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WWF: dimezzati gli animali marini in 40 anni

La popolazione di animali marini (mammiferi, uccelli, rettili e pesci) ha perduto circa la metà dei suoi esemplari dagli anni Settanta ad oggi. A spiegarlo è ...

Di NSFUSAP photo by Steve Clabuesch; uploaded by enUserFishdecoy [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
Di NSFUSAP photo by Steve Clabuesch; uploaded by enUserFishdecoy [Public domain],   attraverso Wikimedia Commons
Di NSFUSAP photo by Steve Clabuesch; uploaded by enUserFishdecoy [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

La popolazione di animali marini (mammiferi, uccelli, rettili e pesci) ha perduto circa la metà dei suoi esemplari dagli anni Settanta ad oggi. A spiegarlo è un rapporto pubblicato questa mattina dall’organizzazione non governativa WWF, secondo il quale «l’azione dell’uomo è all’origine di questo trend: dalla pesca sfrenata alle industrie estrattive, passando per l’inquinamento, la conseguente acidificazione degli oceani e lo sfruttamento delle coste».

Su scala mondiale, il consumo medio di pesce per abitante è pari ormai a 19, 2 chilogrammi (dato del 2012), contro i 9, 9 chilogrammi del 1960. L’analisi del WWF, che si basa sulle osservazioni effettuate su un campione di 5.829 popolazioni, appartenenti a 1.234 specie, specifica che alcune di queste ultime hanno visto perdere il 75% dei loro esemplari, con un calo più ampio registrato in particolare a metà degli anni Ottanta.

Mappa sulla pesca nel mondo,   da Valori 125,   febbraio 2015,   con dossier sul sea grabbing e lo sfruttamento delle risorse degli oceani
Mappa sulla pesca nel mondo, da Valori 125, febbraio 2015, con dossier sul sea grabbing e lo sfruttamento delle risorse degli oceani

«Stiamo conducendo gli oceani sull’orlo del precipizio – spiega il direttore generale dell’associazione ambientalista, Marco Lambertini, nella prefazione del rapporto -. In una sola generazione, le attività antropiche hanno gravemente danneggiato i mari, soprattutto a causa della cattura di pesci ad un ritmo superiore a quello della loro riproduzione». Ciò, ha aggiunto, rischia di provocare «una grave crisi economica».