Come le banche hanno aiutato Big Oil a intascare più di mille miliardi di dollari

Dall'Accordo di Parigi in poi sono stati commercializzate obbligazioni a favore del settore fossili per oltre mille miliardi di dollari

Gli istituti finanziari hanno aiutato Big Oil a finanziare le proprie attività grazie alle emissioni di bond © Alexander Grey/Unsplash

«Se i governi prendono sul serio la crisi climatica, non potranno esserci nuovi investimenti in petrolio, gas e carbone, a partire da adesso». Sono le parole pronunciate da Fatih Birol, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), nel 2021. Eppure, dall’Accordo di Parigi a oggi, le grandi società di combustibili fossili hanno incassato più di 1.000 miliardi di dollari. Uno scandalo, avallato da governi e da una parte della società civile, che non ha ancora capito quale sia la posta in gioco. 

Ma, soprattutto, un ricavo simile non poteva essere tale senza l’aiuto delle banche e del settore finanziario in generale. In particolare, come spiega la piattaforma di inchiesta Follow The Money, le banche europee hanno aiutato le società di gas, carbone e petrolio a guadagnare cifre enormi, a scapito delle loro promesse ambientali. 

Banche, altro che transizione! 

Apparentemente, le banche hanno preso sul serio le parole di Birol, almeno da quando sono entrate a far parte della Net-Zero Banking Alliance (NZBA), una rete composta dai principali istituti bancari europei (inclusi Deutsche Bank, Barclays, HSBC, BNP Paribas, Crédit Agricole, ING Bank, ABN Amro, Banco Santander, UBS, Credit Suisse nonché l’italiana Unicredit). Obiettivo dichiarato, «sostenere finanziariamente le urgenti azioni per il clima, al fine di favorire le transizione verso un’economia a emissioni zero entro il 2050».

A queste parole si aggiungono le dichiarazioni della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), secondo la quale «non si possono più supportare i tradizionali progetti energetici basati su combustibili fossili, compreso il gas naturale». E quelle del capo delle Nazioni Unite, António Guterres, per cui «investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è moralmente ed economicamente una follia».

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Eppure, secondo la Great Green Investment Investigation, un’indagine pan-europea curata da Follow the Money e Investico, un consorzio indipendente olandese di giornalismo investigativo a cui prendono parte anche The Guardian e Le Monde, dall’Accordo di Parigi a oggi sono state emesse più di 1.600 obbligazioni bancarie (soprattutto da quelle aderenti alla NZBA) a favore di società come Shell, Bp, Total, Saudi Aramco, Gazprom e Rosneft, per un valore che supera i mille miliardi di dollari. 

Tra le maggiori banche fossili c’è Deutsche Bank

L’emissione di obbligazioni è una fonte di finanziamento fondamentale per le società di combustibili fossili, che non possono operare da sole senza importanti consulenze finanziarie. È grazie a questi mediatori che Big Oil e banche possono trovare l’accordo. La Great Green Investment Investigation ha indagato anche su di loro e tra i nomi spiccano quelli di JP Morgan, Citi e Bank of America: tre soggetti che da soli hanno aiutato le società di combustibili fossili a raccogliere oltre 500 miliardi di euro.

Anche le banche europee hanno i loro facilitatori. Quelli di Barclays, HSBC, BNP Paribas, Crédit Agricole e Deutsche Bank hanno aiutato Big Oil a ottenere capitali per un valore di oltre 295 miliardi di euro ciascuno.

«In quanto istituzione finanziaria leader a livello mondiale, riconosciamo il ruolo che dobbiamo svolgere nel plasmare la transizione globale verso un’economia sostenibile e rispettosa del clima. Ci siamo impegnati ad allineare le nostre emissioni di gas serra operative e attribuibili nei nostri portafogli, con percorsi verso lo zero netto entro il 2050 o prima», scrive Deutsche Bank sul suo sito web. Tuttavia, secondo Great Green Investment Investigation, il colosso tedesco è responsabile della facilitazione di più obbligazioni sui combustibili fossili rispetto a qualsiasi altra banca europea. Dalla firma dell’Accordo di Parigi sul clima, la più grande banca della Germania ha agevolato 358 obbligazioni, per un valore complessivo di oltre 432 miliardi di euro. Tra i maggiori clienti di Deutsche Bank c’è la russa Gazprom.

Chiamasi greenwashing

Crédit Agricole si impegna a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. È quindi sorprendente che i francesi abbiano sottoscritto un bond di Saudi Arabia Oil che scade nel 2070, uno di Total Energies che scade nel 2060, e obbligazioni di Petrobras ed ExxonMobil che scadono nel 2051. La banca ha commentato, come riporta ancora Follow The Money, che le obbligazioni non fanno parte degli impegni climatici della banca.

Una contraddizione che si ripete anche per gli altri casi. Nel marzo 2020, la banca britannica Barclays ha annunciato la sua ambizione «di diventare una banca a zero emissioni entro il 2050, diventando una delle prime a farlo». Nell’aprile 2020, l’istituto di credito ha sottoscritto due obbligazioni emesse da Shell, per un valore complessivo di 3,75 miliardi di euro. Negli anni successivi seguono oltre un centinaio di emissioni obbligazionarie, che dimostrano come praticamente tutti i giganti dei combustibili fossili si siano rivolti a Barclays: Total, Chevron, BP e ConocoPhillips, tra gli altri.

Nei Paesi Bassi, ABN Amro e ING Bank affermano entrambe di non voler investire in società che si occupano di trivellazioni alla ricerca di petrolio e gas nell’Artico. Ma entrambe hanno sottoscritto diverse obbligazioni di Aker BP, una società norvegese di combustibili fossili che fa esattamente questo. ABN Amro ha affermato che la banca «può fare delle eccezioni».

Le obbligazioni sono fondamentali per i combustibili fossili © Follow the money

Per avviare la transizione, le banche devono bloccare queste obbligazioni

Ma come fanno le banche a giustificarsi nei loro report annuali? Semplice, basta non dichiararlo. Presso Deutsche Bank, la sottoscrizione di obbligazioni viene effettuata da un’unità bancaria denominata Debt Capital Markets. I ricavi e gli utili di questa struttura non vengono riportati nella relazione annuale, o meglio vengono fatte passare sotto voci non riconducibili alla loro vera natura.

Eppure le obbligazioni stanno diventando sempre più importanti nel mix finanziario dei combustibili fossili. Una ricerca condotta dal docente di finanza energetica Theodor Cojoianu dell’università di Edimburgo mostra che nel 2000 l’industria dei combustibili fossili raccoglieva ancora quasi tre quarti del capitale richiesto attraverso prestiti diretti (principalmente) dalle banche. Il 14% proveniva da obbligazioni e una percentuale simile da emissioni di azioni. Vent’anni dopo, le obbligazioni sono diventate la più importante fonte di finanziamento.

Le società di combustibili fossili avrebbero grossi problemi se le banche smettessero di sottoscrivere le loro obbligazioni, dice Cojoianu a Follow the Money: «Sarebbe un segnale davvero enorme. Non credo che gli investitori sarebbero ancora disposti a investire i propri soldi se le grandi banche di investimento non fossero più disposte a sottoscrivere tali obbligazioni». Il concetto è chiaro: i progetti di estrazione di fonti fossili – sempre più costosi data la loro natura – sarebbero a rischio se le banche smettessero di pagare le obbligazioni delle compagnie fossili. Senza un cambiamento nel mondo della finanza pensare di risolvere la questione climatica rischia di essere un’utopia.