Il calcio non può rinunciare ai soldi della Russia di Putin

Cambiare tutto perché nulla cambi. Da Abramovich ai club di calcio, come ci si sta comportando nei confronti dei soldi russi

Il presidente della Russia Vladimir Putin © Presidential Executive Office of Russia

Cambiare tutto perché nulla cambi, ecco come i club di calcio si stanno comportando nei confronti dei soldi russi. Un esempio per tutti, la sceneggiata con cui Roman Abramovich ha finto di disfarsi del Chelsea. Qualcosa a livello federale è stato fatto, e in questo lo sport è stato più rapido e deciso delle sue controparti politiche. Decisioni forti, e doverose, sono state l’immediato annullamento del gran premio di Formula 1 di Sochi, rimozione di onori e presidenze onorarie a Vladimir Putin dalla federazione di judo, cancellazione di tutte le manifestazioni in Russia e Bielorussia per il badminton, e altro. Anche il calcio si è mosso, ma qui i tentennamenti sono più evidenti, anche perché qui il softpower russo è molto più articolato.

La Fifa ha escluso la nazionale russa dai playoff per i Mondiali di Qatar 2022. Ma nulla da dire sul Qatar stesso, ovviamente, o sull’Arabia Saudita che nello Yemen sta facendo una guerra assai sporca. Ma va bene, non si può avere tutto. La Uefa ha spostato la finale di Champions da San Pietroburgo a Parigi e ha annunciato che interromperà la decennale partnership con il colosso energetico Gazprom (main sponsor di Champions, Supercoppa ed Europei per 40 milioni l’anno), anche se non è stato molto difficile: il contratto è già stato onorato e sarebbe comunque scaduto nel 2024. Lo stesso ha fatto lo Shalcke 04, squadra di Gelsenkirchen, cuore del gasdotto Nord Stream che da Gazprom prende soldi e dirigenti: via il nome dalle maglie e forse anche i soldi, quello va capito.

E veniamo ad Abramovich, che due giorni fa abbiamo addirittura visto nell’insolito ruolo di mediatore al tavolo dei negoziati russo ucraini in Bielorussia. La leggenda vuole che l’oligarca russo, cui Eltsin regalò la neo privatizzata Sibneft (quella che oggi è Gazprom, tutto torna) quando scoppiarono le guerre tra oligarchi che favorirono l’ascesa di Putin si comprò il Chelsea (ufficialmente nel 2003, per circa 200 milioni) per essere sempre sotto i riflettori e quindi più difficile da ammazzare. Poi ha venduto la Sibneft, fatto pace con Putin, oggi è considerato tra i 30 oligarchi a lui più vicini ed è diventato uno degli uomini più ricchi del Pianeta, con un patrimonio di 13,6 miliardi di dollari. Nel frattempo, ha portato il Chelsea a essere una potenza globale del valore di circa 3,2 miliardi e a vincere tutto, tra cui due Champions. Come? Prestando alla Fordstam Ltd che controlla il 100% del club almeno 2 miliardi di dollari, la sua assicurazione sulla vita.

Altro che i riflettori. E così, dopo la stretta annunciata da Londra sui soldi russi, abbastanza inutile dato che secondo Forbes fino al 2014 i russi muovevano circa 44 miliardi di sterline nel Paese, e da allora sono scesi a 8 miliardi, il comunicato con cui Abramovich passa “l’amministrazione e la cura” del club alla Chelsea Foundation, associazione benefica di cui sono amministratori gli stessi dirigenti del Chelsea (Bruce Buck, Emma Hayes, Piara Powar, Paul Ramos e John Devine) non vuole dire assolutamente nulla. È cambiato tutto perché nulla cambiasse, come ha rilevato anche il Chelsea Supporters’ Trust, l’associazione dei tifosi. Però nel mondo tutti hanno applaudito: chi la forza del governo inglese, chi la decisione dell’oligarca russo, chi la pulizia dello sport. In effetti, a proposito di pulizia, nel lavare e profumare i soldi e l’immagine dei peggiori dittatori lo sport e il calcio non hanno mai avuto rivali.