Auto elettrica: l’Italia ferma al palo, dà la colpa alla Cina
A Torino si è tenuto un convegno sulla mobilità sostenibile con al centro il ruolo dell'auto elettrica. Ecco cosa si è detto
Una volta si diceva «ingranare la quarta». Poi le auto hanno aggiunto una marcia e si è passati a dire «ingranare la quinta», lasciando comunque intatta l’espressione. Ora, con l’avvento del cambio automatico le cose si stanno trasformando, anche linguisticamente.
Ma la rivoluzione più grande, il settore dell’auto la sta vivendo con l’avvento dell’auto elettrica la cui vendita sta crescendo in tutto il mondo. In tutto il mondo, eccezion fatta per l’Italia, dove addirittura nell’ultimo anno le vendite sono diminuite. Unico caso europeo. Ad ostacolare la diffusione di auto ecologiche è soprattutto la mancanza di politiche adeguate.
In Italia le auto elettriche sono solo il 3,7% del totale. In Norvegia l’82%
Durante il tavolo che si è tenuto il 25 e 26 gennaio a Torino e dedicato alla mobilità sostenibile e alla giusta transizione ambientale e sociale, l’Alleanza Clima e Lavoro (comitato di cui fanno parte la Campagna Sbilanciamoci!, FIOM-CGIL, CGIL Piemonte, Kyoto Club, Transport&Environment Italia, Motus-E, Legambiente, WWF Italia, Greenpeace, FILT-CGIL, FLAI-CGIL) ha sottolineato alcuni dati: in Italia, sul totale del parco auto venduto, solo il 3,7% è elettrico.
Peggio di noi fanno solo Polonia, Repubblica Ceca, Croazia e Slovacchia. E non deve trarre in inganno l’alta percentuale di colonnine elettriche installate sulle nostre strade, che ci pongono al terzo posto in Europa. Ciò si spiega con il fatto che in questa speciale classifica si misura il rapporto tra veicoli elettrici e le dotazioni per la loro ricarica. In Italia è alto perché sono pochi sia gli uni che le altre.
È necessario prendere coscienza del problema, anche se fa male, per delineare cause e soluzioni. Mentre sulle ultime pesano i vari punti di vista, sulle cause possiamo riassumere così: mancano volontà e politiche da parte del governo. Che affidano all’Alleanza Clima e Lavoro di Torino un video registrato per ribadire un concetto non nuovo a chi segue l’argomento: «Siamo per la neutralità tecnologica», dice in sostanza il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin nel filmato. Un concetto già sfruttato per opporsi allo stop del motore termico entro il 2035 così come stabilito da Commissione, Consiglio e Parlamento europei, e chiedendo che siano “permessi” anche i motori a biofuel.
Il concetto di neutralità tecnologica serve a difendere lo status quo
«Il concetto di neutralità tecnologica è una posizione tipicamente corporativista da parte di chi vuole mantenere lo status quo piuttosto che puntare sull’innovazione», afferma Annamaria Simonazzi, presidente della Fondazione Giacomo Brodolini durante il tavolo di Alleanza Lavoro e Clima. Infatti, mentre tutto il mondo va verso l’elettrificazione dell’auto, l’Italia sta ferma al palo.
In Europa, la Norvegia si attesta intorno all’82% del proprio parco auto convertito all’elettrico, a cui fa seguito l’Islanda con il 50%. Seguono Svezia, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi tra il 30 e il 40% e Svizzera e Lussemburgo tra 20 e 30%. Mentre in ambito intercontinentale, sono Stati Uniti e Cina a dominare il mercato, con un netto incremento dei mezzi ecologici: +28% nell’ultimo anno. Così la Cina è diventata l’elefante nella stanza che però, a differenza del detto, durante il tavolo torinese viene nominato più di una volta.
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La Cina domina il mercato dell’auto elettrica perché punta sui modelli “base” anziché premium
La Cina, dicevamo. Patria della BYD è l’acronimo di “Build your dreams” ed è il più grande produttore di auto elettriche al mondo e secondo per numero di batterie. E dato che BYD è nata nel 1995 proprio come azienda produttrice di queste ultime, unito al fatto che l’auto elettrica è «una batteria con quattro ruote» (come ha ricordato il direttore di T&E Andrea Boraschi) questa azienda si è trovato nel posto giusto al momento giusto. Complice anche il governo cinese con i suoi abbondanti incentivi verso il comparto dell’automotive elettrico. Di contro, l’Italia può vantare degli incentivi molto bassi al proprio parco auto. O meglio: si tratta di incentivi molto simili a quelli concessi a chi compra un’auto a motore termico.
Dal punto di vista degli accordi industriali, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, almeno inizialmente, ha preferito stringere rapporti con la Tesla di Elon Musk (il miliardario è stato invitato alla kermesse di Fratelli d’Italia, Atreju), dando l’idea che le auto elettriche continuino a rivolgersi alla fascia alta di mercato, quando invece la strategia vincente di BYD è stata proprio quella di puntare all’elettrificazione della fascia medio-bassa. Dimostrando quanto le politiche governative siano importanti su questo fronte (tra l’altro, tornando a Musk, proprio di recente in Svezia sono iniziati i primi scioperi degli operai che contestato le politiche industriali di Tesla).
In Italia c’è necessità di un secondo produttore
Va detto che pure il quadro delle macchine a motore termico prodotte in Italia non è roseo: vengono realizzate più che altro auto di gamma “premium” (si pensi all’Alfa Romeo prima e la Maserati poi nello stabilimento di Cassino). Certo, c’è la Panda di Pomigliano d’Arco ma la sua produzione si sta sempre di più delocalizzando in Serbia. E più in generale la Stellantis (ex-Fiat) – gruppo franco-italiano sempre più “franco” – sta abbandonando gradualmente gli investimenti nel nostro Paese.
Un contesto che di certo non aiuta lo sviluppo del settore. I vari governi che si sono succeduti parlano da tempo di portare la produzione annuale di auto a 1 milione di pezzi. E su questo punto è in ballo da mesi una trattativa proprio con Stellantis. Ma il monopolio del gruppo automobilistico in Italia potrebbe non bastare a raggiungere l’obiettivo. Sarà per questo che di recente il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha parlato della necessità di un secondo produttore, su cui peraltro si starebbe già lavorando. Chi potrebbe essere? Magari proprio un produttore cinese.
Le barriere doganali verso i prodotti cinesi potrebbe non essere una buona idea
Fino a questo momento, l’approccio verso le auto cinesi è stato ruvido. C’è chi propone in Europa di introdurre barriere doganali, come tariffe più alte verso i prodotti importati. «Questa proposta ha diverse controindicazioni», ha spiegato ancora Simonazzi. «Prima di tutto c’è un rischio di ritorsioni da parte della Cina, che domina il mercato delle materie critiche, indispensabili alla realizzazione di diversi prodotti, dalle auto agli smartphone». A questo proposito, forse non è un caso che all’ultimo forum sui materiali critici in Arabia Saudita ci fosse anche l’Italia. Che ci si stia guardando intorno in cerca di nuovi partner?
«In secondo luogo, la protezione da soggetti esterni può difendere l’Europa ma non i singoli Paesi europei: prendiamo la concorrenza tra l’Italia e Paesi che nel settore sono più sviluppati, come Germania e Spagna. Infine, cosa ne sarà delle joint venture che già oggi sono in essere tra marchi europei, vedi Bmw, Mercedes e Volskwagen, con le imprese cinesi? Non è detto che gli obiettivi protezionistici della politica europea coincidano con gli obiettivi commerciali delle imprese. Per questo i dazi sui prodotti automobilistici cinesi possono creare forti conflitti sociali ed economici tra Paesi membri e all’interno dei Paesi stessi».
Il differenziale dei dazi, ostacolo all’apertura di stabilimenti di auto cinesi in Europa
Per Gianmarco Giorda, direttore di Anfia, anche lui al tavolo di Alleanza Clima e Lavoro, tali dazi potrebbero invece essere usati per attrarre gli investitori cinesi in Italia. Come? «I cinesi stanno iniziando a vendere in Europa volumi sempre più significativi di auto, per ora prodotte principalmente in Cina», ha spiegato il direttore. «Vediamo tuttavia qualche segnale di interesse da parte dei cinesi a fare investimenti in Europa, e l’Italia si deve candidare a riceverli».
C’è però un importante ostacolo all’apertura di stabilimenti di auto cinesi in Europa e, di conseguenza, in Italia: il differenziale dei dazi che al momento non risulta equo. «Non siamo a favore di misure protezionistiche», ha aggiunto Giorda, «perché non aiutano il mercato. Ma oggi i dazi in ingresso in Europa sono pari a circa il 10%, mentre quelli in ingresso in Cina sono del 25%. È un differenziale del 15% che non aiuta la competitività dell’industria europea. Quello che si potrebbe fare a livello dell’Ue è perequare le percentuali e far sì che le tassazioni siano uguali. Questo potrebbe favorire l’arrivo nei prossimi anni di costruttori cinesi che potrebbero avere interesse a produrre in Europa (e in Italia) e non solo a esportare dalla Cina. In realtà stanno già arrivando, ma questa misura di perequazione dei dazi potrebbe fare da acceleratore».
Sul futuro dell’auto elettrica peseranno le elezioni europee
Ma perché un’azienda cinese dovrebbe venire in Italia? Secondo molti, in Italia c’è la componentistica più importante per valore e tecnologia dopo quella tedesca. Altra considerazione: l’Italia ha il parco auto e autobus più vecchio d’Europa, quindi potenzialmente si tratta di un mercato molto importante da convertire. Ma allo stesso tempo, i giovani usano meno la macchina rispetto ai loro genitori. Ed è qui che la Cina si inserisce di nuovo nel discorso: «Perché là il concetto di auto come mezzo privato sta cambiando. L’innovazione sta pensando a come intrattenere il cittadino di domani mentre l’auto si guida da sola. Qui siamo ancora fermi a una concezione vecchia di automobile, come mezzo di trasporto e basta» dice Giorgio Airaudo, segretario generale della CGIL Piemonte.
Inoltre, tornando sul discorso dei biocarburanti, c’è chi fa notare che «i politici hanno l’ansia di dipendere dalle materie critiche e dalle batterie cinesi, quando poi devono comunque importare oli esausti dalla Cina e dall’Asia per produrre biocarburanti», interviene Andrea Boraschi, direttore di T&E.
Infine, a giugno ci sono le elezioni europee. L’ad di Stellantis, Carlos Tavarez, ha detto di recente ai giornali che se vincono «i progressisti dogmatici» si assisterà a un’accelerazione delle auto elettriche, mentre se a vincere saranno «i populisti» ce ne saranno meno. Una divisione manichea, quella del dirigente portoghese, che non tiene conto della “invisibile” mano del mercato: per arrivare all’obiettivo 100% di auto elettriche al 2035, bisogna lavorare in tale direzione negli anni precedenti. Al momento, in Europa, solo il 16% del parco auto in vendita è elettrico. Insomma, quando nel 2026 gli obiettivi del 2035 dovranno essere confermati o modificati, oltre all’opposizione di una certa forza politica, potrebbe avere un ruolo determinante anche il contesto di mercato.