Sulle tariffe rifiuti, l’Italia non è unita (e i virtuosi sono pochi)
I dati sulle tariffe rifiuti fotografano un Paese iperframmentato: i virtuosi pagano meno e solo al top per raccolta differenziata e tariffazione puntuale
Se il giro d’affari dell’industria del riciclo è stimato in 88 miliardi di fatturato, con ben 22 miliardi di valore aggiunto, ovvero l’1,5% di quello nazionale, come riporta lo studio di Ambiente Italia (promosso da Conai e da Cial, Comieco, Corepla e Ricrea) quanto costano, invece, i rifiuti alle famiglie italiane?
Pochi eletti e molti reietti
Non c’è una risposta certa, se non andando a guardare la nostra bolletta: dipende dal comune e della regione in cui viviamo. Da quanto e come differenziamo, ma pure dai costi che ogni città deve sostenere per la raccolta, il trasporto e il tipo di smaltimento (discarica, trattamento meccanico biologico, inceneritore o differenziata). E se non risiediamo nella ristretta cerchia dei 341 comuni che in Italia applicano, in modo volontario, la tariffazione puntuale – in base alla quale il cittadino paga in base alla “produzione” di rifiuti, la tassa sui rifiuti – la cosidetta Tari, può essere una sorpresa molto cara.
La conferma arriva dall’Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva. Nel 2018 la famiglia tipo, composta da 3 persone e con una casa di proprietà di 100 metri quadri, paga mediamente 302 euro. Con differenze abissali tra nord e sud. Dalla città più economica, Belluno, con 153 euro/anno per famiglia ai 571 euro della città di Trapani, in assoluto la più cara d’Italia.
E se la regione più economica è il Trentino Alto Adige con una tariffa media di 188 euro, in diminuzione del 4,5% rispetto al 2017, secondo i dati di Cittadinanzattiva, la Campania si riconferma la regione più costosa con 422 euro di media.
Il dedalo dei costi standard
Come sono giustificabili differenze così abissali? Certo non aiuta la complessità del calcolo dei costi standard per i comuni, quelli che servono per emettere le bollette della tassa rifiuti. Il Ministero delle Finanze è dovuto intervenire ben due volte solo nell’ultimo anno, per definire le linee guida necessarie alle amministrazioni per calcolare la TARI.
In secondo luogo, influisce la mancanza di trasparenza negli appalti e nell’intero ciclo di gestione della filiera, non solo al sud. Mancanza di trasparenza che non favorisce un contenimento dei costi. Un esempio tra tutti: il prolungamento del commissariamento prefettizio richiesto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione in Toscana, per la Servizi Ecologici Integrati SEI Toscana s.r.l, a causa delle turbative d’asta e gare d’appalto truccate, ormai da più di un anno.
Vadalà: «Trasparenza e legalità per vincere la guerra alle discariche»
E mentre è in corso l’indagine nazionale della nuova Autorità di regolazione per energia e reti e ambiente (Arera) per definire finalmente «un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti» che dovrà promuovere «la tutela degli interessi di utenti e consumatori», a giorni verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’aggiornamento del Codice degli appalti, stilato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, che ha una nuova sezione interamente dedicata alla prevenzione della corruzione nella gestione dei rifiuti.
Il monitoraggio di ISPRA
Intanto, per saperne di più, occorre studiare l’annuale rapporto curato da Ispra, che dedica ben due capitoli al monitoraggio del sistema tariffario e alla valutazione dei costi di gestione dei servizi di igiene urbana in Italia.
Il rapporto Rifiuti 2018 appena presentato, ha analizzato, a campione, i piani finanziari di 2.557 comuni, pari a 26.508.421 abitanti. Realizzando così un monitoraggio dei costi annui pro capite di gestione dei rifiuti indifferenziati, dei rifiuti differenziati e del servizio di igiene urbana (che comprende il trasporto e lo spazzamento delle strade, ad esempio), relativi all’anno 2017, per ogni regione e per macroarea geografica.
Nel 2017 sono stati spesi mediamente, con la gestione TARI, 175,28 euro pro capite, e ogni kg di rifiuto ci è costato mediamente 36,16 centesimi di euro.
Costi più elevati nel centro Italia
Dobbiamo sfatare qualche mito, però: i costi più elevati della gestione rifiuti sono nel centro Italia, con ben 228,87 euro/abitante per anno condizionato, nella media pesata, dal costo pro capite del comune di Roma, contro i 181,01 del Sud e i 153,57 del Nord.
Tra le regioni più care risultano la Liguria (219,53 euro/ab), il Lazio (214,39 euro/ab), la Toscana (212,50 euro/ab), l’Umbria (186,64 euro/ab) e la Campania (185,16 euro/ab). Il meno caro resta il Friuli Venezia Giulia con 115,41 euro/ab.
E sempre i dati di Ispra ci confermano che i costi cambiano anche in base al tipo di smaltimento e alla gestione complessiva, sia nella gestione TARI che a tariffazione puntuale, oltre che al numero degli utenti a cui è dedicato il servizio.
Anche se, all’aumentare della percentuale di raccolta differenziata, alla quale è legata una diminuzione importante della quantità di rifiuti pro capite smaltiti in discarica (e all’incenerimento), con l’aumento della percentuale di rifiuti avviati al trattamento meccanico-biologico (TMB), diminuisce il costo totale pro capite annuo.
L’esperienza dei primi della classe
Nei comuni dove viene applicato il sistema a tariffazione puntuale, come Valori aveva già anticipato nei mesi scorsi, si paga meno.
La media di spesa nel 2017, rispetto al campione esaminato relativo a 341 comuni che applicano volontariamente la tariffazione puntuale, è stata di 171,39 euro/abitante.
Scendendo nel dettaglio regionale, l’analisi dei dati rileva che, in Piemonte, il costo totale nei comuni a Tari puntuale è pari a 147,58 euro/abitante per anno, in Lombardia si riscontrano 119,26 euro /abitante per anno, in Trentino Alto Adige 102,79, in Veneto 110,80 euro/abitante.
Diversamente in Liguria dove si sale ai 134,04 euro/abitante per anno, in Emilia Romagna, dove il costo è pari 183,54. Nella regione Toscana il costo risulta essere di 190,59 euro/abitante per anno, mentre nel Lazio, il costo è pari 208,78 euro/abitante per anno.
L’economia circolare fa bene al portafoglio
Il più contenuto resta il Friuli Venezia Giulia, che a tariffazione puntuale scende a 75,33 euro/abitante per anno, sul quale incide notevolmente il risparmio di 15,65 euro/abitante per anno, generato dai ricavi per la vendita di materiali. Segno che l’economia circolare comincia ad attuarsi per davvero, facendo rimanere qualche euro in più nelle tasche dei cittadini.
La copertura dei costi di gestione della raccolta differenziata e dei servizi urbani relativi, sostenuta dai comuni, dovrebbe essere ripagata attraverso il conferimento dei materiali nelle piattaforme dei consorzi di riciclo. Ma così non avviene.
Secondo l’accordo quadro tra ANCI e CONAI, che scadrà a marzo 2019, nel momento in cui i comuni restituiscono alle piattaforme di riciclo i vari materiali, ricevono un corrispettivo per tonnellata, per «la copertura dei maggiori oneri sostenuti per fare le raccolte differenziate dei rifiuti di imballaggi». Quel corrispettivo varia a seconda della qualità del rifiuto conferito, motivo di contenzioso tra i consorzi e le amministrazioni comunali, come il rapporto annuale dei Comuni Virtuosi – Esper dimostra da qualche anno.
Guardando le tabelle dei corrispettivi, è facile anche comprendere perché, visto che le escursioni di prezzo nella stessa categoria, sia essa acciaio, vetro, plastica, carta o legno, possono variare dal 50 al 300%. Nel caso dell’acciaio si va dai 66,78 euro/tonnellata ai 114,48. Per la plastica dagli 80,23 ai 395,14 euro/tonnellata e, a seconda del trasporto dai 2,02 euro ai 30,45 euro per le isole minori. Il vetro dagli 5,82 ai 51,87 euro/tonnellata, la carta dai 40,65 per la “raccolta congiunta” ai 96,78 euro per la raccolta selettiva. L’alluminio dai 150,44 ai 551,60 euro/tonnellata.
L’Antitrust bacchetta il sistema italiano
Nel 2016, la prima indagine conoscitiva sui rifiuti solidi urbani dell’Antitrust aveva già appurato che i cittadini italiani avrebbero potuto risparmiare notevolmente in bolletta con «meno discariche e più raccolta differenziata».
Ma per fare ciò, ha ribadito l’Autorità, l’industria dovrebbe sopportare l’intero costo della gestione della parte riferibile agli imballaggi della frazione differenziata dei rifiuti urbani. Mentre, in Italia, secondo l’Antitrust, il rimborso ai comuni varia dal 20 al 35%, diversamente da quanto succede in Austria, Belgio, Germania Repubblica Ceca e Paesi Bassi. E in Francia il contributo dei produttori ammonta al 75%.