Niente padroni buoni, né americani. Il calcio è di proprietà della finanza
Milan, Manchester United, City, Liverpool. Davvero i club sono americani, cinesi, sauditi? No, sono tutti in mano a fondi globali
Spesso, quando si parla delle squadre di calcio si fa riferimento a fantomatiche proprietà americane, arabe o cinesi. Così non è. Da quando il pallone ha abbandonato la sua dimensione di prodotto del capitalismo industriale ed è entrato nel grande gioco della finanza globale, non solo le squadre, ma anche gli sponsor, i calciatori, i procuratori e i diritti tv sono tutti gestiti da fondi d’investimento cui non è possibile attribuire una nazionalità. E spesso nemmeno un’identità. Se gli esseri umani sono ancora imprigionati da confini, il capitale finanziario scorre fluido per il Pianeta.
Basta guardare alle ultime notizie in tema di economia del pallone. Ci sono due grandissimi club ufficialmente in vendita. Manchester United e Liverpool. Secondo l’ultimo rapporto della Deloitte Money League, fatturano rispettivamente 558 e 550 milioni. Entrambi appartengono a due fondi americani. Per modo di dire. Perché poi sia quello della famiglia Glazer sia il Fenway Sports Group hanno sede nei paradisi fiscali, dove la proprietà si spezzetta e si sparge per il mondo. All’acquisto di entrambi i club è interessato il Public Investment Fund: il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, uno dei più grandi del mondo con un patrimonio di oltre 620 miliardi di dollari, già proprietario del Newcastle.
Bene, per quanto sovrano, il fondo saudita agisce di concerto con il colosso globale Softbank, con sede in Giappone e interessi in tutto il mondo. Negli Stati Uniti in particolare. Il fondo saudita con Softbank ha infatti lanciato il Vision Fund, il più grande fondo d’investimento tecnologico di sempre che segue il progetto Saudi Vision 2030, il sogno del principe Mohammed bin Salman di emanciparsi dal petrolio. Tornando al pallone, le proprietà di United e Liverpool passerebbero quindi da un fondo globale all’altro, non certo dagli “americani” ai “sauditi”.
Ma non è finita qui. Altra notizia è un riassetto della proprietà del Manchester City (fatturato da 645 milioni) il cui principale azionista è il Newton Investment and Development fund, ovvero il fondo sovrano di Abu Dhabi. Bene, gli investitori cinesi di China Media Capital che erano già scesi dal 14% al 7%, hanno venduto la maggior parte dello loro quote alla società di private equity statunitense Silver Lake, che diventa così secondo maggior azionista del club.
Escono i “cinesi” ed entrano gli “americani”? Non proprio. Infatti il fondo Silver Lake, che ha già diversi interessi nel mondo del calcio, anche nei diritti tv, fa sempre parte della galassia nippo-saudita-americana di Softbank. Come al Mondiale di Qatar 2022 un terzo dei giocatori non è nato nel Paese per cui gioca, così è evidente che nel pallone globale e finanziario non esistono più le proprietà nazionali. È tutto più fluido, come il capitale. Per questo, quando ancora si scrivono cose come “il Milan americano”, più che ai grattacieli di New York viene da pensare a Nando Mericoni, ovvero al mitico Alberto Sordi che vuole fare l’americano.