La quarta rivoluzione industriale del calcio
Ogni settimana il commento di Luca Pisapia sugli intrecci tra finanza e calcio
Fumata bianca. Dopo mesi di trattative i diritti tv per la Serie A per il triennio 2021-24 sono stati assegnati a Dazn che aveva fatto l’offerta migliore (840 milioni) rispetto a Sky (750, e diversi contenziosi aperti con la Lega e con gli spettatori, per il campionato interrotto dello scorso anno). È una rivoluzione, per diversi motivi.
Primo di tutti perché finisce il monopolio di Sky e di un tipo di racconto che potremmo chiamare caressismo: variante pallonara del renzismo, altrettanto egotica ed antipatica. Non è detto che Dazn farà di meglio, però. In seconda battuta Dazn -di proprietà dell’ucraino Leonard Blavatnik, che fece i suoi primi miliardi intuendo il passaggio alla rete della distribuzione musicale e ora potrebbe fare lo stesso col pallone – non arriverà tramite decoder satellitare, ma proprio grazie a internet. L’Italia è però uno dei Paesi più arretrati d’Europa per diffusione della banda larga. Basterà il fatto che dietro Dazn c’è un colosso delle telecomunicazioni come Tim, talmente presente da essersi intestata le clausole in caso di mancati pagamenti di Dazn alla Lega? Va detto che nel Paese va avanti da anni la battaglia proprio tra Tim e Open Fiber (società di Cassa Depositi e Prestiti) per la fibra ottica, può essere che il calcio serva a dare una svolta. Ma per adesso siamo indietro, molto indietro.
Da ultimo è possibile aspettarsi una rivoluzione anche nel gioco, e non è uno scherzo. Da sempre i modi di produzione e trasmissione delle immagini influenzano la messa in scena delle immagini stesse. Per questo si può parlare oggi di quarta rivoluzione industriale del calcio. La prima fu agli albori, quando apparve il pubblico allo stadio e impose al gioco un agonismo proletario, in contrasto con l’eleganza aristocratica dei primi club inglesi, che portò al professionismo e altre riforme nelle regole. La seconda fu lo sbarco sui media, giornali, riviste, radio, che impose il ruolo della star, dell’eroe che trascina la narrativa. La terza fu il calcio televisivo degli anni Novanta, non più una sola partita allo stadio ma tutte le partite sottolineate dalla ripetizione delle azioni spettacolari, degli highlights, con il tifoso che diventa spettatore e il suo sguardo è forzato ad abbandonare il campo largo e a restringersi sul close up: il gesto singolo, lo sponsor, il logo. La quarta sarà quella della rete, e quindi della fruizione seriale delle immagini. Non è difficile immaginare nei prossimi anni una dilatazione delle partite in calendario su più giorni e più ore, sul modello degli sport americani liberi dal palinsesto tv, e anche un tempo effettivo di fruizione della partita in 60 minuti, come una serie tv.