Tassonomia sociale: in ritardo, ma si parte!
La Commissione europea ha presentato un documento di lavoro sulla tassonomia sociale, dopo aver lavorato sugli aspetti ambientali
Con un discreto ritardo su quella ambientale, è partito il processo europeo per la definizione di una tassonomia sociale nell’ambito della strategia sulla finanza sostenibile. Il sottogruppo sulla tassonomia sociale costituito dalla Commissione europea ha partorito un documento di lavoro, attualmente sottoposto alla consultazione dei diversi stakeholders. Entro il 2021, sulla base del Regolamento (EU) 2020/852, la Commissione dovrà pubblicare una relazione che illustri le disposizioni necessarie per estendere l’ambito di applicazione del regolamento sulla tassonomia ambientale agli «altri obiettivi di sostenibilità, come quelli sociali».
Dunque, sebbene siamo nella tempistica prevista dalla norma, non sembra plausibile che una regolamentazione sulla tassonomia sociale veda la luce prima del 2023. Inoltre, il fatto che la tassonomia sociale sia concepita come una “estensione” di quella ambientale, comporta una serie di problematiche niente affatto banali.
Non tutto ciò che è verde è anche sociale
La prima, a nostro avviso, è che la dimensione sociale degli investimenti perde la sua autonoma valenza. Il rilievo delle questioni sociali negli investimenti finanziari non può essere subordinato a, o condizionato da, quelle ambientali. Infatti vi possono essere attività o prodotti e servizi perfettamente sostenibili sotto il profilo ambientale, ma estremamente dannosi o comunque insostenibili sotto quello sociale.
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Un esempio è costituito dal settore della moda, dove i brand presentano un impegno e degli obiettivi (oltre che molto marketing) sulla sostenibilità ambientale. Tuttavia si dimostrano deboli nell’assicurare condizioni di lavoro e di retribuzione accettabili lungo tutta la filiera produttiva, o vengono violati i diritti sindacali.
Gli investimenti sociali sono necessari
In secondo luogo la metodologia individuata per definire la tassonomia ambientale presenta non pochi problemi applicativi su quella sociale.
È necessario considerare in modo integrato, se non tutti e tre gli ambiti ESG includendo anche la governance, almeno quello sociale e quello ambientale. Lo dimostra l’introduzione del documento Social Taxonomy. Vi si afferma infatti che «sono necessari enormi investimenti nella sostenibilità sociale per raggiungere i Sustainable Development Goals (Obiettivi di sviluppo sostenibile, ndr) delle Nazioni Unite». Il rapporto stima questa necessità in un range fra 3.300 e 4.500 miliardi di dollari l’anno. Considerando il livello attuale degli investimenti pubblici e privati, mancano per i paesi in via di sviluppo almeno 2.500 miliardi l’anno.
Il documento definisce criteri per identificare attività e servizi investibili per garantire paghe dignitose, comunità inclusive e sostenibili, sistemi di welfare e politiche abitative accessibili.
Il mandato della Commissione sulla tassonomia
Il mandato che il gruppo di lavoro ha ricevuto è duplice. Il primo è estendere la tassonomia agli obiettivi sociali per una normativa coerente con l’impostazione seguita nella tassonomia ambientale, ai sensi dell’art.16 del Regolamento 2020/852.
Il secondo, non meno importante, è consigliare la Commissione europea su come l’art.18 del Regolamento debba concretamente funzionare. Esso imponeva di definire le minime garanzie di salvaguardia affinché le imprese rispettino «le linee guida Ocse destinate alle imprese multinazionali e i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani». Questo secondo mandato è particolarmente rilevante per rispettare il principio «non arrecare un danno significativo», di cui all’articolo 2, punto 17, del Regolamento Ue 2019/2088.
Il documento motiva la necessità di investimenti nella sostenibilità sociale e nella transizione giusta e dà conto della crescita della domanda per investimenti socialmente orientati. Fra il 2009 e il 2017, in Europa, il settore degli investimenti realizzati con il criterio del best in class fra quelli fondati su un approccio ESG, è passato da 130 a 580 miliardi di dollari. Un aumento annuo del 20%. Una domanda che incontra una offerta in grande sviluppo. Il mercato dei social bond, secondo Bloomberg, è passato da 20 miliardi di dollari nel 2019 ai 147,7 nel 2020. Un trend in continua crescita stando a quanto riportato da Moody, che nel primo quadrimestre del 2021 registra una emissione di social bond per 90 miliardi di dollari.
Come misurare l’investimento sociale?
Il problema però registrato dal rapporto del Gruppo di lavoro tecnico è quello della definizione e della misurazione dell’investimento sociale. Per definire ed utilizzare standard sociali il Gruppo si riferisce ad una serie di documenti ufficiali di Nazioni Unite, OECD, ILO, Unione europea. E li articola in due dimensioni. La dimensione verticale, finalizzata alla promozione di standard adeguati di qualità della vita. Ciò include il miglioramento dell’accessibilità a prodotti e servizi di base (acqua, cibo, abitazione, sanità, educazione). Ma anche a infrastrutture economiche di base (trasporti, internet, elettricità, credito).
Cambiamento lento
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Poi vi è una dimensione orizzontale, il cui obiettivo è quello di promuovere impatti positivi ed evitare o gestire quelli negativi su diversi gruppi di stakeholders. I tre obiettivi generali sono: assicurare un lavoro dignitoso, promuovere gli interessi dei consumatori, attivare comunità inclusive e sostenibili. Ciascuno di questi tre ambiti dovrà includere dei criteri di misurazione validi per tutta la catena di valore.
Ora, la dimensione verticale include attività economiche la cui caratterizzazione sociale è intrinseca (cibo, acqua, abitazione, sanità, ecc.) e può essere relativamente semplice classificare o meno le diverse attività economiche sotto questa dimensione.
La dimensione orizzontale copre una quantità di settori abbastanza estesa, come per la tassonomia ambientale. Ma, a differenza di questa che stabiliva una priorità fra i settori in base al livello di emissioni di CO2 facilmente misurabile, qui parliamo di diritti umani universali. Come si fa a fissare una classifica di importanza fra diritti?
Ma anche la G di governance deve contare nella tassonomia
Infine, il documento affronta, per quanto ancora in modo superficiale, alcune problematiche relative alla G di governance. Ma i temi sono appena abbozzati e si riferiscono a soli due obiettivi: una governance sostenibile per le imprese e una pianificazione fiscale trasparente e non aggressiva delle aziende stesse. Del primo fanno parte temi come la tutela della diversità (di genere, di competenze, di esperienze e di background culturale) negli organi di governo e nel management, politiche di remunerazione legate agli obiettivi ambientali e sociali dell’impresa, anticorruzione, auditing, politiche di lobbying responsabili.
Nel secondo obiettivo sono invece compresi il country-by-country reporting e un più complessivo approccio verso la normativa fiscale vigente improntato alla trasparenza e alla correttezza. Ma sulla governance siamo ancora ben lontani anche dal delineare delle metodologie per definire criteri di valutazione degli investimenti.
La strada da percorrere è ancora lunga per fare della triade ESG integrata una bussola per orientare investimenti pubblici e privati. E soprattutto è irta di ostacoli e contraddizioni. Non è difficile immagina che ben presto assisteremo a tentativi di socialwashing, come è successo per l’ambiente. Ma quanto meno il viaggio è iniziato.