Venezuela, tra Guaidò e Maduro vinceranno gli Stati Uniti e i mercati
Qualunque sarà l'esito della lotta tra chavisti e opposizione, il Paese sudamericano rimarrà povero e dipendente dal petrolio
Sono molti gli osservatori internazionali non sospettati di simpatie verso Nicolàs Maduro che parlano di “golpe” in Venezuela. Le Monde, The Guardian e altri affermano che qualcosa non torna nella dinamica degli ultimi giorni a Caracas.
Sicuramente la mossa di Juan Guaidò ha presso in contropiede tutti, governo e opposizione venezuelana. L’ingegnere trentacinquenne è riuscito in un sol colpo a riaprire una vicenda ormai dimenticata dai media internazionali con una mossa a sorpresa: la sua nomina da parte dell’Assemblea legislativa venezuelana a presidente provvisorio con il compito di convocare nuove elezioni presidenziali.
Juan Guaidó si autoproclama presidente ad interimUna nuova Guerra fredda senza ideologia
Una clamorosa novità per l’opposizione che non era riuscita a darsi una nuova linea dopo il clamoroso fallimento della strategia della “piazza”, cioè del tentativo di rovesciare il regime di Maduro con la mobilitazione dei cittadini. Anche la comunità internazionale è sembrata spiazzata, con l’obbligo di schierarsi con uno o con l’altro in modo netto. In poche ore si sono visti infatti i due blocchi della nuova Guerra Fredda senza ideologia che si era consolidato durante il conflitto siriano, da una parte Russia, Cina, Iran e Turchia, dall’altro gli Stati Uniti, l’Europa e le new entry dei paesi sudamericani che hanno cambiato colore politico negli ultimi tempi.
"Beijing’s support for Mr. Maduro also risks alienating other Latin American countries that have backed Mr. Guaidó and undermines the image Beijing cultivates as an enabler of development and stability to other developing nations." https://t.co/v7QW0rn9N9
— Luc Cohen (@cohenluc) February 2, 2019
Le radici di questo scontro istituzionale al massimo livello ha radici più lontane però. La frattura della società venezuelana tra governo e opposizione risale già ai tempi di Hugo Chavez, ma indubbiamente sono state le elezioni legislative del 2015, perse dal governo, che hanno innescato gli strappi successivi.
Un Paese bloccato da reciproci estremismi
All’epoca si avrebbe dovuto siglare un patto di reciproco rispetto delle prerogative tra Esecutivo e Legislativo entrambi eletti legittimamente. Prevalse invece da entrambi le parti la chiusura totale e il rifiuto di riconoscere l’obbligo di “coabitazione” imposto dal voto dei cittadini. Il Parlamento che inizio da subito una campagna di delegittimazione del presidente della repubblica, e, cosa ancora più grave, la mossa di Maduro di insediare nel 2017 un’Assemblea Costituente che man mano ha preso il posto del Parlamento.
Tale assemblea avrebbe dovuto occuparsi di Costituzione. È invece diventata una Camera “personalizzata” per l’esecutivo che ha legittimato ogni passo successivo. Anche l’Assemblea Costituente era stata eletta dai cittadini, ma praticamente senza la partecipazione dell’opposizione e soprattutto con poteri autoatribuiti ben oltre il dettato costituzionale. Il tutto in una cornice di dissesto economico come poche volte si è visto negli ultimi anni. Il Venezuela è afflitto da iperinflazione, fuga di capitali, emigrazione di massa, penuria di alimenti e con la sua capacità di estrazione di greggio ridotta di due terzi rispetto a 10 anni prima.
Inflazione in Venezuela. FONTE: tradingeconomics.com
Rapporti commerciali con gli Usa mai messi in discussione
Gli Stati Uniti, principali indiziati della mossa di Guaidò cosa c’entrano con l’evoluzione degli ultimi giorni? Forse poco, forse molto, a seconda delle versioni. I dati statistici ci parlano però di rapporti commerciali tra i due paesi che non sono mai stati in realtà intaccati dalla lontananza politica.
Dagli ultimi dati disponibili, gli scambi tra i due paesi nel 2018 è stato di 16,5 miliardi di dollari. Una cifra pari a quella del 2017 è in leggera crescita rispetto al 2016. Il Venezuela ha comprato negli USA merci per 4,5 miliardi di dollari nel 2018, segnando un più 29% rispetto al 2017.
Nell’ultimo anno, il Venezuela ha venduto agli Stati Uniti petrolio per un valore di 8,6 miliardi di dollari, con un calo del 4,7% rispetto all’anno prima. In realtà come volumi è stata meno, ma il prezzo medio è aumentato nel periodo da 42 dollari a 62. Soltanto nell’ultimo anno, Caracas ha avuto un calo di produzione di oltre 700mila barili/giorno per problemi con gli impianti ormai vecchi e in cattive condizioni.
La fame Usa per il petrolio di qualità
Gli Stati Uniti continuano a comprare petrolio venezuelano, malgrado l’autonomia energetica che garantisce ora lo shale oil. Il petrolio venezuelano, extra pesado, è infatti piuttosto raro e adatto a lavorazioni importanti come l’asfalto. Parte dell’estrazione venezuelana tra l’altro è stata impegnata nel pagamento del debito, ad esempio con la Cina, invece di essere stata immessa sul mercato.
Questi dati raccontano una verità facilmente verificabile dalle statistiche economiche, e cioè che mai gli Stati Uniti hanno seriamente voluto dare un colpo mortale al Venezuela bolivariano, bloccando gli acquisti o dichiarando un embargo sul paese. Le misure di Washington sono state sempre mirate a colpire l’entourage politico di Maduro, ma senza scommettere seriamente sulla rottura.
Il fattore esercito
La mossa di Guaidò e l’automatico riconoscimento USA come va letto allora? Vi sono una serie di indizi e nessuna certezza. La terribile crisi economica ha portato all’estensione delle proteste contro il governo ai ceti popolari.
L’esercito ha dovuto intervenire oltre 50 volte nell’ultimo mese per sedare manifestazioni nei quartieri popolari di Caracas, gli stessi dai quali provengono i soldati. La compattezza dell’esercito resta, ma le crepe sono visibili. I focolai di ribellioni all’interno della Guardia Nacional Bolivariana sono venuti alla luce pochi giorni fa. E non si tratta di un corpo qualsiasi, ma della spina dorsale del chavismo nell’esercito.
Will Venezuela’s military back — or abandon — Maduro? Here are the 4 things it will consider. – The Washington Post https://t.co/wgpiq7FuQn
— Leopoldo Castillo (@elcitizen) February 2, 2019
Per Trump l’ennesima arma di distrazione di massa
Altro fronte quello USA, dove dopo la sconfitta di Donald Trump che ha dovuto sospendere lo shutdown dei fondi federali senza ottenere i soldi per il suo muro col Messico e l’aggravarsi delle inchieste sul Russiagate, il Venezuela può offrire l’ennesima cortina fumogena per distrarre l’opinione pubblica.
Il terzo dato da considerare è che per quanto sconosciuto fino a ieri e giovanissimo, Guaidò è leader di un partito dell’Internazionale Socialista con grandi crediti in Europa. Non fa parte della schiera dei dinosauri rissosi ai quali ci aveva abituato l’opposizione a Maduro.
Da Guaidò prime mosse rassicuranti
Le sue prime mosse contengono diversi segnali non da poco. L’amnistia offerta a Maduro, le rassicurazioni sugli investimenti cinesi e russi e l’appello all’esercito perché diventi protagonista della transizione fanno parte di un nuovo linguaggio, più moderato e soprattutto che lascia spazio alla mediazione. Soprattutto il richiamo al ruolo dell’esercito, che se oggi dovesse garantire una transizione ordinata sarebbe ancora strategico per il nuovo ceto politico venezuelano, garantendosi i privilegi concessi dal chavismo.
Per la mediazione stanno lavorando il Messico e l’Uruguay, e forse la Spagna e la Francia, oltre ovviamente Papa Francesco che si batte da due anni per questa soluzione. Una mediazione che dovrebbe contenere un’agenda economica per uscire dall’emergenza e una politico-istituzionale di ricostruzione di una dialettica tra forze politiche che non devono essere nemiche mortali, ma solo antagoniste.
Non paragonatela alla Siria
In conclusione, il Venezuela è tornato all’attenzione mondiale ed è entrato suo malgrado nel gioco geopolitico mondiale. A differenza della situazione siriana, qui non ci sono le milizie hezbollah, le truppe dell’Isis, l’esercito turco o iraniano e i caccia di Mosca.
La soluzione dei problemi del paese sudamericano sarà pura ed esclusivamente politica anche se non si può escludere che scorra ancora del sangue.
Gli Stati Uniti nella loro storia non sono mai intervenuti direttamente sotto il Panama, i russi possono sostenere Caracas al Consiglio di Sicurezza ma non possono mandare truppe. Le loro sparate sono rivolte alle rispettive opinioni pubbliche e poco più.
I mercati scommettono sulla ristrutturazione
Gli unici che pensano che la soluzione possa non essere lontana sono i mercati, che in questi giorni hanno rivalutato il debito venezuelano nella convinzione che ci sarà una ristrutturazione del debito con il governo che verrà.
Dopotutto, la quota dell’economia venezuelana in mano ai privati è aumentata dal 65% al 71%, strano bilancio per il cosiddetto socialismo del XXI secolo.
Comunque vada, il Paese sarà povero e dipendente dal greggio
Il Venezuela, per quanto si affermi, con Chavez e con Maduro non è mai uscito dal solco del capitalismo e non ha mai rotto i legami commerciali econ gli Stati Uniti e quindi con i mercati.
Con quali tempistiche e con quali persone avverrà la transizione non è dato sapere, non sicuramente nei tempi del ridicolo ultimatum europeo di 8 giorni. I tempi saranno lunghi e probabilmente sofferti, e quando tutto finirà il Venezuela ripartirà ancora una volta povero e dipendente dal petrolio, che forse non sarà nemmeno più tutto suo.