In Indonesia il nichel è un problema
Il nichel è centrale per l'acciaio e le batterie. Ma l'estrazione in Indonesia mette a rischio ambiente e diritti umani
Inquinamento, deforestazione, diritti umani e sindacali negati. L’estrazione del nichel in Indonesia, primo produttore al mondo di questo metallo, porta con sé una miriade di problemi sociali e ambientali. E, ora che la domanda cresce, sempre più osservatori iniziano a preoccuparsi.
Breve storia del nichel
Il nichel è un metallo ampiamente disponibile in natura e usato dall’uomo fin dall’antichità. Sull’etimologia del nome esistono diverse teorie. La più affascinante porta alle parole tedesche Kupfer (rame) e Nickel (genietto): i minatori, che lo trovavano al posto del desiderato rame, lo immaginavano prodotto da un folletto, un genietto malefico.
Oggi lo si estrae soprattutto per produrre acciaio inossidabile: il 70% del nichel serve a questo scopo. La ragione per cui se ne parla, però, è legato a un uso finora minoritario: quello legato alle batterie. Molti sistemi di accumulo – quelli che abbiamo nel telefono, nel computer, nelle auto tradizionali e, ancor di più, in quelle elettriche – includono infatti il nichel. Componente minoritaria della produzione, ma in crescita: oggi solo il 5% del nichel finisce nelle auto elettriche, ma l’Agenzia Internazionale dell’Energia stima una crescita vertiginosa della domanda. «Per favore, trovatemi più nichel», disse il patron di Tesla Elon Musk nel 2020 di fronte ad una platea di imprenditori del settore minerario.
L’Indonesia è prima per estrazione e per giacimenti stimati: nel 2019 produceva più del doppio rispetto al secondo Stato in classifica, le Filippine. Seguono Russia, Francia (grazie al territorio d’oltremare della Nuova Caledonia) e Canada. E proprio dall’Indonesia arrivano le notizie più allarmanti.
Diritti umani negati ed ecosistemi in pericolo
Per rispondere alla crescente richiesta di nichel, molte aziende hanno investito nell’arcipelago asiatico. Sono soprattutto i capitali cinesi a guidare la crescita: oltre 8,2 miliardi di dollari nel solo 2022, secondo il governo di Giacarta. Un boom con molte esternalità negative.
L’organizzazione non governativa statunitense Climate Rights International, infatti, documenta il lato oscuro delle miniere di nichel indonesiane. «Almeno 5.331 ettari di foreste tropicali sono stati abbattuti nelle concessioni di nichel di Halmahera», scrivono gli attivisti. Il riferimento è all’impianto estrattivo di Weda Bay, sull’isola di Halmahera, nella regione delle Molucche. È gestito da un consorzio di tre corporation cinesi – Tsingshan, Huayou Cobalt e Zhenshi Holding Group – ma tra gli investitori ci sono anche occidentali. I danni si estendono anche agli ecosistemi marini: l’ong parla di ostacoli alle attività di pesca e di terreni diventati rossi intenso, contaminati dagli scarti di lavorazione. C’è poi il tema del consumo energetico: per estrarre e lavorare il nichel serve elettricità, e l’Indonesia la produce in gran parte col carbone – il più tossico e climalterante dei combustibili fossili.
Il quotidiano economico-finanziario francese La Tribune riporta anche le preoccupazioni relative al rispetto dei diritti umani e sindacali dei lavoratori impiegati nel settore. Sull’isola di Sulawesi un incidente in un impianto del gruppo cinese Tsingshan Stainless Steel ha provocato la morte di 18 persone. Gli operai si sono mobilitati di risposta, chiedendo più manutenzione, dispositivi di sicurezza e che anche gli impiegati cinesi imparino la lingua indonesiana.
Come risolvere il dilemma del nichel, in Indonesia e non solo
Il nichel non è solo un componente essenziale delle batterie: è anche un componente essenziale delle batterie pulite. Accumuli ad alto dosaggio di nichel, infatti, vengono usati per fare a meno del cobalto, materiale più raro le cui condizioni di estrazione in Repubblica Democratica del Congo – principale produttore mondiale – fanno impallidire le miniere indonesiane. Tsingshan Holding Group, gigante cinese proprietario dell’impianto di Sulawesi, ha annunciato nel 2021 di essere riuscita a rendere puro, e quindi adatto alla produzione, il nichel di seconda classe. Si tratta di giacimenti meno pregiati, finora ignorati dall’industria, ma anche più diffusi di quelli di prima classe. Il problema è che si tratta di un procedimento energivoro, eseguito per ora soprattutto in Paesi il cui mix energetico dipende dal carbone. Senza contare il problema degli acidi necessari all’operazione di raffinazione, difficilissimi da smaltire.
Il dilemma del nichel non ha soluzione univoca. È impossibile rinunciarvi, specie se si vuole combattere la crisi climatica; è impossibile non affrontarne le problematicità. Un pezzo della risposta può venire dall’innovazione tecnologica. Gli studi sulle batterie agli ioni di sodio – alternative a quelle tradizionali, basate sul litio – potrebbero affrancare il settore energetico da nichel e cobalto assieme. Ma inevitabilmente altri due elementi dovranno entrare nel quadro. Il primo è il riciclo, inserendo quanto più nichel possibile nel mercato circolare. Il secondo è la riduzione dei consumi. Combattere l’obsolescenza programmata, cioè il deterioramento rapido degli oggetti di consumo, e privilegiare il trasporto pubblico al posto delle auto di proprietà tradizionali, sono due dei modi per ridurre la domanda di minerali critici. Nichel compreso.