La criptovaluta di Ethereum diventa più sostenibile
La criptovaluta di Ethereum - seconda per capitalizzazione di mercato - diventa più sostenibile. Ma con un rischio boomerang
Che fosse in senso positivo o meno, negli ultimi anni si è parlato molto di criptovalute. Nate per sfidare la finanza tradizionale dopo la crisi del 2008, sono diventate ormai da tempo uno dei tanti strumenti in mano agli speculatori, rinunciando all’iniziale intento “anarchico” di liberarsi dall’intermediazione delle banche e dal monopolio di Stato sulla moneta. L’unica cosa che, ormai, sembrano sfidare è l’ambiente, dato che consumano un’enorme quantità di energia elettrica.
Ma qualcosa si sta muovendo. Di recente Ethereum – la blockchain su cui si basa Ether (seconda criptovaluta per capitalizzazione di mercato) ha cambiato radicalmente il suo funzionamento. L’operazione, battezzata “The Merge” riduce drasticamente il consumo energetico e fa diventare Ether una delle poche criptovalute, almeno da questo punto di vista, piuttosto sostenibili. Ma ora la valuta digitale rischia di perdere di importanza in favore di altre cripto meno “green”.
Criptovalute e consumo energetico
Con gli effetti dei cambiamenti climatici sempre più evidenti e la necessità sempre più impellente di limitare le emissioni di CO2, le criptovalute vengono fortemente criticate per il loro consumo energetico. Il loro funzionamento, infatti, si basa su hardware sparsi per il mondo che consumano persino più energia di interi Stati. Andandosi così ad aggiungere alla lunga lista di attività inquinanti che rallentano il raggiungimento dell’obiettivo di contenere le emissioni e il riscaldamento globale.
Il Bitcoin, per esempio, consuma da solo poco meno di un terzo dell’elettricità usata in Italia in un anno intero. Figurarsi l’intero mercato cripto. Un problema enorme, dato che è energia prodotta soprattutto da fonti fossili. Paragonando il consumo del Bitcoin con quello di – per esempio – tutti i frigoriferi presenti negli Stati Uniti, si scopre che questi consumano poco di più. Ma non è questo il punto. Il punto è che dei frigoriferi abbiamo effettivamente bisogno. Delle criptovalute, forse, non proprio. Almeno per ora.
Inoltre, il problema della sostenibilità ambientale non è sicuramente l’unico delle monete digitali. Che spesso vengono usate come meri strumenti di speculazione. Se non addirittura per finanziarie o compiere attività illegali.
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La svolta sostenibile di Ethereum
Ma torniamo alla svolta di Etereum. A sette anni dalla sua nascita, Ethereum ha fatto finalmente un passo in avanti, cambiando il modo in cui vengono validate le transazioni (cioè il modo in cui vengono aggiunti nuovi blocchi alla blockchain) e diventando così più sostenibile. Finora, infatti, erano necessari numerosi calcoli eseguiti da hardware estremamente energivori (il cosiddetto sistema proof-of-work) per trasferire criptovalute da un wallet (il “portafoglio” digitale in cui vengono custodite) ad un altro.
Dal 15 settembre è cambiato tutto. La creazione dei nuovi blocchi avviene grazie ad un sistema proof-of-stake: ai vecchi miner (ovvero gli “estrattori” di criptovaluta) sarà sufficiente dare in garanzia un ammontare di Ether per poter validare le transazioni. E questo dovrebbe ridurre il consumo energetico della rete addirittura del 99%.
C’è da dire che Etehereum non è la prima ad adottare un sistema proof-of-stake. Ci sono criptovalute che sono “nate” così. L’aspetto rilevante è che si tratta della seconda criptovaluta per importanza e diffusione. Su di essa, infatti, si “appoggiano” molti strumenti della cosiddetta finanza decentralizzata e persino altre criptovalute. Per non parlare poi della capitalizzazione di mercato. Che dopo aver raggiunto quasi i 500 miliardi di euro lo scorso novembre, si attesta oggi intorno a 150, seconda solo a quella del Bitcoin. Questo passaggio, quindi, potrebbe rappresentare una svolta per l’intero mondo cripto. Ma sarà davvero così?
Restano numerosi dubbi sull’efficacia di questa svolta
A fronte delle dichiarazioni del fondatore di Ethereum, Vitalik Butherin, sulla potenziale riduzione del consumo mondiale di energia addirittura dello 0,2%, molte sono state le voci perplesse che si sono alzate. E che hanno messo in discussione la stima, ritenendola esageratamente alta.
Molti hanno fatto notare come in realtà coloro che possiedono gli hardware non smetteranno di usarli improvvisamente da un giorno all’altro. Anche per via del costo sostenuto per comprarli, acquistare i macchinari necessari per raffreddarli e allestire spazi appositi (le cosiddette “miniere“). La cosa più probabile è che chi ne è in possesso inizi a minare (cioè estrarre) altre criptovalute. Perché, appunto, esistono altre migliaia di monete digitali che continuano ad utilizzare il vecchio sistema.
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Insomma, da una parte troviamo chi pensa che la maggior sostenibilità ambientale possa rappresentare una sfida al Bitcoin e fare di Ethereum un modello da imitare. Dall’altra, quelli che sostengono che questo passaggio farà perdere importanza a quella che è ancora la seconda cripto per capitalizzazione. Magari in favore di altre che si basano ancora sul sistema proof-of-work.
Infine, ma non di minore importanza, è il fatto che l’operazione non risolve tutti i problemi di Ethereum. “The Merge” non consentirà alla criptovaluta, ad esempio, di aumentare il numero di transazioni che essa è in grado di trattare simultaneamente. Ad oggi, il sistema ne riesce a gestire tra 20 e 30 al secondo. Monete concorrenti come Solana o Tezos arrivano a migliaia al secondo. E visto che ad effettuare le transazioni sono soprattutto speculatori, il rischio è che questi possano, anche per questa ragione, preferire le criptovalute che si basano su sistemi più “performanti”. Benché meno sostenibili.