Fermare le “lavatrici”: la nuova frontiera antimafia
L'esperienza delle Giornate della Memoria di Libera insegna: la lotta alle mafie passa sempre più per le attività antiriciclaggio e il controllo in aree nuove
È servito che tornasse il 21 marzo a ricordarci che l’impegno per la verità e la giustizia nel nostro Paese, nella difficile battaglia contro le mafie e la corruzione, non può e non deve essere delegato a qualcuno, né tanto meno essere relegato ad una singola data.
Il primo giorno di Primavera è infatti anche la “Giornata della memoria e dell’impegno”. Appuntamento ormai storico (la prima fu celebrata al Campidoglio, a Roma, nel 1996) e recentemente istituzionalizzata grazie ad una legge dello Stato, ma richiesta per anni da Libera e dai familiari delle vittime innocenti delle mafie.
Un giorno che acquista il sapore più autentico, se è intessuta nella fitta maglia dei progetti educativi nelle scuole e nelle università, dei percorsi di animazione sociale e culturale in ogni angolo d’Italia, dalle pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie che Libera promuove ogni giorno dell’anno, instancabilmente.
Il documentario della 20a Giornata contro le Mafie (2016)Da lutto privato a memoria collettiva
Solo così darsi appuntamento per fare memoria delle vittime della violenza mafiosa, insieme ai loro familiari che continuano a chiedere di sapere perché i loro cari sono stati uccisi, assume un significato profondo. Se si pensa che in circa l’80% dei casi fin qui registrati – sono un migliaio i nomi che vengono letti il 21 marzo e l’elenco si allunga purtroppo ogni anno – non è dato loro di conoscere la verità sulla tragica fine dei loro congiunti, c’è da chiedersi quale democrazia mai può essere quella incapace di trovare mandanti ed esecutori di efferati delitti e stragi destabilizzanti.
Quest’anno nel percorso d’avvicinamento al 21 marzo, donne e uomini provenienti da ogni parte d’Italia, accomunati dall’avere un congiunto ucciso dalle mafie, si sono dati appuntamento a Venezia agli inizi di marzo, per tre giornate di lavoro, intitolate significativamente “Memoria tra testimonianza e racconto”.
«Per noi è fondamentale che la memoria sia una memoria viva» ha spiegato Daniela Marcone, che nell’ufficio di presidenza di Libera ha la delega per seguire il settore memoria e che è familiare di vittima – il padre Francesco, dirigente dell’Ufficio del Registro di Foggia, fu ucciso il 31 marzo 1995. «La questione centrale è trasformare il lutto privato in impegno civile. Per noi è fondamentale che la memoria sia una memoria viva. Oltre alla necessità di curare il ricordo delle singole vittime, vogliamo essere protagonisti nella costruzione, mattone dopo mattone, di una memoria collettiva che sia intrisa dei valori fondanti la democrazia».
Il salto di qualità necessario
Nella costruzione di questa rinnovata memoria collettiva l’apporto dei familiari è fondamentale, ma poi serve un salto di qualità nella presa di coscienza collettiva dei diversi problemi che mafie e corruzione innescano, con il loro pervasivo intreccio, a contatto con i differenti territori. Quello che è successo nel percorso d’avvicinamento a Padova, che ospita la tappa nazionale del 21 marzo, è stato paradigmatico.
Nei mesi precedenti il 21 marzo, Libera ha dato vita a numerose iniziative nell’area del Triveneto. Ai primi di febbraio, è stata convocata appositamente a Trieste una sessione straordinaria di “Contromafiecorruzione”, affinché proprio con l’aiuto di studiosi e giornalisti, magistrati ed rappresentanti delle forze dell’ordine, esponenti delle professioni e dell’associazionismo, fosse focalizzata la presenza delle mafie e della corruzione nelle regioni del Nord-Est e ne fossero disvelati tutti i suoi pericolosi contorni: dal commercio di droga alle ecomafie, dal riciclaggio di denaro sporco alle infiltrazioni negli appalti, dal traffico di esseri umani alle pratiche di corruttela.
Nord-Est: un’immensa lavatrice
L’immagine complessiva che è uscita da questo lavoro di approfondimento non è affatto rassicurante: un pezzo importante del nostro Paese – il Nord-Est appunto – ha smesso da tempo il ruolo di area trainante l’economia del sistema Italia, per diventare una complessa “lavatrice” di proventi illeciti e neri. L’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia certifica che l’8,6% delle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette (723 riguardanti la criminalità organizzata, 3.113 i reati spia, per un totale di 3.836) riguarda le tre regioni del nord est e si tratta di un dato sottostimato, in particolare per il Veneto.
Anche il dato delle ricchezze tolte alle mafie è in aumento: ai 161 beni già destinati, si aggiungono i 268 ancora in gestione all’ANBSC, cioè l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, e dopo le recentissime operazioni della Guardia di Finanza e dei Carabinieri tra Friuli Venezia Giulia e Veneto si registrerà senz’altro un incremento nel monte complessivo dei beni confiscati in questa zona.
Da infiltrazioni sporadiche a presenza stabile
Il business principale delle mafie, passate da un’infiltrazione sporadica in anni lontani ad una stabile presenza oggi ampiamente certificata, resta quello riguardante il traffico di sostanze stupefacenti. Tutti gli indicatori (denunce, arresti, sequestri di droga) sono in crescita e si attestano sul 9% del totale nazionale, ma sono in continuo divenire: negli ultimi due anni, oltre alla costante attività di repressione in Veneto, si è rafforzato il contrasto tanto in Friuli Venezia Giulia che in Trentino Alto Adige, con incremento delle sostanze sequestrate e delle misure cautelari. Oltre all’indubitabile consumo in loco, va detto che queste regioni continuano ad essere territori di passaggio per le rotte balcaniche degli stupefacenti diretti nel resto d’Italia e d’Europa.
Purtroppo anche i numeri delle infrazioni ambientali nel nord est sono in crescita, come suffragato dai numeri del Rapporto Ecomafie di Legambiente: oltre 4,5 reati al giorno, 1.914 persone denunciate e arrestate, 552 sequestri effettuati, per un totale di 1.706 infrazioni pari a circa il 7% del totale italiano.
In conclusione, il panorama del Triveneto non è confortante e la ragione principale della pericolosità raggiunta dal crimine organizzato è la pervicace sottovalutazione della presenza delle mafie, che grazie anche ai meccanismi di un’oliata corruzione – esemplari in tal senso le vicende, anche giudiziarie, che hanno attinto la realizzazione del Mose a Venezia – hanno piantato solide radici in quest’area.
* L’autore è il coordinatore di Libera Informazione. Giornalista e responsabile di studi sulle mafie, è stato referente in Lombardia di Libera e nella presidenza e nella segreteria. Ha lavorato all’Ufficio Stampa del Comune di Palermo. Si è occupato di mafie e sicurezza con il Gruppo Abele e con Libera, scrivendo articoli e libri e trovando compagni di strada eccezionali, come Roberto Morrione e Santo Della Volpe, con i quali ha costruito Libera Informazione. È tra le firme del “Dizionario Enciclopedico delle mafie in Italia” (Castelvecchi, 2013).