Il controsenso delle banche fossili nell’alleanza per azzerare le emissioni

Delle banche studiate da Banking on Climate Chaos, 42 sono nella maggiore coalizione per il net zero. Ma aiutano l’espansione delle fossili

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Per evitare che i cambiamenti climatici assumano dimensioni catastrofiche, bisogna limitare il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Per restare entro gli 1,5 gradi, bisogna azzerare le emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050. Tutto questo lo dice la scienza. Le grandi banche hanno ascoltato questo appello. Anzi, hanno promesso di fare la loro parte per il net zero. Come si giustifica, allora, il fatto che anche nel 2023 i 60 maggiori istituti di credito internazionali abbiano finanziato con 705 miliardi di dollari le società dei combustibili fossili, sfiorando i 6.900 miliardi dal 2016 in poi? Secondo Banking on Climate Chaos, il più completo report sul tema, il motivo sta nelle loro policy. Che sono ancora clamorosamente inadeguate.

I combustibili fossili sono incompatibili con il net zero

L’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), nel 2021, ha messo a punto una tabella di marcia che spiega per filo e per segno come raggiungere il net zero entro il 2050. Uno scenario che prevede di non approvare lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas e petrolio, né di nuove miniere di carbone, né di estensioni delle miniere esistenti, fatta eccezione per quei progetti che erano già stati avviati in precedenza.

Nel 2023 la IEA ha aggiornato la roadmap, reiterando questo principio. Anzi, precisando che lo scenario del net zero al 2050 esclude anche le nuove centrali a carbone unabated, cioè prive di sistemi di cattura della CO2. Insomma: se vogliamo mettere noi stessi al riparo dalla catastrofe climatica, dobbiamo smettere di estrarre combustibili fossili. Immediatamente.

Banche che si sono impegnate per il clima solo a parole

I dati di Banking on Climate Chaos, però, ci dimostrano senza ombra di dubbio che le 60 maggiori banche globali stanno ancora finanziando le imprese che fanno affari con i combustibili fossili. C’è di più: sui 705 miliardi di dollari che hanno stanziato nel solo 2023, circa la metà (347 miliardi) sono andati a società che stanno espandendo la produzione di petrolio, carbone e gas. Facendo cioè l’esatto contrario di ciò che chiede l’Agenzia internazionale dell’energia.

L’aspetto paradossale sta nel fatto che queste banche si sono impegnate per il net zero, almeno a parole. Sulle sessanta monitorate da Banking on Climate Chaos, dodici hanno fissato i propri obiettivi individualmente. Altre 42 fanno parte della Net Zero Banking Alliance, la più grande e partecipata coalizione di banche per il clima, lanciata ufficialmente alla Cop26 di Glasgow. Ebbene: nel solo 2023, queste 42 banche hanno fornito 253,1 miliardi di dollari alle società intente a espandere la produzione di combustibili fossili. Solo una ha promesso di azzerare i finanziamenti alle fossili: è la francese La Banque Postale.

I punti deboli della Net Zero Banking Alliance

Gli autori del rapporto hanno cercato di capire perché l’alleanza delle banche per il clima, semplicemente, non stia funzionando. Scoprendo che, ad esempio, le banche sono libere di applicare i target soltanto ad alcune tipologie di asset (per esempio ai prestiti e non alle sottoscrizioni di obbligazioni) oppure ad alcuni combustibili fossili (per esempio all’esplorazione e alla produzione di gas e petrolio e non ai passaggi successivi della filiera). Quando mettono a punto questi obiettivi, poi, scelgono lo scenario di decarbonizzazione a cui fare riferimento. Se lo scenario scelto è poco ambizioso, dunque, anche gli obiettivi lo saranno.

Come se non bastasse, la Net Zero Banking Alliance è un’iniziativa volontaria: può avanzare delle richieste, ma non sanzionare chi le ignora. Tant’è che, tra le banche monitorate nel report, una decina rendiconta soltanto le metriche di intensità, cioè quelle che fanno un rapporto tra tonnellate di CO2 ridotte e denaro investito (o ricavi). Tralasciando così le metriche assolute, cioè la quantità di emissioni evitate. Che, però, sono quelle che fanno la differenza nella realtà.

La decarbonizzazione non può più aspettare

Certo, l’alleanza delle banche per il clima potrebbe pur sempre perfezionarsi per risultare più efficace. In fin dei conti, basterebbe irrigidire le regole. In realtà negli scorsi mesi ha fatto proprio il contrario, eliminando l’obbligo per le aderenti di entrare anche nella campagna Race to Zero delle Nazioni Unite. Pare che sia stato un compromesso per tenere a bordo i grandi nomi di Wall Street che, di fronte a limiti troppo severi, sarebbero stati pronti ad andarsene. Un po’ com’è successo per l’alleanza delle assicurazioni, costretta a smembrarsi e ricominciare da capo. Queste sono solo indiscrezioni, ma appaiono credibili, considerato che HSBC e Standard Chartered hanno abbandonato la Science Based Targets Initiative (SBTi) per lo stesso motivo: gli standard dell’iniziativa avrebbero impedito loro di continuare a finanziare le fonti fossili.

Insomma, le resistenze da parte del settore bancario sono tangibili ed evidenti. Ma il net zero non può più aspettare. Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), che rappresenta cinquanta economie industrializzate ed emergenti, a giugno 2023 ha aggiornato le sue linee guida per la due diligence ambientale e sociale delle multinazionali. Si applicano anche al settore finanziario e richiedono, tra le altre cose, di fissare obiettivi di riduzione delle emissioni dirette e indirette nel breve, medio e lungo termine. E di monitorarli nel tempo. Certo, si tratta sempre di un’iniziativa volontaria, ma è l’ennesimo segnale che inchioda le banche alle proprie responsabilità.