Due diligence delle imprese. L’Europa tenta di imporre la vigilanza su diritti e ambiente
Passi avanti e criticità della proposta sulla due diligence delle imprese, ovvero il dovere di vigilanza su diritti e ambiente
Il 23 febbraio scorso la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sulla due diligence. Ovvero il dovere di diligenza e di assunzione di responsabilità, da parte delle imprese, in materia di diritti umani e ambiente. Attesa da tempo da parte di associazioni, Ong e sindacati la direttiva ha lo scopo di rendere le aziende legalmente responsabili del loro impatto sulle persone e sul Pianeta. Ciò imponendo obblighi di verifica e prevenzione delle conseguenze negative derivanti dalle loro attività su lavoratori, consumatori, comunità vulnerabili ed ecosistemi.
Perché una direttiva sulla due diligence
«Le imprese multinazionali si trovano oggi ad operare in tutto il mondo in un contesto di sostanziale impunità», dichiara Giosuè De Salvo, co-portavoce della campagna Impresa 2030, nata alcuni mesi fa per coordinare dieci organizzazioni della società civile italiana da tempo attive su questi temi. «Molte corporation – prosegue De Salvo – sono coinvolte in devastazioni ambientali, violazioni sistematiche dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, espulsioni di popoli indigeni e sfruttamento del lavoro minorile».
L’intervista
«Imponiamo alle aziende di rispettare natura e diritti umani»
Imprese, ambiente e diritti umani: perché imporre le due diligence. Intervista a Martina Rogato, portavoce della campagna Impresa 2030
Alcuni dati significativi, riportati dalla campagna: i 16 milioni di persone sottoposte a forme moderne di schiavitù lungo le filiere produttive globali. I 287 attivisti uccisi, nel solo 2020, perché impegnati nella difesa dell’ambiente e dei popoli indigeni da iniziative economiche ad alto impatto. E ancora le prime 20 compagnie energetiche del mondo che hanno emesso da sole il 35% dei gas climalteranti dal 1965 ad oggi.
Le reazioni alla proposta di direttiva
I promotori della campagna Impresa 2030 hanno accolto la proposta come una svolta significativa. Ma non ancora sufficiente. «Ci sono diverse criticità evidenti – prosegue De Salvo -. La legge, così pensata, prevede che solo le grandi imprese (quelle cioè con fatturato superiore a 150 milioni di euro e più di 500 dipendenti) siano considerate legalmente responsabili delle violazioni generate direttamente o indirettamente dalle loro attività».
In settori particolarmente ad alto rischio come agricoltura, tessile, abbigliamento ed estrazioni minerarie la soglia scende a 250 dipendenti con ricavi superiori a 40 milioni di euro. Ma questo, sostengono le organizzazioni della società civile, non basta ad estendere la normativa alla stragrande maggioranza delle imprese europee. Che per il 99% sono piccole e medie, incluse quelle dei settori considerati ad alto rischio.
«Rischiamo di perdere l’occasione storica di utilizzare la due diligence come leva strategica per modificare la cultura aziendale. Una cultura che ha sempre anteposto e tuttora antepone il profitto al rispetto dei diritti fondamentali e della natura», aggiunge De Salvo.
Martina Rogato, co-portavoce di Impresa 2030, aggiunge: «La proposta lascia ampi margini per essere aggirata. Le grandi imprese, per esempio, potrebbero aggiungere nuove clausole di condotta nei contratti con i partner fornitori minori. E, così facendo, liberarsi dall’obbligo di vigilanza trasferendolo a questi ultimi».
Gli ostacoli di accesso alla giustizia da parte delle vittime
La proposta di direttiva prevede l’introduzione della responsabilità civile per la mancata osservanza degli obblighi di due diligence. Il testo, però, non tiene conto di una serie di ostacoli nell’accesso alla giustizia da parte delle vittime. E che negano il diritto a un equo processo.
«Non c’è alcun rimedio a una serie di fattori che spesso negano alle vittime di avere un equo processo», spiega De Salvo. Portando come esempi il costo elevato delle spese legali, i termini di denuncia troppo brevi, un onere della prova sproporzionato rispetto alla forza delle controparti.
«Se non si rende più facile per le vittime citare le imprese in giudizio, è improbabile che faccia la differenza – sottolinea Rogato -. Questa mancanza di responsabilità sostanziale rischia di perpetuare i problemi che la direttiva vorrebbe affrontare».
I prossimi passi
«A proposito di riscaldamento globale – conclude De Salvo – la Commissione europea vuole che le imprese adottino un piano di transizione climatica in linea con l’Accordo di Parigi. Tuttavia, la proposta non prevede conseguenze specifiche per la violazione di tale obbligo».
La proposta, attesa e posticipata da giugno 2021 fino a oggi, sarà adesso oggetto di negoziazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio. «Chiediamo alle due istituzioni di rafforzare il testo e colmarne le mancanze, per adattarla alle evidenti e urgenti esigenze di tutela delle persone e del Pianeta», conclude Rogato.