(Non) tutti a tavola: i nuovi dati sulla povertà alimentare di ActionAid

ActionAid fa sapere che in Italia la povertà alimentare è peggiorata nel 2023. Anche per il ridimensionamento degli ammortizzatori sociali

Il report di ActionAid raccoglie i dati sulla povertà alimentare in Italia © Sheila Alonso/iStockphoto

Il popolo ha fame, e non per modo di dire: i dati sulla povertà alimentare dell’ultimo report di ActionAid ci parlano di un Paese nel quale sempre più persone hanno difficoltà ad accedere a un pasto completo almeno ogni due giorni. Dove andare a mangiare una pizza in compagnia, almeno una volta al mese, è un lusso per pochi.

Il problema però, come dichiara Roberto Sensi, policy advisor e curatore del rapporto per ActionAid, non sono solo i bisogni materiali. «La povertà alimentare come fenomeno è misurata male. Si tratta di una realtà multidimensionale. C’è un livello immateriale. Aspetti culturali, emozionali e relazionali come la libertà di scelta, lo stigma non sono considerati nella misurazione, ma sono egualmente incidenti».

La povertà alimentare tra il 2019 e il 2023 in Europa e in Italia

Nel quinquennio 2019-2023 in Europa c’è stata una variazione significativa della povertà alimentare. Nel 2019 la deprivazione materiale riguardava il 6,8% della popolazione comunitaria; quella sociale il 7,9. La pandemia ha scompaginato il quadro, portando la povertà alimentare all’8,1% e abbassando quella sociale al 7,6. La ripresa post pandemica ha segnato il calo di entrambi i tassi: al 7,3% la deprivazione materiale, al 6,9 quella sociale. Ma la situazione è tornata immediatamente critica: già dal 2022 la povertà alimentare materiale colpiva di nuovo l’8,3% della popolazione, quella sociale il 7,1. Il trend negativo si è confermato nel 2023, raggiungendo rispettivamente il 9,5 e il 7,8%.

Il fenomeno ha seguito lo stesso andamento in Italia. La deprivazione alimentare materiale tra il 2019 e il 2023 è scesa dal 9,9% al 7,5% della popolazione: circa 4,4 milioni di persone. Anche la deprivazione sociale ha registrato un calo di circa due punti: dal 6,9% al 4,8%: 2,4 milioni di cittadini.

Il ruolo degli ammortizzatori sociali

Nel 2019 la povertà alimentare riguardava il 14,1% della popolazione con più di 16 anni. Nel 2022 era calata al 10,5%. Nell’arco di tre anni si è passati da 7,3 a 5,3 milioni di persone. Una parte consistente, circa 3,8 milioni, non riusciva ad accedere a un pasto completo ogni due giorni. Per 2,4 milioni di persone invece era impossibile accedere a un’occasione sociale legata al cibo almeno una volta al mese. Un terzo della popolazione coinvolta (900mila persone) viveva entrambe le condizioni.

A contribuire al miglioramento, oltre all’utilizzo dei risparmi accumulati nel 2020, sono stati i diversi ammortizzatori sociali. Il reddito di cittadinanza in primis, le misure di sostegno durante e dopo la pandemia a seguire. A conferma del dato, a partire dal 2023 i numeri sono peggiorati. 4,9 milioni le persone in deprivazione alimentare materiale, l’8,4% della popolazione; 2,9 milioni quelle in deprivazione sociale, il 5,8%. «La correlazione – commenta Sensi – non è diretta, ma il fatto che non ci sia più il reddito di cittadinanza impatta in maniera significativa sull’accesso al cibo delle persone in vulnerabilità. Il cibo è una delle prime spese colpite nei bilanci familiari, soprattutto per chi non ha accesso a reti di protezione sociale».

Stranieri, con bassa istruzione, in affitto, con tanti figli o un solo genitore: i soggetti più a rischio

«Dalle statistiche emerge che la povertà alimentare non è un fenomeno relegato agli indigenti. Basti pensare che, tra le persone che vivono in condizione di povertà alimentare o si sentono impoverite, sei su dieci per l’Istat non risultano in povertà assoluta né relativa», racconta Sensi.

I tassi più elevati sono stati individuati tra la popolazione con cittadinanza straniera, soprattutto se provenienti da Paesi extraeuropei. Se per gli italiani il tasso di povertà alimentare è del 9,6%, per i cittadini provenienti da altri Paesi si attesta al 23,5%. Anche il livello di istruzione è un elemento discriminante: non ha accesso completo e sano al cibo il 15,1% delle persone senza un diploma, l’8% dei diplomati e il 4,6% dei laureati. Altro elemento rilevante sono le spese per l’abitazione: la deprivazione alimentare infatti riguarda di più gli affittuari (20,2%) rispetto ai proprietari (8,3%).

Come influisce la composizione familiare? Risultano più colpiti i nuclei numerosi o monogenitoriali. In povertà alimentare il 16% delle famiglie con tre o più figli; il 13,9 di quelle con un solo genitore. Disoccupazione e problemi di salute sono un ennesimo fattore incidente: ha problemi ad accedere al cibo il 27,7% di chi non ha un lavoro; il 26,6% di chi non gode di buona salute.

Le regioni con la maggiore incidenza della povertà alimentare

Le regioni in cui la povertà alimentare ha inciso di più nel 2022 sono quelle del Sud e le isole. Ad aprire la classifica la punta dello Stivale: in Calabria ha difficoltà ad accedere al cibo il 25,1% della popolazione. Al secondo posto la Campania, con il 21%, seguita dal Molise a quota 16,4. I tutti e tre i casi, la media nazionale del 10,5% è ampiamente superata. In Calabria il peggioramento dal 2019 al 2022 è di più di otto punti percentuali. Migliora la situazione in Sicilia e in Campania, dove nello stesso arco di tempo si sono registrate flessioni rispettivamente del 14 e del 10%. Le altre regioni in cui l’incidenza è elevata sono il Lazio (14,4%) e la Puglia (13,8%).

In particolare per il contesto metropolitano di Roma la situazione non migliora. E questo avviene, come spiega Davide Marino, responsabile scientifico dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare di Roma Capitale, «sia perché gli indicatori dell’insicurezza percepita si mantengono costanti, sia perché l’impatto dell’inflazione riduce il potere d’acquisto delle famiglie che rinunciano spesso a alimenti di qualità. Un riflesso, anche se non è possibile stabilire dei nessi di causa effetto specifici, è dato dall’aumento della malnutrizione dei bambini e degli adulti, soprattutto in termini di incidenza dell’obesità».

Meglio al Nord, ma in Piemonte e Valle d’Aosta cresce la deprivazione alimentare

Rispetto al 2019 l’Abruzzo segna un lieve miglioramento con un tasso di deprivazione alimentare del 12,6% nel 2022. Va meglio nelle regioni del Nord: 1,3% il tasso di deprivazione di Bolzano; 4,6% quello di Trento. Ha difficoltà di accesso al cibo il 5,5% della popolazione della Lombardia e il 6,9% di quella del Friuli-Venezia Giulia: in entrambi i casi gli ultimi anni hanno visto un miglioramento sostanziale delle condizioni dei residenti.

Al 9,4% il tasso di povertà alimentare in Piemonte, al 10 quello in Valle d’Aosta. Entrambe le regioni, in controtendenza con l’andamento nazionale, tra il 2019 e il 2022 hanno registrato una crescita dell’indice di deprivazione alimentare materiale e sociale.

Non abbiamo ancora dati sufficienti per elaborare un quadro che racconti la deprivazione totale per il 2023, ma i dati su quella materiale e quella sociale ci suggeriscono una situazione di complessivo peggioramento. Condizione in linea con quella della situazione economica delle famiglie, colpite dall’aumento del costo della vita dovuto all’inflazione. A questo si aggiunge la progressiva restrizione del numero di beneficiari del reddito di cittadinanza, definitivamente abolito nel corso del 2024 per essere sostituito dall’assegno di inclusione e dal supporto per la formazione e il lavoro.

Deprivazione, rischio di povertà e difficoltà percepite

Una famiglia è a rischio di povertà quando i redditi prodotti al suo interno sono al di sotto del 60% della mediana nazionale. Il fenomeno può essere associato alla povertà alimentare, ma non le è sovrapponibile. Nel 2023 sei persone su 10 erano in deprivazione alimentare pur avendo redditi superiori al 60% della mediana nazionale. Il fenomeno è valido anche sulla serie storica 2019-2022.

Per avere una visione più chiara occorre aggiungere a questi dati una stima soggettiva, elaborata a partire dalla percezione delle famiglie di come gestiscono le spese nel corso di un mese. Nel 2022 il 22,3% delle famiglie italiane (13 milioni di cittadini) dichiarava di arrivare a fine mese con difficoltà. All’interno di questa fascia di popolazione, la deprivazione alimentare arriva al 32,5%.

A incidere sul dato c’è sì la restrizione dei criteri di accesso agli ammortizzatori sociali, ma anche l’insufficienza costitutiva di quelli a disposizione della cittadinanza. Come gli aiuti del Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD). Come mostrato da Sensi, il limite è innanzitutto di approccio: si tratta di risposte emergenziali e pensate per rispondere a indigenze gravi, ma non sono gli unici ambiti colpiti. «Sono un esempio della mancanza di un intervento organico e strutturato di sostegno al reddito. Pensiamo all’inflazione: è un fenomeno per cui, oltre a garantire accesso a cibo di qualità, servirebbe invece contenere il rialzo dei prezzi».

Allargare la visuale sull’insicurezza alimentare

Secondo Davide Marino, «se allarghiamo la visuale sul tema dell’insicurezza alimentare, vediamo che dipende anche da questioni culturali e dallo stile di vita che conduciamo, con tempi sempre più compressi in cui la cucina ha sempre meno spazio. Questo ci riporta da un lato al tema dell’educazione alimentare e dall’altro al tema dei cosiddetti food environment, ossia il tipo di sistema dove noi possiamo acquistare e consumare cibo, che sempre più spesso ci orienta verso prodotti di quarta e quinta gamma, ultra processati, o sul delivery».

«Tutte le scelte impattano sulla salute e sulla dieta» commenta il docente. Sul piano istituzionale, spiega, le misure messe in campo sono «talvolta imbarazzanti»: il reddito alimentare, specifica, non è affatto un reddito ma una mera distribuzione di aiuti (pacchi) che non impatta realmente sulla povertà alimentare, innanzitutto perché è una misura sperimentale. «Lo stesso vale per le varie carte che hanno un ammontare davvero esiguo, e per le misure di contenimento della povertà (come la sostituzione del reddito di cittadinanza con l’assegno di inclusione), che hanno causato un sensibile restringimento della fascia dei beneficiari». Tutti questi provvedimenti, spiega il ricercatore, riducono il sostegno a chi è in difficoltà, proprio in questa fase di numeri di povertà e insicurezza alimentare mai visti prima, anche a causa dell’inflazione.

Come cambia la spesa alimentare delle famiglie

Negli ultimi anni è aumentata la spesa alimentare da parte delle famiglie ma, a causa dell’inflazione, i volumi si sono considerevolmente ridotti. Nel 2022 la spesa mensile di una famiglia media era di 2.625 euro di cui 482 (il 18,4%) era destinato a beni alimentari. Appena un anno dopo, nel 2023, la spesa ammontava a 2.728 euro di cui 525 (il 19,3%) dedicati al cibo. I prezzi dei consumi alimentari sono aumentati del 9,3% nel 2022 e del 10,2% nel 2023. Le famiglie hanno speso rispettivamente +3,3% nel 2022 e +9% nel 2023.

Il 35,3% delle famiglie nel corso del 2022 riteneva le proprie risorse insufficienti; il 23,4% dichiarava un impoverimento rispetto all’anno precedente. Per rispondere all’aumento dei prezzi, nel 30% dei casi hanno ridotto la quantità e la qualità del cibo e rinunciato a bevande, beni e servizi per l’igiene personale. Il 50% delle famiglie ha annoverato tra le rinunce anche abbigliamento, calzature e vacanze.

L’insicurezza alimentare è (anche) un costo sanitario

L’insicurezza alimentare ha anche una serie di conseguenze sanitarie, visto che è tra le cause di malattie croniche non trasmissibili come obesità, diabete, sindrome metabolica, displipidemia, malattie cardiovascolari e alcuni tumori. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, i noncommunicable diseases (NCDs) sono all’origine del 71% dei decessi che si verificano ogni anno, la principale causa di morte (93%) nei Paesi ad alto e medio reddito.

Quanto pesa tutto questo sulla sanità pubblica in termini di costi? E quanto costerebbe invece far mangiare tutti in maniera sana? Non esistono dati precisi a nostra disposizione ma, come ha spiegato Marino, sappiamo che «una dieta sana ha costi economici comparabili, costi ambientali molto minori e anche un minore impatto in termini di salute» rispetto all’attuale dieta della media della popolazione italiana. Come ha spiegato il ricercatore, seguire una dieta virtuosa comporterebbe un risparmio di 741 euro l’anno pro capite. Questo abbasserebbe del 21% l’impatto sui costi sanitari relativi alle malattie cardiovascolari.

Passare da un approccio di filiera a uno di sistema

Messi in fila dati e considerazioni, appare come il fenomeno della povertà alimentare sia ricco di sfaccettature. Una realtà complessa, che richiede risposte altrettanto complesse.

«Quando parliamo di cibo e di quella che riteniamo una dieta sana – spiega Sensi – ci sono diversi aspetti da tenere in considerazione. La quantità e la qualità di cibo, ma anche gli aspetti relazionali, le motivazioni che spingono a seguire un determinato tipo di alimentazione piuttosto che un altro. Il punto non è solo il paniere di aiuti, o la mensa o l’emporio alimentare. Dovremmo passare da un approccio di filiera a uno di sistema: non rispondere solo a un bisogno, ma inquadrarlo all’interno della sua multidimensionalità. Ci sono tante persone in povertà alimentare che non hanno bisogno di una risposta materiale».

Le evidenze riportate da ActionAid raccontano di un Paese in cui la povertà alimentare colpisce il benessere delle persone e viceversa, suggerisce Sensi, «il cibo può essere una chiave d’accesso, un modo per avvicinarsi a chi è in difficoltà, un mezzo per una presa in carico complessiva, per costruire una risposta all’esclusione sociale».