Terre avvelenate dai veleni industriali? Si curano con la cannabis
Si moltiplicano le esperienze sui siti contaminati, a partire dalle aree vicino l'ex Ilva: la canapa assorbe grandi quantità di metalli pesanti e diossina
Libera la terra inquinata da diossina e dai metalli pesanti e contribuisce a mitigare i cambiamenti climatici, trattenendo anidride carbonica. Le piante di canapa (cannabis sativa) sono in grado di assorbire e estrarre dal terreno molte delle sostanze nocive rilasciate dalle industrie e dall’inquinamento ambientale. Trattenendo, al contempo CO2 quattro volte in più degli alberi.
Fitorisanamento: bonificare i terreni con le piante
Le sperimentazioni del cosiddetto fitorisanamento (phytoremediation), che rientra nelle tecniche di bonifica in bioremediation, già iniziate in Ucraina ai tempi di Chernobyl, sono in corso, anche in Italia, in almeno quattro siti di interesse nazionale (SIN). E con la legge 242/2016 per promuovere la filiera agroindustriale della canapa, in vigore da gennaio 2017, le attività di coltivazione per bonifica sono ufficialmente promosse anche dallo Stato Italiano.
Da Taranto a Brescia, dalla Terra dei Fuochi al Sulcis Iglesiente, interessano almeno cinque regioni: Puglia, Sardegna, Lombardia, Campania e Veneto. Coinvolti a vario titolo enti di controllo e di ricerca scientifici come Ispra, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e Centro di Ricerca per l’Agricoltura (Crea). Ma anche imprese commerciali e progetti sociali a cui si devono i primi test sul campo.
A Taranto la prima sperimentazione
«La canapa è al centro di una conversione ecologica dell’industria e dell’economia che restituisce salute alle persone- racconta a Valori, Claudio Natile a capo di Canapuglia, impresa impegnata nel diffondere cultura e coltura della cannabis sativa, con sede a Conversano. Già membro del tavolo tecnico presso il Ministero delle Politiche agricole che ha redatto la legge n. 242/2016.
Proprio al coordinamento di Canapuglia dobbiamo, nel 2013, l’avvio della prima ricerca in Italia sulla fitorimediazione di suoli contaminati da metalli pesanti ed altri inquinanti. A partire da una delle aree più contaminate della penisola, il sito di interesse nazionale di Taranto. Su quei terreni vige, fino a 20 km dallo stabilimento ex Ilva, il divieto di pascolo. «Il progetto C.A.N.A.P.A. ideato insieme all’Abap (Associazioni Biologi Ambientalisti Pugliesi) e il Crea, prevedeva di creare una cintura verde, costituita da coltivazioni di canapa, intorno al polo siderurgico».
Il progetto, tra varie vicissitudini, è ancora tutto da sviluppare, ma ha lasciato le proprie radici nella storica masseria del Carmine. Già nel 2008, a causa della contaminazione dei terreni, Vincenzo Fornaro, il titolare, dovette far abbattere ben 605 capi di bestiame, su cui erano stati riscontrati valori di diossina e PCB anche 30-40 volte oltre i limiti consentiti dalla legge.
Oggi Fornaro ha totalmente reinventato la propria attività, aprendo la proprietà alle nuove tecniche di bonifica. «Finora abbiamo realizzato tre cicli di semina di canapa su due ettari. Quest’anno abbiamo dovuto fermarci per via dell’aumento delle emissioni di diossina provenienti dal polo siderurgico. Ora siamo in attesa delle analisi, speriamo di poter tornare a seminare la prossima stagione».
Regione Puglia, sulla canapa c’è la legge ma pochi i fondi per ricerca
Varata una legge sulla promozione della coltivazione della canapa, nel 2018 Regione Puglia ha messo a disposizione, però, solo 100mila euro, per il sostegno a progetti di ricerca e a carattere pilota. Grazie a questo finanziamento sarà la stessa Apab insieme ad altre quattro associazioni come il Crea, a definire delle linee guida per la coltivazione di cannabis sativa a fini produttivi e ambientali. Un piccolo inizio per una seria ricerca che andrebbe incentivata in modo più concreto.
«La canapa è superiore agli altri phytoremediators perchè cresce rapidamente, raggiungendo il pieno raccolto in soli 180 giorni e produce una sfera di radici che si estende nel terreno da 1,5 ad 2,5 metri – spiega a Valori l’ingegnere ambientale Marcello Colao, socio dell’Abap, impegnato proprio sull’area di Taranto.
Come smaltire la canapa usata per la bonifica
«Le tossine vengono estratte dalla pianta senza la necessità di rimuovere il terreno contaminato dello strato superiore, evitando così la spesa di trasporto verso gli impianti di smaltimento e discariche». Inoltre la canapa ha la capacità di crescere non influenzata dai veleni che accumula, riuscendo a legare i contaminanti composti dell’aria e del suolo. Senza pesticidi e diserbanti.
Uno dei problemi da risolvere, però, rimane lo smaltimento della canapa contaminata. Spiega l’ingegner Colao: «Una soluzione è stata trovata nell’uso dei semi come materia prima per la produzione di biodiesel. La canapa è infatti una coltura energetica i cui semi contengono circa il 36% d’olio impiegabile per la produzione di biodiesel o di oli industriali». Un altro possibile utilizzo della biomassa è la produzione di energia nelle centrali termoelettriche, dove, attraverso un processo chiamato phytomining, si potrebbero recuperare e poi riciclare i metalli dalle ceneri.
Reti di imprese e agricolura biodinamica per il disinquinamento con la canapa
C’è poi chi, come la cordata di Taranto Revolution, formata dal Comitato Viandanti Onlus di Bereguardo (PV), dalla Fondazione Centro Educativo Murialdo di Taranto, in collaborazione con EcorNaturaSì e NeoruraleHub, proverà nei prossimi mesi ad applicare le tecniche dell’agricoltura biodinamica alla cannabis sativa, per migliorare la fitorimediazione. «Il punto di partenza sarà sempre la masseria Carmine», anticipa a Valori Paolo Calcaterra, geologo ed esperto di risanamento ambientale.
Nell’incertezza delle istituzioni, è nata anche una rete di imprese e startup ha dato vita a Valore Canapa, che prevede investimenti anche da parte di privati che dovrebbe nascere a Crispiano, una delle aree investite dall’inquinamento dell’ex Ilva. «Siamo una rete nazionale e vogliamo valorizzare l’utilizzo della canapa industriale. A partire dagli usi fitodepurativi, fino alla produzione di manufatti tessili, del settore cartario, cosmetico ed alimentare» spiega l’ingegner Giuseppe Vitiello.
L’idea di Taranto sviluppata dalla regione Sardegna
Ispirato proprio dall’esperienza di Taranto, in Sardegna è in corso invece il progetto CANOPAES, promosso dalla regione con apposita legge già dal 2015, per la bonifica urgente delle ex aree industriali e minerarie del Sulcis Iglesiente. Da allora, sono stati stanziati 150mila euro, ogni anno, per le attività di sperimentazione, fino a oggi. E tra le 80 aziende agricole intenzionate a mettere a disposizione le proprie superfici, sono stati individuati 8 siti sperimentali.
«Siamo in piena attività sia in campo che in laboratorio. La ricerca ci sta facendo valutare tutti gli aspetti del processo. Difficoltà burocratiche, coinvolgimento dei produttori, non così scontato e il fatto che in Sardegna la canapa diventa una coltura irrigua» precisa Gianluca Carboni, responsabile scientifico del progetto per Agenzia Regionale per l’Agricoltura della Sardegna (Agris).
In laboratorio si stanno valutando attentamente i meccanismi di assorbimento delle piante, a partire dalle radici. La canapa, infatti, si è rivelata capace di crescere nei terreni altamente inquinati da metalli e «rimediare» cadmio, cromo, nichel, piombo, rame e zinco. Ciò avviene attraverso un meccanismo di autodifesa tende a limitare l’assorbimento dei metalli all’apparato radicale, impedendo che questi abbondino nella parte superiore.
Una filiera verde per le bonifiche
«Con i colleghi di Sardegna Ricerca stiamo anche provando lo smaltimento di canapa industriale contaminata dopo la bonifica, attraverso un biodigestore, che simula un impianto industriale – precisa Carboni – riducendo la biomassa, almeno di 10-20 volte».
In Sardegna, quindi, si sta iniziando a realizzare quanto si è teorizzato in Puglia, attraverso la creazione di green economy, in grado di risanare i luoghi più contaminati e desolati. Mitigando i cambiamenti climatici. In fase di crescita, infatti, ogni ettaro coltivato a cannabis sativa può sequestrare fino a 15 tonnellate di anidride carbonica. Varrebbe la pena di investirci di più.