Greenpeace: il piano verde della Ue non basta ad affrontare la crisi climatica

La Presidente della Commissione von der Leyen ha presentato il Green New Deal europeo. Ma gli obiettivi fissati e gli interventi richiesti sono troppo blandi

Giuseppe Onufrio
Foto Tim Aubry - Greenpeace
Giuseppe Onufrio
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Il Green New Deal proposto dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non è all’altezza della sfida climatica. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati – un dimezzamento globale entro il 2030 e emissioni nette nulle al 2050 – non corrispondono a quanto ci chiede la scienza.

Per rientrare entro il limite di 1,5°C è necessaria una riduzione delle emissioni del 65% entro il 2030.

L’Accordo di Parigi prevede che l’aggiornamento degli obiettivi volontari sia deciso entro il 2020, ma, se si deve aspettare la proposta entro la prossima estate, è molto difficile che i governi dell’UE riescano a decidere in tempo per la scadenza della COP26 (che si terrà nel 2020): serve una proposta della Commissione entro e non oltre i prossimi 100 giorni.

Servono politiche per eliminare le fonti fossili

Una “legge climatica” dell’UE dovrebbe garantire che tutte le politiche europee siano coerenti con l’obiettivo di non superare 1,5°C di aumento delle temperature globali e, dunque, procedere con la progressiva eliminazione di tutte le fonti fossili, petrolio e gas incluso. Il gas andrebbe usato limitatamente in quei settori più difficili da decarbonizzare e che richiederanno più tempo per poterlo fare.

La Commissione aveva dichiarato già 10 anni fa di voler metter fine ai sussidi alle fossili entro il 2025, ma finora nessun governo europeo ha mai presentato un piano di progressiva eliminazione di questi sussidi.

Per quanto riguarda gli strumenti finanziari, il fondo InvestEU destinerà il 30% a combattere i cambiamenti climatici: la Commissione deve garantire che non verranno usare risorse per false soluzioni come il CCS (Carbon Capture and Storage) o il nucleare. Per il fondo Just Transition – 100 miliardi di euro da destinare alla “transizione verso attività a basse emissioni di Carbonio e di resilienza climatica” – la Commissione deve garantire che solo i governi dotati di piani di eliminazione del carbone o del gas possano accedervi.

Nessun riferimento al consumo di carne (da ridurre)

Nel documento manca ogni riferimento alla necessità di ridurre drasticamente la produzione e il consumo di prodotti zootecnici e, in particolare, della carne come evidenziato dalla comunità scientifica. Sulla riduzione dell’uso di pesticidi, fertilizzanti e antibiotici la Commissione fa cenno ma senza indicare alcun obiettivo ambizioso.

Scarso l’impegno contro la deforestazione

Sul tema della deforestazione la semplice “promozione” di prodotti che non implicano deforestazione o degrado delle foreste è un passo indietro rispetto alle azioni già annunciate di minimizzare i rischi di importazioni che implicano il degrado delle foreste: i cittadini europei non vogliono essere complici della deforestazione e delle violazioni dei diritti umani per produrre soya o olio di palma e la Commissione deve garantire che queste merci non possano entrare nel mercato dell’UE.  L’obiettivo di una “riforestazione efficace” rischia di tradursi nella promozione di monoculture arboree mentre il focus dovrebbe rimanere sul recupero degli ecosistemi naturali come parte della Strategia per la Biodiversità.

Blandi interventi per la mobilità sostenibile

Se si cita la necessità di far passare il traffico merci dalla strada alla ferrovia manca l’ambizione di connettere l’Europa con una rete di trasporti ferroviari anche per dare una alternativa all’aereo e alle auto sulle tratte brevi. Si citano “nuovi standard di emissione per i veicoli” invece di fissare una data per la fine della vendita di auto diesel e a benzina entro il 2025.

Infine, ma non meno importante, è la questione della “crescita” economica: come ricorda un recente rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (SOER 2020), l’Europa non può perseguire la sostenibilità continuando a promuovere la crescita e poi gestirne le conseguenze ambientali e sociali.

È necessario un cambio nei settori chiave dell’industria e degli stili di vita, inclusa la mobilità e l’alimentazione.

 

* Direttore esecutivo di Greenpeace Italia