Sostenibile per le persone e l’ambiente: cos’è l’Industria 5.0 e cosa prevede
Una nuova rivoluzione industriale è alle porte: quella che ci porterà nell'era dell'Industria 5.0. Ecco cosa cambierà
«L’Industria 4.0 non è il quadro giusto per raggiungere gli obiettivi europei per il 2030». A metterlo nero su bianco è un policy brief dell’ESIR, il comitato di esperti indipendenti che fornisce alla Commissione europea consulenza strategica all’interno della direzione generale Ricerca e Innovazione. «Senza una strategia industriale verde e sociale – ha aggiunto l’organismo – come pietra angolare del Green Deal, l’Unione europea non riuscirà ad avere successo nella transizione verso un’economia completamente nuova nell’arco di una generazione».
Il Green Deal è il piano europeo da 1.000 miliardi di euro per 10 anni, presentato nel 2019 per rendere l’UE a zero emissioni di gas serra entro il 2050. È finanziato da un terzo del bilancio UE 2021-2028 e da un terzo di NextGenerationEU, il piano di investimenti che comprende il Recovery Fund. Al Recovery Fund si accede tramite PNRR. Se almeno il 37% dei fondi è vincolato alla transizione green, il 20% è legato alla transizione digitale verso l’Industria 4.0. Cioè quella che viene definita la Quarta rivoluzione industriale. Basata sulla comunicazione in tempo reale tra persone e oggetti in ambienti fisico-digitali.
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Ad oggi, le due parti di tale twin transition procedono a compartimenti stagni. Unificarle per rendere l’economia motore di sostenibilità è l’obiettivo dell’Industria 5.0.
Industria 5.0: la definizione
Oltre il profitto, per le persone e l’ambiente: la direzione generale Innovazione e Ricerca definisce in questo modo l’industria 5.0. Partendo cioè dallo scopo, che racchiude le tre dimensioni della sostenibilità. In particolare, scrive nel report “Industry 5.0” pubblicato a gennaio 2021, «l’industria 5.0 riconosce il potere del settore di raggiungere obiettivi sociali che vadano oltre i posti di lavoro e la crescita. Di essere un fornitore di prosperità resiliente, facendo sì che la produzione rispetti i limiti del nostro Pianeta. E ponendo il benessere del lavoratore al centro del processo produttivo».
Il richiamo esplicito nel documento è alla “Society 5.0”, proposta nel 2016 dalla principale federazione imprenditoriale giapponese, la Keidanren. Una società in cui la tecnologia migliora la qualità della vita. E in cui lo sviluppo economico non tralascia di affrontare i problemi socio-ambientali.
Più radicale la definizione nel policy brief ESIR pubblicato a gennaio 2022: «Industria 5.0 significa innanzitutto un decisivo allontanamento dai modelli del capitalismo neoliberista. Incentrato sulla produzione a scopo di lucro e sulla “supremazia degli azionisti”, verso un modello più equilibrato di valore nel tempo e una concezione polivalente del capitale. Umano e naturale, oltre che finanziario».
Industria 5.0: le caratteristiche
Dai due documenti si ricavano le caratteristiche principali dell’industria 5.0: centralità degli esseri umani, sostenibilità e resilienza. La prima viene garantita dal rispetto dei tempi umani di produzione e consumo. Dal considerare ciascuna persona lavoratrice un investimento e non una risorsa da sfruttare. E dall’attenzione ai diritti umani fondamentali come autonomia e privacy. L’ESIR propone come obiettivo dell’Industria 5.0 la formalizzazione di almeno il 50% dei posti di lavoro informali entro il 2030, per raggiungere l’ottavo Obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
La sostenibilità nelle sue tre dimensioni viene perseguita attraverso la riprogettazione delle catene del valore che servono a produrre e consumare. Il ciclo di vita di ciascun prodotto o servizio viene ottimizzato per evitare l’esaurimento delle risorse naturali e ridurre l’impatto delle attività industriali sulle persone e sull’ambiente.
Infine la resilienza, ovvero la capacità di reagire ai cambiamenti repentini senza conseguenze permanenti, è data dalla flessibilità dei processi produttivi e logistici. Ciò grazie all’utilizzo di specifiche tecnologie 4.0 e ad una riprogettazione “a chilometro zero” delle reti di approvvigionamento.
Decarbonizzazione e indipendenza dalle materie prime
La strategia industriale europea è stata presentata il 10 marzo 2020, il giorno prima dell’annuncio della pandemia da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’aggiornamento, avvenuto nel maggio 2021, contiene un focus approfondito sulle dipendenze nell’approvvigionamento di materie prime, batterie, idrogeno, semiconduttori, cloud/edge, principi attivi farmaceutici.
In particolare, è emerso come il 98% delle terre rare importate in Europa proviene da un solo Paese, la Cina. Che si usano ad esempio nei magneti delle auto elettriche e delle turbine eoliche. Mentre dal Sudafrica arriva il 71% del fabbisogno di platino, necessario per le celle a idrogeno. È nota poi la leadership sui microchip di Taiwan, che produce il 90% dei semiconduttori più avanzati al mondo. Così come il ruolo della Russia nell’approvvigionamento europeo di gas.
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Lo studio ESIR dello scorso gennaio ha sottolineato come «la produzione globale di materie prime non basterà a coprire i bisogni dei Paesi altamente industrializzati e di quelli emergenti». La sfida, una volta di più, è «trasformare la vita umana abbastanza rapidamente da permettere a otto miliardi di persone di vivere in modo sostenibile e pacifico sul Pianeta».
L’economia circolare come asset strategico
L’economia circolare con le sue 4R (riduci, riutilizza, ricicla e recupera) si configura quindi sempre di più come un asset strategico. In risposta non solo ai cambiamenti climatici ma anche alla dipendenza dalle forniture extra-continentali. Non è un caso se uno dei tre progetti premiati agli “Industry 5.0 Award” il 28 settembre sia un processo di riciclo ecologico di materie prime come silicio e argento dai rifiuti fotovoltaici industriali.
https://twitter.com/GabrielMariya/status/1570705173743341570?s=20&t=3yTbBePT7ljS9NN73OJsLw
«Grazie alla decarbonizzazione, la dipendenza dell’Unione europea dalle importazioni di energia si ridurrebbe in modo massiccio, passando dal 54% al 20% entro il 2050», scrive l’ESIR per la DG Ricerca e Innovazione. Energia, cibo, chip: puntare sul design circolare con servizi a valore aggiunto e sulla decentralizzazione delle filiere può significare sviluppare un vantaggio di competenza che generi indipendenza.
Il Digitale per il Pianeta, le Persone, la Prosperità
L’industria 5.0 prevede dunque l’utilizzo delle stesse tecnologie dell’Industria 4.0 ma con l’obiettivo della sostenibilità integrale. Quindi prendendo in considerazione le esigenze umane e ambientali.
In questo quadro, ad esempio, l’Internet of Things (internet delle cose, in italiano) può aiutare a ottimizzare i consumi delle reti energetiche. Gli algoritmi di Intelligenza artificiale possono essere progettati e utilizzati per abilitare pratiche sostenibili e attente ai diritti. Le infrastrutture digitali possono essere costruite dove servono, quindi in modo più uniforme, decentralizzato e vicino ai cittadini. Le architetture cloud e il data management possono essere valutati sotto il profilo della sicurezza e non solo dell’efficienza. Anziché sostituirli, i robot possono collaborare con gli esseri umani sul luogo di lavoro (i cosiddetti cobot). La realtà virtuale e la realtà aumentata possono essere utilizzate per abilitare scenari utili alla formazione, all’apprendimento, alla cura.
Ma agire in termini di sostenibilità integrale significa anche pensare alle emissioni e all’impronta ambientale delle tecnologie stesse. Nonché alle ricadute sociali della loro introduzione in contesti diversi. A chi rischia di essere tagliato fuori, a chi vorrebbe usarle e non ce la fa, a chi le usa come arma di sopraffazione, a chi come strumento di liberazione. Non manca molto, al 2030.