Tassa sulla CO2 alle frontiere, accordo in Europa. Ma restano molti nodi
Commissione europea, parlamento e Paesi membri hanno raggiunto un’intesa sul meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere
Ci sono voluti anni di discussioni, ma alla fine l’Unione europea è riuscita a trovare un accordo su una delle misure che ritiene fondamentali per accelerare il processo di decarbonizzazione dell’industria del Vecchio Continente. Parliamo del meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere: il carbon border adjustment.
Una tassa sulla CO2 per evitare la concorrenza a danno delle industrie europee
L’idea era stata avanzata per la prima volta nell’ambito del green deal europeo. Per evitare che vengano delocalizzate le produzioni in nazioni nelle quali le normative di contrasto ai cambiamenti climatici sono meno stringenti rispetto a quelle comunitarie, si è pensato di introdurre un sistema di compensazione. Che consentirebbe al contempo di tassare anche le produzioni straniere. Ciò in quanto un’impresa di una nazione particolarmente “morbida” sulla questione climatica gode, di fatto, di un vantaggio concorrenziale rispetto ad una europea che invece deve attenersi a normative più dure.
In questo modo, il prezzo finale delle produzioni importate – siano essere frutto di delocalizzazioni europee o di strutture totalmente straniere – dovrebbe “integrare” le emissioni di gas ad effetto serra legate al processo di fabbricazione. Un’idea che, se dovesse funzionare, dovrebbe portare benefici al mondo intero. Ciò in quanto spostare semplicemente le emissioni nocive al di fuori dell’Europa azzererebbe ogni vantaggio dal punto di vista climatico. Attuando quello che viene definito dumping climatico.
Ad essere tassate saranno le emissioni di CO2 dei settori più inquinanti
Ad essere tassati, in particolare, dovrebbero essere i settori più inquinanti: dall’acciaio al cemento, dal ferro all’alluminio, passando per i pesticidi. «L’Unione europea è la prima zona commerciale al mondo ad adottare una carbon tax sulle importazioni. Se ne parla da più di vent’anni. È un’intesa storica per il clima», ha commentato Pascal Canfin, presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo.
L’accordo è stato raggiunto dalla Commissione europea, dai rappresentanti degli Stati membri e dallo stesso parlamento. Ora dovrà essere approvato dai singoli organismi affinché possa entrare in vigore (a partire dal mese di ottobre del 2023). In realtà, però, non toglie tutti i nodi. Anzi, quelli principali dipenderanno da un’altra intesa: quella sulla riforma del mercato ETS dei “diritti ad inquinare”. Di essa si parlerà in altre riunioni previste per venerdì 16 e sabato 17 dicembre.
Tutto si spiega
Cos’è e come funziona il mercato ETS dei “diritti ad inquinare”
Nato nel 2005, il mercato ETS è la risposta europea alle sfide climatiche. Che però ha funzionato solo in parte. E che per questo è stato riformato
Cosa manca ancora al “carbon border adjustment”
Tuttavia, una parte del meccanismo di funzionamento del carbon border adjustmentè stato definito. Il sistema obbligherà chi importa all’interno dell’Unione europea merci di Paesi terzi ad acquistare dei certificati per compensare le emissioni di CO2. In tal modo, questi prodotti risulteranno più cari e quindi meno appetibile sul mercato. Qualora nella nazione di produzione sia in vigore una carbon tax (è il caso della Cina), agli importatori europei verrà chiesto di corrispondere soltanto la differenza.
Per ora, però, ad essere tassati saranno soltanto le emissioni dirette. Ovvero quelle direttamente correlate alla fabbricazione dei prodotti. Occorrerà aspettare il 2026 affinché venga definito un quadro per tenere conto anche delle emissioni indirette, come ad esempio quelle provocate dall’uso di elettricità utilizzata per la produzione.
Inoltre, occorreranno nuove disposizioni normative per evitare facili slalom: «Se un fabbricante di automobili importa dell’acciaio in Europa dalla Turchia – ha ammesso lo stesso Canfin – sarà costretto a pagare la tassa. Se invece importa in Europa una vettura fabbricata in Marocco con acciaio turco non pagherà nulla».
Le critiche delle organizzazioni non governative
Ultimo punto che ha fatto storcere il naso alle associazioni (è il caso di Oxfam), infine, è quello legato all’uso dei proventi. Si stima che questi ultimi possano superare i 14 miliardi di euro all’anno. E si è deciso che andranno ad alimentare il bilancio generale dell’Unione europea.
Le organizzazioni non governative avevano invece suggerito di concedere tali entrate ai Paesi in via di sviluppo tassati al fine di aiutarli ad effettuare la loro transizione ecologica. Da un lato perché quegli Stati saranno di fatto penalizzati, pur essendo i meno responsabili dei cambiamenti climatici. Dall’altro perché il problema del riscaldamento globale non è europeo ne cinese, bensì planetario.