Riforma dell’Euro: tra Merkel e Macron poche idee, ma confuse
In un'intervista Angela Merkel ha rilanciato l'idea di un Fondo monetario europeo a sostegno della zona Euro. Al momento però sembra poco realizzabile.
Il 3 giugno 2018, in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung (qui la traduzione in italiano), la cancelliera tedesca Angela Merkel ha rilanciato l’idea di un Fondo monetario europeo a sostegno della zona Euro. È un’idea realizzabile? Quali vantaggi potrebbe avere e quali sono, invece, gli ostacoli che potrebbe incontrare? Valori l’ha chiesto a Sven Giegold, portavoce dei Verdi tedeschi al parlamento europeo e membro della commissione per i problemi economici e monetari.
- Cosa ne pensa della proposta di Angela Merkel per l’istituzione di un Fondo Monetario Europeo, che funzioni da rete di sicurezza dell’Euro?
L’idea di un fondo monetario europeo (FME) che, nella sua operatività, si ispiri al Fondo Monetario Internazionale è sensata e giusta. Ci sono però alcuni aspetti critici che vorrei sottolineare. Prima di tutto, nel progetto di Merkel, che circola ormai da qualche anno, il FME non sarebbe autonomo ma rimarrebbe comunque sotto il controllo dei governi nazionali. E poi sarebbe gestito da un organo parallelo, una commissione che escluderebbe ogni possibilità di intervento da parte del parlamento europeo. Il processo decisionale sarebbe quindi poco democratico e appesantito da ulteriori procedure burocratiche.
- Quindi sarebbe meno efficace del Fondo Monetario Internazionale?
Sì, anche perché tre Paesi avrebbero il diritto di veto sulle decisioni del fondo: l’Italia, la Francia e la Germania. Non si può creare un fondo di “riassicurazione” dell’area Euro sulla base di queste premesse, perché il diritto di veto di tre membri renderebbe meno sicuro ogni esborso di denaro e non contribuirebbe certo a tranquillizzare i mercati. Nell’FMI solo gli Stati Uniti hanno un potere di questo tipo. Nel caso di una grave crisi nazionale ci potremmo trovare di fronte a un forte veto della Germania o di un altro Paese, che potrebbe impedire il trasferimento rapido di fondi. Sarebbe necessario introdurre una procedura di voto a maggioranza. Il processo sarebbe più democratico e si potrebbe gestire denaro veramente europeo che non derivi solo dalla somma di risorse nazionali.
- Anche Macron si è espresso a favore di un Fondo Monetario Europeo…
La proposta di Macron è ambigua, dipende molto da dove e quando sono rilasciate le dichiarazioni. In realtà non si è ancora capito cosa voglia veramente il presidente francese. A volte parla di un controllo del parlamento europeo sulla moneta unica e questo andrebbe nella direzione giusta, secondo noi. Altre volte, facendo propria l’idea di Thomas Piketty, parla di un nuovo parlamento dell’Euro, composto da parlamentari nazionali e da parlamentari europei dei Paesi della zona monetaria. Ancora una volta si tratterebbe di una struttura parallela che appesantirebbe ulteriormente il processo decisionale, aprendo ancora di più la strada all’ingerenza dei singoli Stati.
- Sono solo riflessioni a voce alta o c’è veramente la possibilità che il Fondo Monetario Europeo veda la luce presto?
La possibilità è concreta, ma la strada è lunga, anche se i tempi potrebbero accorciarsi notevolmente. Già il 28 giugno prossimo alla riunione del Consiglio Europeo (in sede di vertice Euro) potrebbe essere presentata una proposta. Il problema è che in Germania il blocco CDU/CSU (i cristiano-democratici e cristiano-sociali che sostengono Angela Merkel, ndr) vorrebbe che il Fondo si costituisse tramite una modifica dei trattati UE, mentre molti giuristi sostengono che questo non sia necessario. Una modifica dei trattati UE farebbe scattare sicuramente un referendum in alcuni Paesi, in particolare in Danimarca, Irlanda, Olanda e Austria. Alla fine, proprio per evitare i referendum, che al momento attuale avrebbero un esito molto incerto, si potrebbe decidere di stroncare sul nascere l’idea di un Fondo Monetario Europeo. Quindi la richiesta di modificare i contratti UE potrebbe essere semplicemente un modo indiretto per far naufragare il progetto.
- È d’accordo sul fatto che la Germania stia approfittando dell’Euro a scapito di altri Paesi dell’Eurozona, grazie soprattutto alla moderazione salariale?
Sono sicuramente d’accordo, ma il problema è più a monte. Al momento della partenza dell’Euro non si sono create regole condivise sui costi unitari del lavoro né su una gestione comune del rischio bancario. Si sono fatti dei cambiamenti in corsa e ora il rischio bancario è gestito in modo molto più efficace che prima della crisi. Anche per quanto riguarda i costi unitari del lavoro si sono introdotti dei limiti con l’introduzione, nel 2011, della procedura per gli squilibri macroeconomici (MIP – Macroeconomic Imbalance procedure), non solo per quando riguarda il surplus della bilancia commerciale ma anche, per esempio, la crescita delle rendite immobiliari.
- Ma la Germania non fa nulla per correggere i propri squilibri…
Sappiamo che la Germania ormai da sei anni supera il limite del 6% fissato per l’avanzo commerciale (differenza tra esportazioni e importazioni in rapporto al prodotto interno lordo, ndr). Nel 2016 è stato pari all’8,1% . Il problema è che non c’è obbligo di intervento nel caso non si rispettino i limiti stabiliti dalla MIP, si fanno solo raccomandazioni e naturalmente la Germania fa resistenza affinché tali limiti non diventino mai obbligatori. Bisogna però anche dire che ormai la Germania il surplus commerciale non lo fa più grazie alle esportazioni verso altri Paesi europei o almeno non in maniera così rilevante come in passato. Lo fa con l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna. Quindi non è corretto dire che la Germania riversa il suo surplus su altri Paesi dell’area Euro, che quindi devono indebitarsi per pagare le esportazioni tedesche.
- Come vede la posizione dell’Italia, che chiede a Bruxelles maggiore flessibilità sui conti pubblici?
Secondo me il problema deve essere visto in due ottiche diverse: da una parte c’è certamente la rigidità della Germania che non vuole mollare la sua posizione dominante nella zona Euro né vuole fare nulla per correggere il suo surplus commerciale destabilizzante. Berlino mette al primo posto i propri interessi nazionali e quelli della parte di popolazione che è contraria a ogni forma di solidarietà europea nei confronti dei Paesi più deboli. Dall’altra parte, però, c’è l’Italia il cui nuovo governo si presenta con un contratto di coalizione senza coperture per 150 miliardi di euro all’anno e la richiesta di vedersi condonato dalla Banca Centrale Europea 250 miliardi di debito, senza che il Paese sia mai riuscito a dimostrare di riuscire a ridurre il debito negli ultimi anni.
L’Italia vuole che si condividano i rischi a livello europeo, ma allo stesso tempo non vuole limiti al suo deficit. È chiaro che così non può funzionare.
- Come se ne esce?
L’unica via d’uscita che vedo è un compromesso tra Italia, Francia e Germania che preveda una maggiore solidarietà, ma anche un maggiore rispetto delle regole da parte di Paesi come l’Italia. Al momento, però, un accordo del genere non è in vista.