Accoglienza migranti: i quattro fallimenti del decreto Sicurezza

Meno lavoro, più irregolari, danni erariali e settore in mano ai big for profit. Le riforme volute da Salvini si stanno rivelando un boomerang antieconomico

Il decreto Sicurezza fallisce quattro volte. Ha fatto aumentare gli immigrati irregolari, crea possibili danni erariali dovuti ai ricorsi per la ambigua applicazione della legge, provoca la perdita di migliaia di posti di lavoro. E lascia la gestione dei centri di accoglienza alle holding più grandi, come Ors Italia e Gepsa, in grado di operare tagli drastici ai costi di gestione. Non incide invece, su infiltrazioni mafiose e corruzione.

Intanto, sul tavolo, ci sono vertenze sindacali per 4.200 nuovi disoccupati o lavoratori costretti ad accettare il demansionamento. Medici, mediatori culturali, infermieri, insegnanti di italiano. Giovani, competenti e «italiani» , che potrebbero salire a 18mila nel giro di qualche mese, secondo Cgil Funzione Pubblica che annuncia a Valori una mobilitazione nazionale per settembre.

FONTE: FP Cgil

Da sistema di inclusione a mera «accoglienza»

«Alcune professionalità altamente specializzate, come i mediatori linguistici, spariscono completamente, o vengono demansionate e questo ha un unico significato: da una logica di inclusione si passa alla sola gestione di vitto, alloggio, pulizia, cambio vestiario. E finisce tutto lì» commenta a Valori, Stefano Sabato, responsabile Funzione Pubblica della Cgil. La cooperativa InMigrazione, che per prima aveva analizzato le gravissime carenze dei nuovi capitolati, conferma «Sistema non sostenibile per i piccoli, si favorirà chi fa business sui migranti».

In questo quadro, come già rivelato dal nostro dossier, chi si sta fregando le mani, sono proprio i big dell’accoglienza. Magari risparmiando sul costo del lavoro, come denuncia Sabato. «C’è un meccanismo distorto, che crea illegalità. Quanto un ente gestore per essere competitivo si aggiudica una gara al ribasso, e viene premiato dalla Pubblica Amministrazione con il massimo del punteggio, è lì che si determina il malaffare».

«Nel mercato tutto ha un costo. Se io ribasso troppo, o il servizio fa schifo o non sto pagando il lavoratore».

Fonte: Fp Cgil

Caos nelle prefetture: o bandi prorogati o costi innalzati

I precari sono la diretta conseguenza dei tagli ai capitolati d’appalto voluti dal ministro Salvini che hanno portato il rimborso per migrante ai gestori dei servizi di accoglienza da 35 a 21 euro. Una «tabula rasa» che sta sortendo diversi effetti. Per ora tutti negativi. A partire dal caos tra le stesse prefetture, costrette a rinegoziare i bandi con costi mediamente più alti, perché altrimenti i centri esistenti rimarrebbero scoperti. Così è successo, almeno in cinque di esse, a Firenze, Siena, Bologna, Genova, Modena.

«Gli effetti negativi del primo decreto Salvini sono sotto gli occhi di tutti: la prefettura di Firenze ha annunciato la necessità di ri-bandire le gare per l’accoglienza dei richiedenti asilo, perché i criteri imposti non hanno consentito di trovare soggetti disponibili», ha dichiarato il sindaco di Firenze, Dario Nardella. Si tratta, ha sottolineato il primo cittadino fiorentino, «di un problema che sta riguardando altre città italiane e dimostra che noi sindaci avevamo ragione all’indomani della conversione di quel decreto».

Da Trapani a Milano, sui centri per il rimpatrio vincono i big

Ma chi si sta aggiudicando gli appalti di gestione al ribasso? Mentre le piccole e medie cooperative hanno fatto ricorsi ai TAR, chiedendo la sospensiva delle gare, o auto escludendosi dai bandi, sono proprio i big dell’accoglienza, italiani e stranieri a farne man bassa. Succede a Trapani, una delle prime gare chiuse in Italia. L’aggiudicazione è andata a chi, incontrastato, ha vinto al ribasso i precedenti appalti in questi anni.

Così anche a Milano dove sbarca la multinazionale Ors Italia: nella gestione dello storico centro di via Corelli. Struttura parzialmente ri-trasformata dal ministero dell’Interno, in un nuovo Centro per il Rimpatrio (Cpr), La multinazionale risulta tra gli aggiudicatari del bando, per 140 posti. Insieme a lei, la Engel Italia che gestisce altri Cpr in Italia, già oggetto delle denunce del Garante dei detenuti. Inoltre, con la francese Gepsa, Ors Italia si aggiudica anche la gestione del CAS, nella caserma Mancini, per 300 posti, insieme ad altri dieci concorrenti.

Le mani della ‘ndrangheta sugli appalti

Intanto proseguono le indagini della magistratura in tutta Italia. Diverse inchieste hanno portato alla luce come la mancanza di capacità di controllo e di trasparenza delle stesse prefetture, non abbiano fermato le infiltrazioni mafiose e la corruzione.

È il caso dell’inchiesta «Fake Onlus» che ha permesso di smantellare una presunta associazione a delinquere «dedita alla fraudolenta partecipazione a gare pubbliche indette dalle Prefetture di Lodi, Parma e Pavia per la gestione dei flussi migratori». Così come nelle ultime ore è stato arrestato dalla Guardia di Finanza, un imprenditore fiorentino, gestore di centri di accoglienza, che ha emesso fatture false per 17 milioni di euro.

Tagli al modello Sprar e l’investimento nei Centri per il rimpatrio

Eppure il modello Sprar, gestito dai comuni, a conti fatti, costava meno all’Erario, garantendo, nella maggior parte dei casi, una minore permanenza nei centri, puntando invece all’integrazione. E un maggior controllo su spese e rendicontazione. Sistema ora avversato dal ministero dell’Interno che, da una parte ha svuotato i vecchi grandi centri, dopo Castelnuovo di Porto, il Cara di Mineo, quello di Isola Capo Rizzuto, al centro di due note inchieste della magistratura.

Dall’altra, però, il Viminale preferisce investire nella detenzione. Ma come il caso di via Corelli a Milano dimostra, quei 13 milioni di euro per la costruzione dei nuovi Centri per il Rimpatrio (Cpr), già previsti dal suo predecessore Minniti, «almeno uno per ogni regione» ha assicurato Matteo Salvini, vanno a vantaggio alle multinazionali specializzate nella gestione di centri di detenzione.

Gli esempi dell’ospitalità che funziona

Così quella che il ministro dell’Interno ha definito «la fine della mangiatoia», sta invece scaricando sui territori problemi di ordine economico, pubblico e sociali, denunciate da sindaci in tutta Italia. Eppure, sono proprio Ong, enti religiosi e associazioni, accusati da Salvini di speculare sui migranti, che stanno garantendo la tenuta di un sistema, che a detta di molti primi cittadini, è al collasso.

A partire da Caritas, Cei e Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Valdesi con il progetto Mediterrean Hope, che hanno attivato, pure in collaborazione con il ministero dell’Interno e degli Esteri, corridori umanitari con Etiopia, Niger e Giordania.

La campagna «Io accolgo»

Le iniziative rientrano nelle attività dei 46 enti religiosi e associazioni che hanno aderito alla campagna Io accolgo, rete di sensibilizzazione, accoglienza alternativa, ospitalità e integrazione privata, sopportandone i costi. «Non è una questioni di fondi, ma di senso – ribadisce Caritas Ambrosiana a Valori – tanto è vero che non abbiamo deciso di rinunciare all’accoglienza. Usciamo dai bandi proprio usando quei posti, per continuare a ospitare chi sarebbe messo in strada per effetto del decreto Salvini, coloro senza più protezione umanitaria. A spese nostre».

Investire nel sistema Sprar fa alzare il reddito imponibile. Degli italiani

Il sistema dell’accoglienza italiano gestito in modo emergenziale, con bandi scritti male, rimane, nonostante gli annunci roboanti, ancora permeabile alla malavita organizzata e alla corruzione. Con grave perdita di risorse pubbliche. In più, considerarlo non un investimento, ma un costo, a differenza della Germania, si sta rivelando caro.

Vale la pena rileggere un’analisi dei ricercatori de La Voce.info, che spiega come la relazione tra migranti nella rete Sprar, quella gestita dai comuni e nei territori, e crescita del reddito imponibile, dovuta dall’indotto, sia stata positiva proprio per i «cittadini italiani».

A ogni ulteriore presenza si accompagnava una maggiore crescita del reddito imponibile, pari allo 0,09%, al netto dei costi.