Luci spente a San Siro

Nel pallone globale, dove tutte le squadre appartengono più o meno agli stessi fondi d’investimento, serve lo stadio per competere

© Gilbert Sopakuwa/Flickr

«Devo avere una casa per andare in giro per il mondo», cantavano gli Assalti Frontali. E la cosa si può applicare anche alle squadre di calcio. Nel pallone globale, dove tutte le squadre appartengono più o meno agli stessi fondi d’investimento, serve lo stadio per competere. Gli stadi per come sono immaginati sono un bene per le società immobiliari e un male per gli abitanti del quartiere. Ma ai club servono.

Senza contare gli indotti indiretti, le big europee ricavano circa un centinaio di milioni l’anno dai loro stadi di proprietà. La proprietà non è essenziale, non lo è mai, ma aiuta. Delle prime venti big europee solo Inter e Milan non hanno uno stadio loro, e infatti si vede. Questa la lista dei ricavi da stadio del 2022 compilata da Deloitte: Psg 132 milioni, United 126, Tottenham 125, Liverpool 112, Barcellona 103, Arsenal 94, Real Madrid 88, Chelsea 82, Bayern Monaco 68, City 64. Per le italiane bisogna aspettare il tredicesimo posto dell’Inter (44) e molto più indietro Juve (proprietaria) e Milan con 32.

Salta all’occhio che Inter, Juve e Milan tutte insieme non fanno nemmeno i ricavi del Barcellona quinto in classifica. È un problema. E all’orizzonte non si vede soluzione. In questi giorni in Inghilterra si discute dove giocherà il Chelsea nei prossimi quattro anni. Se nel bellissimo stadio del Fulham (Craven Cottage), nel tempio del rugby (Twickenham) o della nazionale (Wembley). Il resto è scontato. Non si sa ancora se nel frattempo il vecchio stadio di Stamford Bridge sarà riammodernato, se sarà demolito per costruirne sopra uno nuovo, o se quello nuovo sarà costruito da qualche altra parte. Nessuno se ne preoccupa.

Il fondo americano che ha comprato il Chelsea per circa 6 miliardi pochi mesi fa ha annunciato che avrebbe fatto il nuovo stadio. Da qualche parte e in qualche modo si farà. Ora il dibattito è solo su dove giocherà la squadra nell’attesa. Quattro anni, non di più. Inter e Milan invece hanno presentato il loro primo “Progetto di Fattibilità Tecnico Economica” per avere un nuovo stadio nel luglio del 2019. Quattro anni fa. E dopo quattro anni stanno ancora pensando se, dove, come, quando e perché fare un nuovo stadio…

Intendiamoci. Come nel resto del mondo, non è che in Inghilterra costruire un nuovo stadio sia un atto di pace. Ci sono i finanziamenti pubblici che come sempre servono a privatizzare i profitti e socializzare le perdite, c’è un impatto violentissimo sull’architettura sociale e abitativa del quartiere sempre a discapito dei più poveri, ci sono interessi di lobby che rasentano (e spesso sconfinano nel) la corruzione. Come in Italia, come nel resto del mondo. Però almeno lì si fanno. E sui bilanci dei club incide eccome.

Qui Inter e Milan discutono ancora se e dove farlo. Da quattro anni promettono e minacciano, chiedono compensazioni e bramano aiuti. Intanto si coprono di debiti e vendono i loro migliori giocatori. Essendo i padroni gli stessi (i fondi d’investimento globali) e le modalità urbanistiche uguali (il dislocamento delle fasce deboli della popolazione a favore della speculazione) è chiaro che il problema è il Paese. Le cose si possono fare bene o male, ma una casa serve. Altrimenti si resta fermi. Non è certo una semifinale di Champions ogni vent’anni a raccontare che si è in grado di andare in giro per il mondo.