Stati Uniti, le cause (e i risultati) dell’enorme sciopero del settore automotive

Il sindacato statunitense UAW ha indetto un enorme sciopero del settore automotive, il primo in 88 anni. Ora arrivano i primi risultati

Lo sciopero del settore automotive negli Stati Uniti © Official White House Photo by Adam Schultz/Wikimedia Commons

A metà settembre è stato indetto un enorme sciopero del settore automotive, uno dei più grandi della storia degli Stati Uniti. Il primo in 88 anni di storia del United Auto Workers (UAW), il sindacato dei lavoratori del comparto. È lo “Stand up strike” e ha coinvolto più di 15mila lavoratori delle tre maggiori case automobilistiche, Ford, General Motors e Stellantis (di cui fa parte il gruppo Fiat e il cui presidente è John Elkann). 

Il 29 ottobre, dopo 42 giorni di protesta, sono arrivati i primi risultati. Uaw ha annunciato di aver trovato un accordo prima con Ford, seguito nei giorni successivi da un accordo analogo con Stellantis e infine anche con General Motors. Ma l’ultima parola spetta ai lavoratori. 

Perché UAW ha proclamato lo sciopero del settore automotive

Le cause dello sciopero del settore automotive vanno ricercate nella grande disuguaglianza che ha caratterizzato finora gli stipendi medi di operai da un parte e dirigenti dall’altra. Ford, GM e Stellantis hanno accumulato 250 miliardi di dollari di profitti negli ultimi dieci anni. Negli ultimi quattro, le retribuzioni degli amministratori delegati sono cresciute del 40%, mentre il salario reale dei lavoratori è diminuito del 30%. 

Questi numeri sono contenuti in una ricerca pubblicata dall’Economic Policy Institute (EPI). Secondo l’EPI, nel 2021 l’amministratore delegato medio di una azienda statunitense ha ricevuto una retribuzione di 27,8 milioni di dollari compresi i premi in azioni, 399 volte superiore a quella del lavoratore tipico. Dal 1978 al 2021, la retribuzione degli amministratori delegati è cresciuta del 1.460% al netto dell’inflazione, contro il 18,1% del lavoratore medio. 

Per compensare l’inflazione, dunque, UAW – che rappresenta circa 146mila lavoratori – ha quindi proposto aumenti del 40% della retribuzione oraria nei prossimi quattro anni.

Quali sono le proposte delle case automobilistiche

A sei settimane dall’inizio dello storico sciopero, il sindacato ha ottenuto un accordo provvisorio con Ford, che impiega 57mila dei suoi iscritti, e con Stellantis. I membri dell’UAW di Ford sono tornati al lavoro, mentre il Consiglio nazionale Ford del sindacato si riunirà a Detroit per rivedere l’accordo temporaneo che, come spiega la testata Jacobin, prevede un aumento del 25% del contratto, più una serie di altre concessioni. Un accordo simile è stato raggiunto tra le parti e Stellantis. Alla fine ha ceduto anche General Motors.

Tenendo conto dell’aumento del costo della vita, il sindacato ha affermato che ciò equivale a un aumento di oltre il 30% per i lavoratori che guadagnano la tariffa più alta, che crescerà fino a superare i 40 dollari l’ora, e del 68% per quelli che guadagnano la tariffa più bassa, che sale a oltre 28 dollari l’ora. 

fabbrica auto Usa
Una fabbrica di auto negli Usa © Laurel and Michael Evans/Unsplash

Il ruolo dell’auto elettrica nello sciopero del settore automotive

Per una larga maggioranza, politica e mediatica, negli Stati Uniti e altrove, la causa di questi scioperi sarebbero anche le auto elettriche. O meglio, il fatto che negli Usa a tenere le redini della transizione siano le aziende straniere. A Savannah, in Georgia, è in fase di costruzione uno stabilimento dove la coreana Hyundai produrrà auto elettriche e LG Energy Solution batterie. La fabbrica fa parte del grande piano di investimenti per allontanare l’economia statunitense dai combustibili fossili, entrerà in funzione nel 2025 e impiegherà 8mila operai non sindacalizzati. Questo ha portato UAW a entrare in collisione con Ford, GM e Stellantis. Mentre aumentano gli investimenti sui veicoli elettrici, infatti, gli operai temono che la filiera si sposti a Sud e coinvolga altri lavoratori. 

Già oggi, gran parte delle auto vendute negli Usa è prodotta in fabbriche di proprietà non statunitense, dove i dipendenti non sono iscritti al sindacato e gli stipendi sono inferiori rispetto a quelli garantiti dal contratto nazionale. Una sfida nella sfida. Perché, mentre il sindacato cerca di ottenere stipendi più alti, la produzione di veicoli elettrici coinvolge indotti differenti. La posizione di Shawn Fain, presidente di UAW, è netta: «Non resteremo immobili mentre i baroni del petrolio verranno sostituiti da quelli delle batterie».

Se lo sciopero innesca una reazione a catena

Da quando è iniziato lo sciopero si è assistito a un grande effetto a catena. Ford, infatti, ha cercato di sollevare l’attenzione sul rischio di un blocco a cascata della produzione. La casa automobilistica ha affermato che 600 lavoratori dello stabilimento di assemblaggio nello Stato del Michigan, che non stavano scioperando, erano stati temporaneamente sospesi dal lavoro e che non avrebbero ricevuto lo stipendio fino a che i livelli di produzione non sarebbero tornati a crescere.

Il sindacato non ha ceduto a questo ricatto ed è andato dritto per la sua strada. Ottenendo i primi risultati. Diverse analisi dimostrano che, quando un sindacato riesce a ottenere un aumento di retribuzione, anche le fabbriche non sindacalizzate tendono ad alzare gli stipendi per rimanere competitive. Negli Stati Uniti solo il 16% dei lavoratori del settore automobilistico è iscritto al sindacato: nel 1983 erano il 60%. UAW ha dato un nuovo slancio, promettendo di cambiare le sorti in cui vivono gli operai. E, in parte, ci sta riuscendo. Ora la transizione ambientale deve proseguire, tutelando in parallelo anche l’equità sociale.