In California le batterie cambiano il modo in cui gestiamo l’energia
In California fino al 2020 non appena calava il sole si accendevano le centrali a gas. Poi sono arrivate le batterie, e tutto è cambiato
La California è un posto dal clima mite e assolato. Le precipitazioni annue di Los Angeles sono la metà di quelle di Roma, e il sole splende per 300 giorni in media. Questo, e la grande disponibilità di capitali – il Pil nominale dello Stato è maggiore di quello italiano o francese – hanno fatto sì che negli anni sia esplosa la produzione di energia fotovoltaica. Fino a poco tempo fa, però, l’elettricità prodotta coi raggi solari rimaneva in circolo solo fino al tramonto. Proprio quando i consumi toccano il loro picco giornaliero, perché la gente torna a casa dopo il lavoro, la notte impediva ai pannelli di funzionare. E la rete californiana si trovava costretta ad accendere ogni sera le sue centrali a gas.
Tutto ciò, almeno fino ad agosto 2020. Nel mezzo di un’ondata di caldo che aveva portato le famiglie ad accendere al massimo i condizionatori, il sistema elettrico californiano è collassato. Lasciando 800.000 case senza corrente. Da quel momento, le autorità hanno cambiato strategia. La California è diventata uno degli epicentri mondiali dell’installazione di batterie. Solo la Cina ne ha messe in funzione di più. E ora, dice tra gli altri il Financial Times in un recente articolo, potrebbe fare da esempio per il resto del mondo.
La corsa inarrestabile delle batterie
Quando parliamo di batterie, ci riferiamo a dispositivi che immagazzinano e rilasciano energia elettrica grazie ad un insieme di reazioni elettrochimiche. Quelle che si usano nei sistemi che garantiscono l’energia alle nostre case sono concettualmente simili alle batterie che abbiamo nei nostri telefoni o automobili. Cambia però la dimensione: i dispositivi che reggono la rete californiana sono grandi come dei container, e un impianto può contenerne decine.
Da tempo le batterie si usano come riserve di emergenza per evitare blackout, ma con l’esplosione delle energie rinnovabili hanno d’improvviso iniziato a ricoprire un ruolo ben più centrale. Il principale limite dell’energia solare ed eolica, infatti, è l’intermittenza. Le risorse su cui si basano – sole e vento – sono cioè soggette a fluttuazioni. Alcune prevedibili, come l’arrivo della notte; altre imprevedibili, come una giornata nuvolosa o di bonaccia. Questo fa sì che non sia sempre possibile adattare l’offerta alla domanda, e che in momenti di grande richiesta di energia le rinnovabili possano non essere sempre in grado di fornirne in quantità necessaria.
Per risolvere il problema c’è una varietà di modi – dall’uso delle dighe come accumulo alle reti intelligenti fino alla complementarietà delle fonti – ed esiste un discreto consenso sul fatto che reti elettriche senza fossile dovranno ricorrere a diversi di questi rimedi assieme. Ma la maggioranza della comunità scientifica globale è convinta che, soprattutto nei Paesi ricchi di sole e privi di enormi risorse idriche, saranno le batterie elettrochimiche l’attore principale.
Per questo il caso californiano è così interessante. Gli impianti installati sono cresciuti del 67% quest’anno, e le stime parlano di un’ulteriore accelerazione. Il 70% di quest’aumento è localizzato tra Cina e Stati Uniti, e Pechino da sola ha installato più batterie del resto del mondo sommato.
L’Australia, terza in classifica, ha in programma di moltiplicare per undici la sua capacità di accumulo elettrochimico. E anche Paesi estremamente legati all’economia fossile come gli Emirati Arabi Uniti hanno dei progetti in cantiere. La Spagna, dopo il blackout di pochi mesi fa, ha deciso di aumentare gli investimenti nel settore. Nel 2022 in tutto il mondo esisteva un solo impianto con una capacità pari o superiore ad 1 Gwh: adesso sono 42. Un boom reso possibile dal crollo dei costi: il prezzo di una batteria agli ioni di litio di oggi è, in media, un decimo del prezzo di una del 2010.
Perché la California importa: più accumuli e meno gas
«La California è il ground-zero delle batterie» scrive il Financial Times. Lo Stato di Hollywood e del surf, in effetti, fa notizia, e non solo per i numeri in sé. La transizione alle rinnovabili serve ad abbandonare le fonti fossili, responsabili dei gas climalteranti che a loro volta provocano il riscaldamento globale. Gli esperti guardano alla California per capire se un aumento dell’energia pulita e delle infrastrutture ad essa connessa – come appunto gli accumuli – si lega ad una riduzione dell’energia sporca. E la risposta è sì, almeno nel caso di specie. Dal 2023 ad oggi il consumo di gas nella generazione elettrica si è contratto del 37%.
La ragione ha a che fare con il fenomeno che descrivevamo prima. Senza batterie, al calar del sole la rete era costretta a ricorrere a centrali fossili capaci di andare in breve tempo a pieno regime – tipicamente, quelle a metano. Le batterie hanno di fatto sostituito questa funzione, accumulando energia solare quando è in eccesso e rilasciandola dal tramonto in poi. Il mix elettrico californiano ha ancora del fossile al suo interno, ma meno di prima. E continua a ridursi.

Si tratta di un modello esportabile? Il dibattito è aperto, ma tra gli esperti c’è ottimismo. Nel 2020 un’analisi di BoolmbergNEF esprimeva forti dubbi sulla capacità degli accumuli elettrochimici di supplire al ruolo del gas. Ma un report di Energy Transitions Commission (ETC) di questa estate sostiene che i Paesi più soleggiati – compresi quelli mediterranei – potranno usare le batterie per quasi tutte le loro necessità di bilanciamento della rete. ETC è una realtà nata su spinta anche di alcune aziende del settore elettrico, è quindi giusto prendere con le pinze le sue stime, ma il report è circolato molto tra stampa specializzata ed esperti. D’altronde anche l’Ipcc, il foro scientifico delle Nazioni Unite dedicato a crisi climatica e transizione ecologica, dimostra nel suo ultimo report molta fiducia nello sviluppo di tecnologie di questo genere.
Batterie che aumentano le emissioni (e come evitarle)
La sola presenza delle batterie non è in ogni caso garanzia di decarbonizzazione. Il New York Times, in un articolo di un anno fa, riportava l’esempio controcorrente del Texas. Pur senza raggiungere per ora i livelli della California, anche questo Stato americano ha visto crescere di molto la sua capacità di accumulo. Ma al contrario di quanto avviene sulla costa Est, gli impianti avrebbero aumentato le emissioni, invece di ridurle. Lo sostiene un white paper di Tierra Climate del 2023.
La ragione di questo paradosso sta nel diverso modo in cui l’infrastruttura di accumulo è stata sviluppata. Se le batterie in California sono esplose su input del pubblico e dentro un piano generale di decarbonizzazione, in Texas è stato il mercato a guidare il boom. E, in certi contesti, per gli operatori del settore è conveniente ricaricare i propri impianti non con energia solare o eolica. Ma con quella del gas o del carbone.
Assieme ai limiti relativi all’uso che si fa delle batterie – e quindi alla regolamentazione necessaria – rimangono poi questioni tecniche ancora irrisolte. Lo stesso report di ETC parla, oltre che di una sunbelt che potrà reggersi sulle batterie, di una windbelt – cioè, Paesi dipendenti dal vento più che dal sole – che invece dovrà fare maggiore affidamento su altri sistemi di accumulo. Una fascia quest’ultima che include nazioni come Canada, Regno Unito e parte di Stati Uniti e Cina. I dispositivi elettrochimici, inoltre, sono ad oggi efficienti per quanto riguarda la gestione giornaliera dell’energia – caricare col sole a picco e scaricare a sera, come in California. Ma non ancora per quanto riguarda gli squilibri stagionali: difficile cioè stoccare il sole estivo per usarlo in inverno.
Il problema dello smaltimento e il bisogno del riciclo
La transizione alle energie rinnovabili comporta una diminuzione dell’estrazione di materiale dal sottosuolo. Questo dato di fatto, sul quale la comunità scientifica converge, può suonare controintuitivo. Perché siamo abituati a ragionare sulle tonnellate di rame o litio necessari alle nuove infrastrutture. Ma il segreto è la fine della combustione. L’attuale sistema energetico richiede di procurarsi ogni giorno gas, carbone e petrolio che non rimangono in circolo, ma vengono immediatamente bruciati. Qualcosa che non avviene per i minerali della transizione. E questo è vero anche nello scenario di un passaggio alle fonti pulite fatto in modo disordinato e poco attento al risparmio energetico, secondo l’International Energy Agency.
Tenendo questo a mente, rimane il tema delle conseguenze ambientali e sociali dell’aumento della domanda di quei materiali utili ai nuovi sistemi elettrici. E le batterie, in particolare, ne richiedono diversi e critici. Molto si è scritto del cobalto – estratto in larga parte in Africa centrale da lavoratori privi di diritti sindacali. Diverse batterie di ultima generazione ne fanno ormai a meno, ma anche altre risorse come nichel e litio stanno creando preoccupazione e conflitti – dal Portogallo all’Indonesia passando per la Bolivia. Più delle batterie impiegate dalle reti elettriche, a creare dibattito sono le batterie usate dalle auto. Settori ad ogni modo tra loro collegati: tra i primi produttori mondiali di batterie ci sono la cinese BYD e la statunitense Tesla, entrambi player del trasporto su gomma.
La mitigazione di queste esternalità negative è un’altra sfida aperta. Il primo punto critico è la quantità: è difficile immaginare una transizione che non richieda nuove risorse. Ma quante dobbiamo metterne in circolo? Una sostituzione uno ad uno di tutte le auto a combustione del Pianeta con altrettante auto elettriche, ad esempio, porta ad un boom della domanda che si potrebbe contenere con una ratio di sostituzione diversa. Nei paesi occidentali, questo implica realisticamente un forte impulso al trasporto pubblico e delle limitazioni al settore automobilistico.
Il secondo pilastro della possibile soluzione al dilemma è il riciclo. Litio e compagnia, a differenza dei fossili, non vengono bruciati. L’Unione Europea si è data l’obiettivo di riciclare almeno il 50% del litio dei veicoli entro il 2037. E l’80% entro il 2031. Ma la strada è ancora lunga, e non tutto il Pianeta ha target di questo genere. C’è poi la questione della ricerca. Grazie ad un uso maggiore del nichel, è possibile oggi produrre batterie libere dal cobalto – il più problematico dei materiali usati dall’industria. Gli accumuli a ioni di sodio – risorsa diffusa e di facile estrazione – promettono di fare a meno anche di nichel e litio, ma non sono ancora disponibili su larga scala.
Oltre al quanto estrarre, comunque, conta anche il dove. Uno studio del 2021 segnala come una delocalizzazione dell’industria estrattiva verso nazioni prive di regolamentazioni ambientali e sociali porterà inevitabilmente ad un aumento delle conseguenze peggiori del settore.
Accumulare energia nel mondo che brucia
Nel 2015 al ventunesimo incontro negoziale delle Nazioni Unite sul contrasto al riscaldamento globale tutti i governi del Pianeta si accordarono sulla necessità di ridurre le emissioni per contenere l’aumento della temperatura media entro la soglia dei due gradi centigradi in più rispetto all’era preindustriale. Quando cioè le attività umane non avevano ancora iniziato a mutare l’atmosfera. In quella stessa sede, ci si disse anche che, «preferibilmente», ci si sarebbe tenuti al di sotto di una soglia ancora minore: un grado e mezzo di aumento.
Era il famoso Accordo di Parigi, che tra meno di un mese compie dieci anni – e se li porta piuttosto male. Il più ambizioso dei due limiti, il grado e mezzo, è già quasi superato secondo gli ultimi dati disponibili. E anche il rispetto del secondo è tutto fuorché scontato. Gli effetti di questo aumento, come ricorda tra gli altri l’Ipcc, sono già visibili in termini di siccità ed eventi metereologici estremi.
Il 75% delle emissioni responsabili della crisi climatica sono dovute al settore energetico. E per abbandonare le fonti che le causano è necessaria la transizione alle tecnologie low-carbon. Lo sviluppo delle batterie, in questo senso, può essere un punto di svolta della decarbonizzazione. Perché potrebbero permettere di aggirare in buona parte quello che finora è stato il grande collo di bottiglia delle rinnovabili. Ovvero, la difficoltà di usare l’elettricità proprio quando serve, non solo quando il sole splende e il vento soffia. Per questo l’esperimento californiano è così importante per il resto del mondo. A patto però di regolare per bene, investire su ricerca e riciclo e – ovviamente – contenere il consumo di energia. Altrimenti, il rischio è che non ci sia soluzione tecnologica che tenga.




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