. A tale riguardo colpisce che tutto si riduca -per il monitoraggio- all’uso di software più o meno sofisticati per valutare lo stato di avanzamento e la rispondenza agli obiettivi fissati. Prevale, in questa deriva tecnocratica, il modello McKinsey con matrici, indicatori, ecc. E scompare completamente la dinamica della componente sociale, partecipativa e democratica della valutazione delle scelte fatte. D’altra parte è la stessa impostazione che si è seguita anche nella fase preparatoria del piano. 

Si doveva fare diversamente. Un piano con molte cose utili (ma anche diverse sbagliate) in una cornice liberista, sempre la stessa, sbagliata e fallimentare. Senza il coraggio di affrontare i nodi di una economia diversa fondata sul cambiamento radicale del modello di sviluppo che ci sta portando alla rovina. Senza mai metterlo in discussione: nemmeno nel piano di Draghi.

Questo articolo è stato pubblicato da Sbilanciamoci