Bitcoin sotto inchiesta. Ma il futuro è anche suo
Le autorità USA indagano sulle manipolazioni di prezzo del bitcoin. La regolamentazione delle monete virtuali è lontana. Ma il mercato è in espansione
Bitcoin nel mirino, mercati manipolati, criptovalute sotto accusa. Per le monete virtuali sono giorni convulsi e gli Stati Uniti ne sono l’epicentro. Nelle scorse settimane il Dipartimento di Giustizia USA ha avviato un’indagine sulla presunta manipolazione del prezzo di alcune criptovalute, bitcoin incluso. L’inchiesta, condotta insieme alla Commodity Futures Trading Commission (CFTC), l’ente di controllo che si occupa del mercato dei derivati, punta a far luce su possibili operazioni illecite che avrebbero caratterizzato gli scambi delle monete virtuali. Tra queste – sostiene l’agenzia, citando fonti vicine all’indagine – ci sarebbero alcune tecniche conosciute come wash trading e spoofing, due operazioni speculative illegali.
I bari del mercato
Il wash trading è un vecchio trucco che consiste nel vendere e riacquistare il medesimo titolo per far crescere i volumi di scambio e con essi il prezzo. Lo spoofing – spesso indicato con il suo sostanziale sinonimo layering – si basa invece sull’utilizzo di vere e proprie operazioni fantasma nel mondo dell’high frequency trading. Come? Piazzando un ordine di acquisto o di vendita per poi cancellarlo una frazione di secondo più tardi. Una finta in piena regola – si fa per dire– che genera una variazione di prezzo da cui l’operatore è in grado di trarre profitto.
Barare è spesso una tentazione troppo forte. E questi assi nella manica non sono una novità. Nel dicembre 2014, ad esempio, la CFTC ha inflitto una multa di 35 milioni di dollari a Royal Bank of Canada, responsabile di aver messo in atto oltre un migliaio di operazioni di wash trading, vendite fittizie e transazioni non concorrenziali per tre anni. Il primo e clamoroso caso di spoofing riguarda invece il trader londinese Navinder Singh Sarao che nel maggio del 2010 gettò nel panico Wall Street con una serie di finte transazioni capaci di far crollare il Dow Jones. Sarao si è dichiarato colpevole nel novembre del 2016.
Bitcoin: una moneta vulnerabile
Le autorità, sottolinea Bloomberg, temono che il bitcoin e i suoi simili siano facilmente esposti alle frodi di mercato. A favorire le operazioni illecite è in primo luogo la forte volatilità di prezzo che, al tempo stesso, può essere ulteriormente esasperata dalle manipolazioni stesse. Nel secondo semestre del 2017, il prezzo unitario dei bitcoin è passato da 2.700 a oltre 19 mila dollari per poi sperimentare un forte declino che ha spinto oggi il cambio sotto quota 7.000.
Negli ultimi giorni, le indagini americane fanno i conti con nuovi particolari: secondo Amin Shams e John Griffin, rispettivamente ricercatore e docente di finanza dell’Università del Texas, il 50% circa del rialzo complessivo registrato dal bitcoin lo scorso anni sarebbe il frutto di una vera e propria manipolazione di mercato. Nel mirino degli studiosi, secondo quanto reso noto dal New York Times, le operazioni sul Tether, una criptovaluta agganciata al dollaro, condotte sul Bitfinex, una piattaforma di scambio registrata alle Isole Vergini Britanniche.
Regolamentazione del bitcoin
Attualmente, ricorda Bloomberg, gli scambi di criptovalute coinvolgono decine di piattaforme molte delle quali non sono nemmeno registrate presso le autorità di controllo. Negli ultimi anni, inoltre, l’universo delle monete virtuali si è esteso a dismisura con l’irruzione sul mercato di nuove currencies dall’origine incerta e di cui, a ben vedere, non si praticamente nulla. La Cina ha deciso di chiudere le piattaforme di scambio. Ma la sensazione è che i regolatori di tutto il mondo si troveranno prima o poi costretti a percorrere la strada del compromesso. Una conseguenza della forte espansione delle monete virtuali verso nuovi – e forse anche promettenti – comparti di mercato.
L’esempio delle ICO
È il caso del crowdfunding condotto da oltre un centinaio di imprese attraverso le cosiddette ICO, o initial coin offerings. Le ICO, ricordano per alcuni versi le normali IPO, le offerte pubbliche iniziali (initial public offerings) che accompagnano l’ingresso in borsa delle compagnie; solo che in questo caso non ci sono quotazioni all’orizzonte e al posto delle azioni vengono emesse valute virtuali. Dal 2014 ad oggi, segnalano i dati più recenti, l’ammontare globale di questi finanziamenti ha raggiunto i 2,8 miliardi di dollari. Ciò grazie all’impennata registrata nell’ultimo biennio. 1,2 miliardi sono stati raccolti negli Stati Uniti, 637 milioni è la cifra accumulata in Europa. Dove la Svizzera copre da sola il 58% del mercato. Tra le imprese che hanno seguito questa strada ci sono ovviamente le startup del comparto criptovalute. Ma anche le aziende dei servizi finanziari e dei settori big data, software, social media e informazione.