«Eni sapeva, ma ha continuato a estrarre fonti fossili»

Negli anni '70 e '80, Eni sapeva che le fonti fossili avrebbero sconvolto il clima. Le prove raccolte da Greenpeace Italia e ReCommon

La sede di Eni a Roma © Captain Raju / Wikimedia Commons

In diverse sue pubblicazioni risalenti agli anni Settanta e Ottanta, il colosso petrolifero italiano Eni, all’epoca interamente controllato dallo Stato, metteva in guardia sui possibili impatti distruttivi sul clima del pianeta derivanti dalla combustione delle fonti fossili. Eppure, nonostante questi ammonimenti, l’azienda ha continuato a investire principalmente sull’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e gas. E prosegue ancora oggi. È quanto denuncia “Eni sapeva“, il rapporto realizzato da Greenpeace Italia e ReCommon grazie a ricerche effettuate presso biblioteche e archivi della stessa Eni o di istituzioni scientifiche come il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

Inoltre sin dalla prima metà degli anni Settanta il Cane a sei zampe ha fatto parte dell’IPIECA, un’organizzazione fondata da diverse compagnie petrolifere internazionali che, secondo recenti studi, a partire dagli anni Ottanta avrebbe consentito al gigante petrolifero statunitense Exxon di coordinare «una campagna internazionale per contestare la scienza del clima e indebolire le politiche internazionali sul clima».

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Eni sapeva, ma ha ignorato gli allarmi della comunità scientifica

Lo studio si basa anche su recenti analisi simili riguardanti altre compagnie come la francese TotalEnergies. E include contributi di storici della scienza come Ben Franta, ricercatore senior in Climate Litigation presso l’Oxford Sustainable Law Programme, tra i maggiori esperti del tema a livello mondiale, e Christophe Bonneuil, attualmente direttore di ricerca presso il più grande ente pubblico di ricerca francese, il Centre national de la recherche scientifique (CNRS).

«La nostra indagine dimostra come Eni possa essere aggiunta al lungo elenco di compagnie fossili che, come è emerso da numerose inchieste internazionali condotte negli ultimi anni, erano consapevoli almeno dai primi anni Settanta dell’effetto destabilizzante che lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio esercita sugli equilibri climatici globali, a causa delle emissioni di gas serra». Lo dichiara Felice Moramarco, che ha coordinato la ricerca per Greenpeace Italia e ReCommon. «Se ci troviamo oggi nel pieno di una crisi climatica che minaccia le vite di tutte e tutti noi, la responsabilità ricade principalmente su aziende come Eni, che hanno continuato per decenni a sfruttare le fonti fossili, ignorando gli allarmanti e crescenti avvertimenti provenienti dalla comunità scientifica globale».

La causa di Greenpeace Italia e ReCommon contro Eni

Lo scorso 9 maggio Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno presentato una causa civile nei confronti di Eni per i danni subiti e futuri, di natura patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui la compagnia avrebbe significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendo consapevole degli impatti sul clima delle proprie attività, come dimostrato dal rapporto “Eni sapeva”.

La causa mira a costringere Eni a rivedere la sua strategia industriale e a  ridurre le sue emissioni del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come raccomandato dalla comunità scientifica internazionale per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. La causa è stata presentata anche contro il ministero dell’Economia e delle finanze e contro Cassa Depositi e Prestiti, in quanto azionisti rilevanti di Eni.