Un report racconta la marcia inarrestabile delle multinazionali

Le multinazionali controllano il 30% del PIL mondiale, e non smettono di crescere. Un report mette nero su bianco le cifre

Da dieci anni il potere delle multinazionali continua a crescere © Wikimedia Commons

Tre dati che riassumono la questione. In dieci anni, dal 2013 al 2023, i dipendenti delle 200 multinazionali più grandi al mondo sono aumentati del 7,8%; il fatturato è aumentato del 33%; i profitti del 47%. Sono numeri forniti da Fondo Monetario Internazionale e Fortune Global 500, e rielaborati dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo (CNMS). L’organizzazione non governativa cura ogni anno il TOP 200 report, lo stato dell’arte delle grandi aziende. E la sintesi è brutale: il potere delle multinazionali non smette di crescere.

L’identikit della multinazionale

Si definiscono multinazionali tutte quelle aziende che possiedono altre società con sede in un Paese diverso da quello di origine. La struttura è tentacolare: da una casa madre, o holding, si sviluppano una serie di controllate. Per individuare la nazionalità del gruppo, si guarda alla sede della società in cima alla piramide. Secondo il World Investment Report del 2016, curato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), le multinazionali sono 320mila. E le loro filiali un milione e 116mila.

Cifre enormi, che permettono a questo tipo di società di controllare l’80% del commercio internazionale e costituire il 30% del PIL mondiale. Secondo Forbes, si legge ancora nel report, l’Asia è il primo continente per presenza di multinazionali, con circa il 40% dei conglomerati che hanno sede nel continente. Segue l’America del Nord con il 34%, l’Europa con il 20%. E tutto il resto del Pianeta – Africa, America Latina, Oceania – a spartirsi il 6% rimanente.

Il rapporto del CNMS da conto di come le multinazionali siano cambiate nell’ultimo decennio. Si registra ad esempio una crescita dei dipendenti meno marcata di quella relativa a fatturato e profitti: colpa dell’outsourcing, si legge. Le aziende preferiscono appaltare parte del lavoro a ditte non controllate, invece di possedere verticalmente tutta la filiera. Dal punto di vista settoriale, è notevole la crisi dei settori automobilistico ed energetico. E, di converso, la crescita di società legate all’informatica, alla finanza e alla distribuzione. 

Le multinazionali oggi: dominio americano e scalata cinese

Sia nel 2013 sia nel 2023 la multinazionale prima per fatturato è la statunitense Wallmart, capofila della più grande rete di supermercati al mondo. Ma se dieci anni fa al secondo posto stava il gigante petrolifero anglo-olandese Shell, oggi la medaglia d’argento va ad una azienda che non ha bisogno di presentazioni: Amazon. Al terzo posto State Grid, la più grande società elettrica al mondo, di proprietà del governo cinese. Al quarto Saudi Aramco, multinazionale oil&gas con sede a Riyad. Al quinto di nuovo la Cina e di nuovo il petrolio con Sinopec Group e China National Petroleum. Seguono poi Apple, United Health Group, Berkshire Hathaway, CVS Health.

Assieme alla crescita delle piattaforme, è notevole quante aziende cinesi abbiano scalato la classifica. E l’Italia? Nella lista delle prime cento multinazionali del mondo per fatturato figurano due italiane, appaiate: Enel al 97° posto e ENI al 98°. Entrambe nel settore energetico – la prima specificamente elettrico, la seconda più generale. Entrambe controllate in maggioranza dallo Stato. Anche allargando lo sguardo alle prime duecento non figurano altre società tricolore.

Il potere politico e mediatico delle multinazionali

Delle prime 100 entità al mondo, solo 30 sono più o meno controllate dagli Stati. Le altre 70 sono aziende private. La somma dei fatturati delle prime 25 multinazionali al mondo è di poco inferiore al bilancio USA. Aziende come Wallmart, Amazon, State Grid e Saudi Aramco hanno avuto nel 2023 un fatturato annuale maggiore degli introiti governativi di nazioni grandi e ricche. Come Paesi Bassi, Corea del Sud, Messico e Polonia, per intenderci.

Dati che introducono un tema ineludibile: il potere che le multinazionali esercitano di fronte all’autorità governativa e legislativa statale. Il report si sofferma quindi sul controllo che chi possiede grandi capitali può esercitare sulla stampa, con un focus sull’Italia . E sull’impero informativo-industriale di Elon Musk, uno degli uomini più ricchi (e quindi più potenti) del mondo. Impegnato a usare la sua influenza per aiutare la rielezione di Donald Trump negli Stati Uniti. 

Il potere dei fondi dietro le multinazionali

Un tema centrale, infine, è quello delle società multifondo. Se nel secolo scorso le grandi società erano quasi sempre in mano ad una famiglia – esemplare in Italia il caso degli Agnelli, a lungo alla guida della Fiat – o di un attore statale, la formula della società per azioni e la finanziarizzazione dell’economia hanno spezzettato la proprietà in un’infinità di fondi, aziende, persone. Spesso bastano pochi punti percentuali di proprietà di una multinazionale per esercitarne il controllo.

In questo contesto si inseriscono le società multifondo. Si tratta di entità che gestiscono soldi altrui sotto forma di fondi pensione, assicurazioni, o banalmente capitale di ricchi individui che ne affidano a terzi la gestione. E li investono nei settori più disparati per trarne guadagno. Realtà come Vanguard, Blackrock, State Street, Fidelity International, risultano nell’azionariato della gran parte delle grandi aziende globali.

Resta spazio per l’azione dal basso

Ma nel report c’è spazio anche per l’azione dal basso. Dopo l’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza, che ha assunto mese dopo mese sempre più la forma del tentativo di genocidio, migliaia di realtà associative e di movimento in tutto il mondo hanno lanciato una campagna di boicotaggio contro le multinazionali legate a Tel Aviv. «Il Financial Times del 5 agosto 2024 segnala che il boicottaggio sta sortendo i suoi effetti. I ricavi delle multinazionali e dei loro operatori in franchising in tutto il Medioriente stanno registrando contrazioni importanti, con ripercussioni pesanti sui loro profitti». Così scrivono i ricercatori.