Terre e metalli rari: 12 imprese nel mirino degli azionisti attivi
Un rapporto della rete europea di azionisti attivi Shareholders for Change elenca le imprese potenzialmente esposte a rischi causati dall'estrazione e utilizzo di questi prodotti
Si chiamano ittrio, lantanio, praseodimio, neodimio, terbio, cerio e la lista non finisce qui. Non sono malattie infettive ma alcuni tra i 17 elementi chimici noti con il nome di “terre rare”, ingredienti fondamentali, assieme ai più noti “metalli rari” (cadmio, cobalto, cromo, litio, magnesio, palladio, rodio, ecc.) della transizione energetica verso un’economia a basse emissioni di gas serra.
Si trovano, infatti, all’interno di turbine eoliche, nelle batterie delle auto elettriche, nei pannelli fotovoltaici e nelle lampadine a basso consumo.
Hanno però almeno due problemi principali: sono estratti e commercializzati soprattutto dalla Cina, che opera in una situazione di quasi monopolio oppure da Paesi a rischio per i diritti umani, come la Repubblica Democratica del Congo (cobalto). E sono esposti a una serie di rischi, sia per l’ambiente (inquinamento delle falde, erosione dei suoli, scarico di acque reflue tossiche) sia per i lavoratori (mancanza di protezione).
È quello che denuncia, con abbondanza di dettagli, tabelle ed esempi pratici, un nuovo rapporto, “Les chaînes d’approvisionnement en métaux rares” (le catene di approvvigionamento dei metalli rari) presentato a Firenze dall’investitore francese Meeschaert Asset Management e dalla rete europea di azionisti attivi SfC – Shareholders for Change, riunita per l’assemblea estiva.
Una guida per gli investitori responsabili
«È il primo rapporto di questo tipo destinato agli investitori socialmente responsabili», spiega a Valori.it Aurélie Baudhuin, presidente di SfC e vice-direttore generale di Meeschaert AM. «Vogliamo promuovere nuovi temi di engagement con le imprese che utilizzano metalli e terre rare nei loro processi di produzione, in particolare nel settore delle energie rinnovabili e delle auto elettriche. Perché non può esserci una transizione sostenibile verso un’economia low carbon se non si riducono al minimo i rischi, sociali e ambientali, legati all’estrazione di materie prime chiave per le nuove tecnologie».
Da Siemens a Renault a Solvay: ecco le imprese sotto la lente
La ricerca di Meeschaert AM – SfC individua dodici imprese potenzialmente esposte a rischi collegati all’estrazione e utilizzo di metalli e terre rare: Vestas, Siemens-Gamesa, Orsted, Iberdrola e Nordex nel settore eolico; PSA, Renault, Daimler e BMW, nel settore automobilistico; Johnson Mattey, Umicore e Solvay nel settore chimico (indotto delle auto elettriche).
Per ogni impresa si specificano anche le domande che gli azionisti attivi possono porre, in occasione delle assemblee generali, oppure in incontri a porte chiuse con il management o in lettere e appelli.
A BMW, per esempio, che intende produrre 500mila auto elettriche entro il 2020, si chiede quale procedura si segue in caso di non conformità dei fornitori, visto che nel 2018 sono stati identificati, dalla stessa società, 193 casi, che non avrebbero però portato alla cessazione di alcun contratto di fornitura.
Mentre al gigante dell’eolico spagnolo Iberdrola si chiede se i metalli rari siano integrati nel modello di economia circolare del gruppo. «Abbiamo preparato una cinquantina di domande», continua Baudhuin, «saranno la base per le attività di engagement con le imprese della rete di SfC a partire dalla seconda metà del 2019».
140 miliardi di euro di domande alle imprese
La rete SfC – Shareholders for Change, che nel corso dell’assemblea di Firenze ha dato il benvenuto al dodicesimo socio, la banca etica svizzera ABS, rappresenta attualmente circa 140 miliardi di euro e, nella prima metà del 2019, ha organizzato una decina di azioni congiunte: dalla mozione sulle remunerazioni dei manager all’assemblea degli azionisti di H&M, alle domande su carbone e sul piano di riforestazione alle assemblee di Enel ed Eni , agli interventi alle assemblee di Rheinmetall e Snam.
«Nella seconda metà dell’anno torneremo sul tema della responsabilità fiscale delle imprese del settore telecomunicazioni, dopo la pubblicazione del rapporto “Bad Connection”. Abbiamo avuto una call molto interessante con Deutsche Telekom e ci sono arrivate risposte da Telecom Italia e Vodafone. Ma ci sono ancora molti punti che necessitano di essere chiariti», spiega Aurélie Baudhuin. «E poi ci dedicheremo alle pratiche fiscali dei maggiori gruppi bancari europei. A dicembre, nel corso dell’assemblea invernale, che si terrà a Madrid, pubblicheremo i risultati di tutte le nostre attività di engagement con le imprese nel nostro engagement report annuale».