Reddito di cittadinanza: un circolo vizioso che intrappola nella povertà
Confrontata con il resto d'Europa, la proposta italiana è quella con più vincoli. E, per come è concepito, rischia di trasformarsi in uno strumento di controllo sociale
Le modalità di attuazione del cd. “reddito di cittadinanza” del governo Lega-M5S non sono del tutto originali, al limite sono un po’ più rigide. La principale differenza con gli altri Paesi europei sta nel fatto che in Italia non esiste un salario minimo legale e questa mancanza può generare un effetto boomerang sui salari, favorendone una riduzione.
Nei vari Paesi europei dove misure di sostegno al reddito sono già operanti, i beneficiari devono sottostare a una serie di condizioni.
La via tedesca al reddito di cittadinanza
In Germania nell’articolato sistema di sostegno alle categorie più svantaggiate, l’Arbeitslosengeld II è il sussidio mensile destinato a chi cerca un lavoro o ha un salario molto basso.
Lo Stato garantisce l’assistenza al soggetto a patto che si impegni nella ricerca di un nuovo lavoro e abbia un paniere di consumo limitato ai soli beni di necessità. Non può avere più di 2000 euro sul conto corrente e viene seguito da un operatore sociale che può controllarlo sino ad entrare in casa per verificare ciò che possiede. Oscilla attorno ai 400 euro e prevede somme supplementari se nel nucleo familiare sono presenti figli.
L’RSA francese
In Francia è stato creato il Revenu de solidarité active (RSA), disponibile per chi ha almeno 25 anni o per chi, con un’età inferiore, è già genitore single. La base si aggira attorno ai 400 euro e, anche in questo caso, la presenza di figli determina un aumento della cifra. La condizione è la ricerca di un’attività lavorativa sulla base di un rigido programma di inserimento eterodiretto e controllo dei consumi.
I 1300 euro danesi
Anche la Danimarca, che prevede un reddito tra i 1300 e i 1400 euro al mese, ha ristretto i parametri di accesso, soprattutto a svantaggio degli stranieri, e aumentato i vincoli di comportamento, con particolare riferimento all’obbligo di frequenza di corsi di formazione.
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In Italia, il provvedimento appare tra i più condizionati:
- l’accesso dovrebbero essere limitato a coloro che hanno una soglia di reddito inferiore alla povertà assoluta (780 euro mensili), sulla base dell’indicatore Isee (che tiene conto del patrimonio personale, compresa l’eventuale casa di abitazione).
- Vale per i soli cittadini italiani. Per evitare rischi di incostituzionalità, pare che vi possano accedere anche gli stranieri (comunitari e extra-comunitari) che vivono legalmente in Italia da più di 10 anni (per il Rei – Reddito di inclusione – introdotto dal governo Gentiloni, il limite era 5 anni).
- I beneficiari hanno l’obbligo di accettare la terza proposta di lavoro.
- Si devono iscrivere ai Centri per l’impiego e firmare un impegno per l’inserimento lavorativo (così come avviene per il Rei).
- Sono obbligati a fornire gratuitamente 8 ore settimanali di lavoro socialmente utile a vantaggio del comune di residenza.
- Inoltre, gli acquisti effettuati dai beneficiari vengono tracciati digitalmente e si devono limitare ai soli beni di stretta necessità.
Secondo alcune dichiarazioni pubbliche del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, i percettori del reddito di cittadinanza saranno così impegnati nella ricerca attiva di un posto di lavoro e nello svolgere lavori socialmente utili che non avranno il tempo né di fare lavori sommersi né di dedicarsi a “consumi immorali” (categoria, quest’ultima, di non chiara definizione…). Per chi sgarra, viene introdotta una nuova fattispecie di reato: il “falso in reddito di cittadinanza” che prevede la reclusione sino a sei anni di carcere.
6 finti poveri ogni 10 controlli. È la percentuale di irregolarita rilevata dalla Guardia di Finanza nel 2018 nelle verifiche mirate sui beneficiari di prestazioni sociali agevolate ed esenzioni dai ticket sanitari https://t.co/Vzl5jWQuGm #redditodicittadinanza pic.twitter.com/aYij2vFUWR
— Fondazione Luigi Einaudi (@fleinaudi) October 9, 2018
Il povero va davvero guidato?
Tra le molte considerazioni, due sembrano quelle più pertinenti.
La prima ha a che fare con l’ottocentesca credenza, che non trova giustificazione nell’evidenza empirica, secondo la quale il “povero” è tendenzialmente incapace di provvedere a se stesso e quindi abbisogna di educazione e guida. Si tratta dell’antico retaggio secondo cui la condizione di povertà è l’esito di scelte individuali: un retaggio che dal Medioevo si è ammodernato sino a diventare parte integrante dell’antropologia dell’homo oeconomicus neo-liberale.
Il fatto che negli ultimi trent’anni, abbiamo assistito al diffondersi della trappola della precarietà del lavoro non retribuito, al venir meno di alcuni diritti fondamentali del lavoro e del migrante, al dumping perverso verso il basso che deriva dallo smantellamento delle politiche di welfare e dall’emergere di nuove forme di ricattabilità (dal reddito all’indebitamento personale) sembra non essere preso in considerazione.
Eppure, se oggi il fenomeno della povertà diventa sempre più dilagante, la causa principale sta proprio nella sua natura sociale (e non individuale), esito dei nuovi processi di valorizzazione capitalistica, al ruolo liberticida della finanza, alla crescente concentrazione dei redditi.
Dal welfare universalistico al workfare per i ricchi
La seconda considerazione è che tali misure di sostegno al reddito (comuni a quasi tutti i paesi europei, come abbiamo ricordato) si inquadrano perfettamente nella concezione del workfare, ovvero di un sistema di welfare non universalistico, usufruibile da chi se lo può pagare (in seguito alla privatizzazione finanziaria dei servizi sociali – dalla previdenza integrativa alle assicurazioni sanitarie) e fondato sull’esclusione sociale.
Ed è proprio questa esclusione che deve essere governata con efficienza economica: moderno business produttivo che non elimina la povertà ma la valorizza, consentendo l’attivazione di servizi di controllo, guida e coazione che crea reddito non ai poveri ma a chi li gestisce.
I vantaggi macroeconomici dell’aumento delle pensioni minime
Va invece visto favorevolmente il fatto che a questo reddito di cittadinanza, selettivo, condizionato e che non elimina la povertà né la precarietà, si accompagna la misura che alza il livello minimo delle pensioni a 780 euro mensili in modo incondizionato.
Ed è positivo che tale misura, dopo anni di leggi di stabilità che erogavano sussidi alle imprese (25 miliardi solo negli ultimi tre anni) con scarsissimi effetti sulla crescita economica ma elevato impatto sui profitti, avrà effetti positivi sulla domanda e quindi va contro il diktat dell’austerity imposta dalla troika economica: un provvedimento che, piaccia o non piaccia, avrebbe dovuto entrare in un’agenda di politica economica di sinistra.
* L’autore è professore associato di Economia politica all’Università di Pavia. Insegna anche Teoria dell’Impresa, Economia politica della conoscenza e Storia dell’Economia politica. I suoi interessi di ricerca sono prevalentemente relativi alla teoria macroeconomica, alla teorie monetarie eterodosse, all’economia dell’innovazione, alla distribuzione del reddito e alle mutazioni del capitalismo contemporaneo.
Spesso su posizioni ben lontane dal pensiero “ mainstream” in ambito economico ha più volte sostenuto la necessità di introdurre un “reddito minimo di esistenza”.
https://valori.it/il-reddito-di-base-uno-strumento-per-remunerare-lozio-che-produce-valore/