L’Unione europea rivede la lista dei paradisi fiscali. E salva le Bermuda

L'Unione europea ha aggiunto tre Stati alla blacklist dei paradisi fiscali, ma ha tolto le Bermuda perfino dalla lista grigia

Una filiale di HSBC nel centro di Hamilton, capitale dell'isola di Bermuda © sainaniritu/iStockPhoto

Mercoledì 4 ottobre i ministri delle Finanze europei hanno approvato la revisione della blacklist dei paradisi fiscali stilata dall’Unione europea. Tre i Paesi aggiunti alla lista nera perché presentano un regine fiscale che attrae profitti senza presentare, parallelamente, attività economiche tali da giustificare simili numeri. Si tratta di Anguilla, Bahamas e Turks e Caicos.

Altre due giurisdizioni sono state invece aggiunte alla greylist, ovvero l’elenco di Paesi che non soddisfano almeno uno dei criteri, ma che si sono per lo meno impegnati a riformarsi in futuro. I due Stati in questione sono Armenia ed Eswatini. Due, infine, sono stati rimossi dalla greylist: Bermuda e Tunisia. Il che ha suscitato forti critiche da parte delle organizzazioni non governative.

La rimozione di Bermuda dalla lista suscita critiche

È in particolare la rimozione di Bermuda a suscitare profonde perplessità. «Come si può dare credibilità a questo elenco?», si domanda Chiara Putaturo, esperta di questioni fiscali per Oxfam Europa. «Le Bermuda sono uno dei peggiori paradisi fiscali del mondo, con la loro aliquota pari allo zero per le società.

Eppure, l’Unione europea l’ha tolta dalla lista. Solo per aver avanzato qualche velleitaria promessa di riforma. Come se non bastasse, i principali paradisi fiscali europei, come il Lussemburgo, non sono presenti nell’elenco. Ciò in quanto tutti i Paesi dell’UE ricevono automaticamente un lasciapassare».

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Di paradisi fiscali si parlerà a Modena sabato 22 ottobre all’interno del panel dal titolo “I soldi in paradiso” con Misha Maslennikov di Oxfam Italia

«Questa – ha aggiunto Oxfam in un comunicato stampa – non è più una lista nera, ma una lista di Stati “ripuliti”. Sono due anni che l’Ue si è impegnata a rendere la blacklist più severa e nulla è stato fatto. I criteri rimangono deboli. L’Europa dovrebbe inserire automaticamente nella lista nera i Paesi a fiscalità zero o molto bassa. E sottoporre gli Stati europei allo stesso livello di controllo dei quelli extraeuropei. L’elenco attuale è ipocrita, poiché i principali paradisi fiscali europei, come Malta e Lussemburgo, non sono menzionati. Mentre Paesi extraeuropei come Eswatini e Botswana rischiano di finire dentro».

Una blacklist che non comprende i peggiori paradisi fiscali

L’attuale blacklist comprende solo uno dei 20 peggiori paradisi fiscali al mondo individuati dal Tax Justice Network nel 2021. E solo uno fra quelli elencati da Oxfam nel 2016, in un’analisi ancora attuale. Dei 12 Stati al mondo che offrono un’aliquota fiscale pari allo 0%, tre sono nella lista nera e due nella lista grigia. Ne restano dunque fuori ben sette.

E le Bermuda sono state appunto cancellate dalla greylist, pur facendo parte delle giurisdizioni che offrono una tassazione totalmente azzerata. Non a caso sono considerate il terzo paradiso fiscale più dannoso nel Tax Justice Netowork Tax Havens Index e il primo nella classifica dei paradisi fiscali di Oxfam 2016.

Nel luglio del 2020, la stessa Commissione europea aveva chiesto di riformare i criteri di definizione della lista dei paradisi fiscali. Nonché di precisare il concetto di “pratica fiscale dannosa” per l’Unione. Un anno e mezzo più tardi, nel dicembre 2021, i Paesi membri si sono riuniti a tale scopo, ma non sono riusciti a trovare un accordo.