Le aree protette sono un buon investimento: investi 1, ricavi 12

Il National Park Service calcola: per ogni dollaro investito dal Congresso, il sistema Parchi USA ne produce 12. Un contributo di 40 miliardi all’economia nazionale

Emanuele Isonio
Emanuele Isonio
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La loro superficie totale supera quella di Italia e Svizzera messe insieme. Il reddito prodotto, considerato nel complesso, doppierebbe quello dell’Islanda. I turisti che li hanno visitati, da quando sono stati creati, sono una volta e mezza gli abitanti della terra. La rete dei Parchi nazionali statunitense è un colosso di 401 riserve e 49 aree “d’interesse nazionale” distribuite in tutti gli Stati della federazione. Imponente la dotazione economica: poco più di 3 miliardi di dollari ogni anno, stanziati dal Congresso di Washington.

Un buon investimento

Ma i vertici del National Park Service non vogliono sentir parlare di spesa. «Un buon investimento», piuttosto. E dar loro torto è difficile: «per ogni dollaro investito dal Congresso – spiega a Valori Jeffrey Olson, portavoce del NPS – all’economia nazionale ne ritornano dodici. E nel sistema parchi non ci sono ulteriori investimenti dei singoli Stati». Ovviamente nel conto vengono considerate solo le ricadute dirette, senza pensare ai servizi ecosistemici che una rete così ampia di aree protette garantisce.

Il “Pil” di Yellowstone e Grand Canyon

E così, scorrendo le pagine del rapporto sugli “effetti della spesa dei turisti” pubblicato ogni anno dal NPS, si scopre che i 6,3 milioni di visitatori del Grand Canyon in Arizona hanno speso quasi un miliardo di dollari, producendo un valore aggiunto di 673 milioni e un output di 1,15 miliardi. 647 milioni il “pil” prodotto dai 4,1 milioni di turisti dello Yellowstone in Montana. E 327 milioni arrivano dalle gole e dalle rocce dello Zion Park nello Utah.

«I nostri parchi sono il motore dell’economia delle comunità locali» ha affermato Catherine Cullinane Thomas, tra gli autori del rapporto periodico sull’impatto economico dei Parchi americani, redatto dal Dipartimento federale dell’Interno.

Un sostegno nient’affatto marginale visto che le spese dei turisti – si legge nel rapporto – permettono l’esistenza di 329mila posti di lavoro tra diretti e indotto per un totale di 13,6 miliardi di dollari di salari. In crescita impetuosa, peraltro: nel 2013 erano “appena” 9,2 miliardi (+47% in 5 anni). E il contributo totale dei parchi all’economia a stelle e strisce ha superato la somma di 40 miliardi di dollari (a fronte dei 26,5 miliardi del 2013: + 49%).

Risorse per i territori

Soldi che, per lo più, vanno a finanziare territori spesso lontani dai grandi centri di sviluppo industriale ed economico: una ventina di miliardi rimangono infatti alle comunità che vivono nel raggio di 60 miglia dai parchi. Tenendo conto solo di bar e ristoranti, permettono l’esistenza di 60mila posti di lavoro e 4 miliardi di prodotto. Certo, si può obiettare che spesso la qualità di cibo e bevande nei menu Usa non è da chef stellato né biologico o a chilometri zero. Una riflessione essenziale se si vuole effettivamente costruire un sistema economico a basso impatto ambientale.

Resta il fatto che il sistema dei parchi naturali è stato pensato per essere una risorsa economica del territorio e non solo uno strumento di tutela ambientale. E infatti, ogni visitatore, in media lascia alle strutture ricettive della zona 157 dollari al giorno. A dimostrazione che oltre a possedere un patrimonio naturale di grande bellezza bisogna costruirci attorno un sistema che permetta di renderlo economicamente vantaggioso.