Quotare l’arte in Borsa: perché non è un buon segno

Per la prima volta in Europa, anche le opere d'arte vengono quotate in Borsa. Una dimostrazione di quanto la finanza sia ormai pervasiva

Alcune opere d'arte di Francis Bacon sono state le prime a essere quotate in Borsa © Fundación Bancaja/Flickr

I capolavori dell’arte come titoli finanziari qualsiasi. Se negli Stati Uniti era già stato fatto, per l’Europa è una novità assoluta. Artex, una società del Liechtenstein, ha deciso di creare una nuova classe di “attivi finanziari”, quotando in Borsa delle opere d’arte. Si è partiti con un trittico di Francis Bacon del 1963.

Cosa significa quotare l’arte in Borsa

Secondo ArtTactic, le opere di Bacon lo scorso anno sono state le seconde più vendute al mondo per quanto riguarda l’arte moderna, dopo quelle di Pablo Picasso, arrivando a 225 milioni di dollari.

Il trittico dovrebbe essere introdotto sulla piattaforma Artex al prezzo di 55 milioni di euro. Le opere d’arte sono custodite in società di diritto lussemburghese, esse stesse quotate sulla Borsa gestita da Artex, dove verranno scambiati i titoli. Questa Borsa dovrebbe funzionare in modo in parte diverso da quelle oggi esistenti. Ogni azione sarà venduta a 100 dollari, ma non è prevista la distribuzione di dividendi. Gli acquirenti dei titoli dovranno attendere che un collezionista decida di comprare quell’opera d’arte per sperare di realizzare un profitto.

Un’operazione rischiosa e incerta a livello normativo

Secondo i promotori, un simile “investimento” permetterebbe di diversificare il patrimonio con un attivo che ha forti probabilità di rivalutarsi nel tempo, vista l’unicità delle opere d’arte. Certo rimane il rischio dell’operazione, non ultimo quello di liquidità, ovvero nella possibilità di rivendere le proprie quote quando si vuole, come si può fare in ogni momento con le azioni e le obbligazioni sui mercati finanziari tradizionali.

Al di là del rischio, si pongono questioni non di poco conto sulla normativa. Interpellato da Les Echos, un esperto di regole finanziarie ha dichiarato che «hanno fatto molti sforzi per fare rientrare nella regolamentazione qualcosa che non dovrebbe starci». Anche la scelta del Liechtenstein desta diverse perplessità, sia per i controlli sulle attività borsistiche e la trasparenza, sia, dettaglio non da poco, perché uno dei cofondatori di Artex è parente del Principe regnante del microstato europeo.

Perché si sente il bisogno di quotare l’arte in Borsa

Per quanto siano profonde le questioni normative, di regolamentazione, controllo e trasparenza, se si fa un passo indietro appaiono però quasi come dettagli rispetto alla posta in gioco. Da un lato siamo ormai abituati a una monetizzazione dell’arte. Collezionisti di tutto il mondo si sfidano nelle aste a suon di decine o centinaia di milioni di dollari. Negli ultimissimi anni è anche esploso il mondo degli NFT, ovvero certificati digitali legati al mondo delle criptovalute che permettono di determinare l’unicità di un‘opera d’arte o di un qualsiasi contenuto intellettuale, per poi comprarlo e venderlo sul mercato digitale.

Se però ribaltiamo il punto di vista, qui non parliamo “unicamente” di una completa finanziarizzazione dell’arte, ma anche del tentativo di creare dal nulla una nuova classe di attivi finanziari. Un tentativo che apre domande fondamentali sullo scopo della finanza e dello stesso denaro.

NFT di gattini digitali e autenticati da acquistare e allevare su piattaforma blockchain Ethereum
NFT di gattini digitali e autenticati da acquistare e allevare su piattaforma blockchain Ethereum © CryptoKitties

Qual è il ruolo della finanza

La finanza dovrebbe essere uno strumento per sostenere le attività economiche, facendo arrivare i capitali dove servono. 

È in quest’ambito che difficilmente si può equiparare la quotazione in Borsa di opere d’arte a un investimento finanziario. Se compro delle azioni di una qualsiasi impresa, ne sostengono l’attività e i processi produttivi, contribuisco alla sua capitalizzazione e quindi alla sua solidità. Ma in questo caso? Quanti posti di lavoro verranno creati o anche solo mantenuti quotando in Borsa un quadro? Quale attività verrà prodotta o sviluppata? Il quadro sarà più bello, o sarà più fruibile da parte del pubblico? C’è una seppur minima ricaduta o utilità sociale?

Le risposte appaiono univocamente negative. Il solo e unico obiettivo dell’operazione è consentire a chi ha un eccesso di liquidità di poterla impiegare in un nuovo modo. Un’ulteriore diversificazione degli investimenti per chi ha già troppi soldi in titoli, immobili o altro.

Troppi soldi in pochissime mani

È ormai noto che nel mondo girano troppi soldi, e che quasi tutti sono in pochissime mani. Da un lato mancano disperatamente capitali per gli investimenti necessari a fare fronte alle principali sfide sociali e ambientali che l’umanità si trova ad affrontare. Dall’altro esiste una quantità spropositata di denaro alla costante ricerca di un qualsiasi sbocco di investimento. Siamo in presenza di una bolla sui mercati finanziari, non solo in azioni e obbligazioni ma anche in derivati che consentono di scommettere anche sulle materie prime. Analogamente si potrebbe parlare della bolla immobiliare o di qualsiasi altro asset nel quale si possa ragionevolmente pensare di piazzare il proprio denaro.

È allora necessario creare costantemente nuovi asset, nuove possibilità di investimento e speculazione per chi vuole diversificare o semplicemente provare il brivido di nuove scommesse. L’ideale per guadagnare sono titoli su beni rari, il cui prezzo può essere soggetto a forti oscillazioni, dove le somme in gioco possano essere molto alte. La quotazione in Borsa delle opere d’arte è unicamente l’ultimo, perfetto esempio di una sempre più assordante e pervasiva finanziarizzazione di ogni attività e processo, naturale o umano che sia.