SVB, Credit Suisse e la solita constatazione: a salvarci è sempre, sempre lo Stato
Anche negli Stati Uniti, patria del liberismo, e in Svizzera i mercati dimostrano per l’ennesima volta di non poter fare a meno dello Stato
Quasi 165 miliardi di dollari in una sola settimana, dal 9 al 15 marzo. Le conseguenze del crollo della Silicon Valley Bank (SVB) si fanno sentire anche ai piani alti della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti. L’istituto ha pubblicato le cifre relative al totale preso in prestito dal sistema bancario americano dopo l’ennesimo terremoto nel settore. Si tratta di un dato record, superiore perfino a quello che era stato toccato nel 2008: il picco, all’epoca, fu di 111 miliardi. E soprattutto infinitamente più alto rispetto alla settimana precedente, quando non erano stati superati i 4,6 miliardi.
Gli animal spirits di Keynes e il panico nel settore bancario
Come prevedibile e come sempre accade in questi casi, infatti, gli animal spirits descritti dall’economista John Maynard Keynes nella “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” si sono manifestati. Molti clienti, preoccupati, stanno cominciando a chiedere indietro i loro risparmi o investimenti agli istituti finanziari. E questi, inquieti di fronte ad un rischio di mancanza di liquidità, hanno bussato alla porta della Fed.
Editoriale
Da SVB a Credit Suisse. Perché è una crisi di fiducia
I casi di SVB e Credit Suisse hanno alcuni denominatori comuni: per le banche la fiducia e la reputazione sono fondamentali
Anche perché a spaventare non è stata soltanto la SVB, ma anche un secondo istituto americano (Signature Bank). Ma soprattutto, a vacillare in Europa c’è il colosso elvetico Credit Suisse. Anche per questo negli Stati Uniti le banche si sono precipitate ad appoggiarsi ad un nuovo strumento, creato pochi giorni fa proprio allo scopo di garantire liquidità al sistema: il Bank Term Funding Program (Btfp), dal quale hanno ottenuto 11,9 miliardi di dollari. Si tratta in questo caso di un fondo pensato proprio per bloccare sul nascere il rischio di “contagio” nel sistema finanziario. Un effetto-domino già sperimentato con la crisi del 2008 e che il governo americano, assieme alla Federal Deposit Insurance Corporation, sperano di riuscire a scongiurare.
I dogmi teorici del neoliberismo ancora una volta smentiti dai fatti
L’idea è di sostenere soprattutto gli istituti che hanno puntato fortemente su obbligazioni a lungo termine, il cui valore è crollato. Anziché svenderle per rispondere alle richieste di liquidità dei clienti, il che porta inevitabilmente a far registrare delle perdite, la Fed propone di rilevarle (al prezzo iniziale) in cambio di prestiti della durata massima di un anno, a tassi vantaggiosi.
Il Btfp potrebbe così consentire al settore bancario americano di avere a disposizione fino a duemila miliardi di dollari. Mentre i depositi di chi fallirà dovrebbero essere garantiti dal Deposit Insurance Fund: fondo creato chiedendo denaro proprio alle banche, al fine di evitare che a pagare siano i contribuenti.
In tutto ciò una riflessione è d’obbligo. Chi si è premurato di chiedere alle banche di creare il Deposit Insurance Fund? Lo Stato. Chi ha creato la Deposit Insurance National Bank of Santa Clara che gestirà la SVB dopo il crollo? Lo Stato. Chi è intervenuto per cercare di placare il panico sui mercati? La Fed, il Tesoro e la Fdic, ovvero lo Stato. Chi ha concesso 50 miliardi di euro di aiuti d’emergenza a Credit Suisse? La banca centrale svizzera, ovvero lo Stato. E chi ha istituito, negli Stati Uniti, il Btfp per garantire liquidità al sistema bancario? Lo Stato. Come è accaduto nel 2008, come è accaduto nelle crisi precedenti e come accadrà sempre.
Sarebbe utile se, una buona volta, i pasdaran del neoliberismo ammettessero che no, il mercato non è in grado di auto-regolarsi. E che i loro dogmi teorici sono, semplicemente, smentiti dai fatti. Sempre.