L’incredibile storia del medico-finanziere che potrebbe chiuderti i rubinetti dell’acqua
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Michael Burry è un medico americano, classe 1971. Si fa i capelli all’ipermarket, o li fa tagliare dal giardiniere. E gira per l’ufficio scalzo. Ma il motivo per cui è celebre, ovviamente, è un altro. Tra il 2000 e il 2008 si è dedicato alla finanza. Grazie ad una piccola eredità e a dei prestiti ricevuti dalla sua famiglia, vent’anni fa lanciò un fondo. Lo chiamò Scion Capital. E riuscì da subito a guadagnare cifre importanti. Tanto che dal 2005 Michael Burry scelse di tentare il grande salto. Il medico-finanziere aveva fiutato l’affare. Di più: aveva scoperto una falla. Gigantesca. Quella dei prestiti ad alto rischio concessi a milioni di cittadini americani.
Grazie a un’accurata analisi dei prestiti ipotecari, Burry riuscì infatti a prevedere il crollo del sistema del 2007, provocato proprio dall’esplosione della bolla immobiliare negli Stati Uniti. Quei prestiti concessi a milioni di americani erano infatti mutui ipotecari. Per comprare case che quelle persone, in realtà, non si potevano permettere. Ma per le banche il primo obiettivo non era la stabilità del mercato. Era l’aumento dei volumi, la massimizzazione dei profitti, il segno + sul bilancio trimestrale.
Michael Burry intuì tutto in anticipo. Lui, con pochissimi altri, capì che il meccanismo non poteva tenere. Il gigante dai piedi d’argilla che rispondeva al nome di mercato immobiliare americano sarebbe crollato. Non sapeva quando, ma sapeva che sarebbe successo. Era solo questione di tempo.
La finanza che guadagna dai crolli
Grazie alla sua scommessa, Burry riuscì a centrare profitti enormi. Con vendite allo scoperto e coperture concesse alla sua società dal colosso bancario Goldman Sachs. La sua storia è diventata un libro, scritto da Michael Lewis, e poi un film, «La grande scommessa», di Adam McKay.
Passiamo alle cifre. Burry riuscì a intascare 100 milioni di dollari personalmente e a generare profitti per gli investitori pari a 700 milioni.
Ma lo stesso astuto, spericolato e fortunato manager finanziario, dopo il 2010, ha deciso di lanciarsi in un altro tentativo. Un’altra intuizione. Un’altra scommessa da vincere, forse. Stavolta nel mirino non c’è più il mercato dei mutui, ma quello di un bene comune preziosissimo. Il più prezioso in assoluto: l’acqua.
Se l’acqua si trova anche in Borsa
Sono passati dieci anni da allora. E il mondo della finanza sembra stia nuovamente premiando Burry. Il Chicago Mercantile Exchange e il Nasdaq hanno lanciato a fine 2020 dei futures sull’acqua della California. I futures sono un particolare tipo di derivato, contratti a termine che permettono di acquistare un prodotto ad un prezzo prefissato, in un periodo differito nel tempo
Così, per la prima volta l’acqua, una risorsa naturale fondamentale per la vita, si trasforma in un asset finanziario, quotato in Borsa. Esattamente come già capitato al petrolio, al grano o all’oro.
Teoricamente, l’obiettivo è di garantire alle aziende che fanno un largo consumo di risorse idriche di gestire il loro bilancio, assicurandosi un prezzo di acquisto. Cosa che eviterebbe possibili fluttuazioni dei prezzi, tenendo sotto controllo i costi. Inoltre, secondo gli operatori di Borsa, i futures sull’acqua dovrebbero consentire di monitorare la disponibilità della materia prima in California. Il tutto in un mercato il cui valore è stimato nello Stato federale americano a 1,1 miliardi di dollari.
Tecnicamente, i futures saranno legati al Nasdaq Veles California Water Index. Indice nato nel 2018 e calcolato sulla base degli acquisti di acqua effettuati ogni settimana. Il prezzo è espresso in dollari per 1,2 milioni di litri.
Il pericolo della quotazione dell’acqua in Borsa
Il grande rischio è che il valore possa essere oggetto di speculazioni, esattamente come accade per numerose altre materie prime. Basti pensare che l’indice è attualmente a circa 500 dollari, in netto calo rispetto al picco massimo registrato in passato, pari a 704 dollari.
Nella primavera del 2020, infatti, il valore è triplicato, a causa di un mese di febbraio con pochissime precipitazioni. In uno Stato che usa il 40% dell’acqua per irrigare 3,6 milioni di ettari di campi coltivati, variazioni così importanti possono, in effetti, essere difficili da gestire.
Il rischio della quotazione in Borsa, dunque, è che, in caso di spinte speculative, le oscillazioni possano diventare ancor più ampie. Perfino sul principale tra i beni essenziali per l’intera umanità.
Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha lanciato a gennaio scorso un appello e una raccolta firme per chiedere al governo italiano di prendere ufficialmente posizione contro la quotazione in Borsa di questa importante risorsa.
Anche le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione. Secondo il Relatore Speciale sul diritto all’acqua Pedro Arrojo-Agudo, non si può assegnare un prezzo all’acqua come si fa con altri beni. L’acqua appartiene infatti a tutti ed è un bene pubblico. È strettamente legata alla vita e alla sussistenza, ed è una componente essenziale della salute pubblica. L’acqua, inoltre, è minacciata dall’aumento della popolazione e dall’inquinamento. E la crisi climatica aggrava il quadro, già preoccupante.<
Chi la spunterà, dunque, la necessità di tutelare un bene primario per la vita sulla Terra, o l’intuito speculativo del medico-finanziere Michael Burry?