Coronavirus, dietro al vaccino una grande partita geopolitica
Nel mondo ci sono 35 progetti di vaccino contro il SARS-CoV2. Le condizioni di accesso alla cura stanno scatenando una guerra tra Stati e industrie farmaceutiche
Nelle grandi città, o nei piccoli centri abitati, stiamo scivolando giorno dopo giorno in una specie di sceneggiatura da film distopico. Come se le strade vuote, i guanti di lattice, le mascherine e l’autoisolamento fossero la nuova normalità. Siamo raggiunti sempre di più da notizie di persone che conosciamo e che sono risultate positive. Da qualche giorno si fa strada anche la notizia di familiari di amici che sono ricoverati, o che non ci sono più. Insomma, la situazione è pesante, e si aggrava. Proprio la gravità della situazione però impone uno sforzo di riflessione e di domande che magari sembrano irrilevanti ai più, sfumano rispetto alla conta quotidiana, triste rituale delle epidemie.
Non era mai accaduto prima nella storia umana che tutto l’ingranaggio del mondo si fermasse improvvisamente a causa della diffusione di un virus. SARS-CoV2 ha fatto il salto di specie in un momento imprecisato, in un luogo imprecisato della città di Wuhan, in Cina, e da quel momento si aggira silenzioso e attraversa inarrestabile confini nazionali che la globalizzazione ha cercato di smussare quanto più possibile negli ultimi decenni.
Multilateralismo a pezzi
Qui il primo suggestivo paradosso. Mentre il coronavirus ci rammenta quanto siamo interconnessi e interdipendenti, pur nelle nostre fragilità funzionali ed esistenziali, il multilateralismo esce a pezzi da questi primi mesi di contagio mondiale.
Ammesso e concesso pure che la Cina abbia di primo acchito minimizzato la portata della polmonite anomala che ha fatto la sua comparsa negli ospedali di Wuhan (pare) alla fine di novembre 2019 – per oggettiva ignoranza del virus, per timori economici o per propaganda politica – gli stati della comunità internazionale non hanno dato grande prova di solidarietà e cooperazione con il paese colpito dal focolaio originario della pandemia. Semmai hanno guardato con qualche pregiudizio alla Cina. Nella convinzione che le immagini trasmesse da Wuhan non li avrebbero mai riguardati. Che l’epidemia, non si sa bene perché, non avrebbe investito il mondo occidentale.
Fatto sta che i leader del mondo avrebbero fatto meglio a studiare con cura i dati di tendenza che la Cina ha condiviso dal 7 gennaio (giorno della dichiarazione dell’epidemia) in poi. Avrebbero capito così che il mondo intero si sarebbe trovato coinvolto da Covid19, in fasi diverse della stessa evoluzione virale.
35 concorrenti nella corsa al vaccino
La vicenda Coronavirus abbraccia aspetti di lungo periodo che sono del tutto decisivi. Uno di questi rimanda alla corsa al vaccino contro Covid19. Sappiamo che ci sono circa 35 progetti in corso, nei diversi centri di ricerca del pianeta. Tuttavia non sappiamo che cosa stiano facendo i governi per irrobustire sia la competenza negoziale che la comune visione strategica da mettere in campo quando finalmente il primo vaccino contro SARS-CoV2 sarà scoperto e testato.
Date le circostanze del tutto inedite in cui si trova il mondo a causa della malattia, saper maneggiare la partita potentemente geopolitica delle condizioni di accesso al vaccino, quando i primi prodotti saranno validati dalla ricerca clinica, dovrebbe far parte del pacchetto d’emergenza che la comunità internazionale farebbe bene a predisporre da subito.
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Da quanto vediamo, purtroppo, sembra che il sovranismo sanitario faccia scuola anche su questo fronte. ll livello di competizione piuttosto che di collaborazione fra stati è stato messo in scena plasticamente da Donald Trump, il quale non più tardi di una settimana fa ha cercato di comprare il brevetto del vaccino “in fieri” della casa farmaceutica tedesca CureVac, una azienda che annovera tra i sui maggiori finanziatori la Fondazione Bill e Melinda Gates.
Commissioner @GabrielMariya and I spoke with @CureVacAG, a company doing highly innovative research on vaccine against the #coronavirus. The EU has supported the company’s research early on & will now finance again. Crucial to find asap the vaccine that will help the whole world.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 16, 2020
Il presidente degli Stati Uniti avrebbe offerto a CureVac un miliardo di dollari pur di ottenere l’esclusiva brevettuale del vaccino. Una somma di denaro assolutamente ridicola, a testimoniare l’ignoranza di Trump in materia di proprietà intellettuale e ed opportunità esclusive, quelle sì, al settore farmaceutico.
Il sistema delle patent boxes di Big Pharma
La montagna di profitto che una casa farmaceutica prevede di guadagnare da un regime di proprietà intellettuale come quello in vigore con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) si aggira comunemente nell’ordine di diverse decine di miliardi di dollari per singolo prodotto. Figuriamoci nel caso del vaccino contro Covid19.
Le multinazionali del farmaco inoltre sono aduse a sistemare i brevetti in patent boxes – sistemi di agevolazione fiscale dedicati ai redditi che derivano dall’utilizzo di opere di ingegno come i brevetti, appunto – di paesi con regimi fiscali vantaggiosi. In alternativa, collocano i brevetti nei paradisi fiscali. Questi beni intangibili sono pertanto come le galline dalle uova d’oro: assicurano entrate decennali (20 anni) con scarsi oneri fiscali, o addirittura esentasse. CureVac deve aver irriso la proposta di Trump, prima ancora che rifiutarla per intervento del governo tedesco.
Le 3 lezioni che l'#Europa può imparare dal caso #CureVac, spiegate da @j_hackenbroich nella nuova analisi di @ecfr 👇 https://t.co/Xik0t7JADy
— ECFR Roma (@ECFRRoma) March 24, 2020
La guerra sul costo del prodotto
Ma la storia non finisce qui. Nel circuito farmaceutico mondiale, da qualche anno a questa parte, un paradossale ribaltamento di prospettiva si è fatto strada rispetto alla nozione di farmaco essenziale. Questo concetto gode di una validazione internazionale in sede di Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) dal 1977. Una delle condizioni necessarie a far approvare un farmaco essenziale, oltre al suo valore terapeutico salvavita, è l’accessibilità economica. La più recente prassi delle aziende, invece, sovverte questa regola con l’introduzione di un “modello di prezzo basato sul valore” (value-based price model). In cosa consiste? Consiste nella unilaterale decisione di fissare prezzi tanto più elevati, quanto più il farmaco è necessario alla cura e a salvare la vita delle persone. Uno sviluppo particolarmente inquietante per l’Oms.
Date le premesse, è facile sospettare che la scoperta del vaccino contro il coronavirus scateni una guerra senza esclusione di colpi sul costo del prodotto.
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La mossa del Cile per derogare ai brevetti
Spesso le aziende hanno il coltello dalla parte del manico. Il 17 marzo, la Camera dei Deputati del Cile ha approvato ad ampia maggioranza una risoluzione per impegnare il governo a riconoscere la necessità di licenze obbligatorie (per derogare al brevetto) nel caso di diagnostici, vaccini, medicinali, e degli altri strumenti medici che servono a trattare pazienti di Covid19.
L’unica chance per i governi è tessere da ora una strategia di salute pubblica comune che consenta di negoziare con le aziende le condizioni del prezzo del vaccino da una posizione di forza. La trasparenza è importante, ma non sufficiente. Covid19 finora ci rammenta la importanza della responsabilità dei governi. A loro spetta far valere, se necessario, le clausole di eccezione brevettuale dell’accordo TRIPS (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), per impedire che l’esclusiva della proprietà intellettuale impedisca la possibilità di accesso al vaccino contro SARS-CoV2.
Se la lotta a Covid19 è una specie di guerra sanitaria, sarà altrettanto necessario che I governi si preparino alla guerra commerciale e finanziaria con le case farmaceutiche, meno innocenti del virus.
* Nicoletta Dentico, giornalista esperta di salute globale e sviluppo, da sempre impegnata per i diritti umani, ha guidato in Italia la Campagna per la messa al bando delle mine anti-persona. In qualità di direttrice di Medici Senza Frontiere (MSF) in Italia e ha partecipato con MSF Internazionale alla campagna per l’accesso ai farmaci essenziali. Ha collaborato con l’Oms e diverse organizzazioni internazionali. È responsabile del programma salute globale di Society for International Development (SID).