Clamoroso a Santiago: salta la COP25 sul clima

Le gravi proteste di piazza spingono il Paese sudamericano a rinunciare alla conferenza mondiale prevista per inizio dicembre: Costa Rica, New York e Bonn le ...

Emanuele Isonio e Matteo Cavallito
Un moento dei lavori preparatori della Cop25.
Emanuele Isonio e Matteo Cavallito
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La gravissima tensione sociale causata dallo scontro ormai aperto tra i manifestanti e il governo ultraliberista di Sebastian Piñera ha ottenuto una vittima eccellente: la COP25, la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, che doveva tenersi dal 2 al 13 dicembre prossimi a Santiago del Cile è ufficialmente saltata. Ad annunciarlo è stato poco fa lo stesso presidente cileno.

Cancellato anche il summit APEC

La COP25 non sarà l’unico evento ad essere cancellato a causa dei violenti scontri di piazza: l’inquilino della Moneda ha anche annunciato che non ospiterà più il summit dell’APEC, il forum della Cooperazione Economica Asiatico-Pacifico, che doveva tenersi il 16 e 17 novembre, sempre nella capitale cilena.

Rinvio a inizio 2021 e nuova sede: ecco le sedi papabili

La decisione del presidente cileno non è del tutto inattesa ma certamente nessuno, al momento, immaginava un simile epilogo. Ovviamente non si sa ancora come e dove si terrà la COP25, ma subito hanno iniziato a circolare tra gli addetti ai lavori 3 ipotesi alternative.

https://soundcloud.com/valori_it/la-cop25-e-perche-e-importante-esserci-spiegato-da-andrea-barolini

Le ipotesi più probabili parlano di un rinvio di un paio di mesi (a fine gennaio o a febbraio). Potrebbe tenersi sempre in Sud America, ma in Costa Rica, che è lo Stato coorganizzatore della conferenza. Sarebbe senz’altro una scelta coerente con gli enormi sforzi in termini di riduzione delle emissioni climalteranti che fanno del Paese una best practice globale. Ma immaginare che la piccola nazione sia in grado di sobbarcarsi l’organizzazione logistica dal nulla indebolisce l’opzione.

Un’altra soluzione è che si tenga a New York, nella sede Onu, ma gli ostacoli legati alla macchina della sicurezza statunitense e alle autorizzazioni necessarie potrebbero non rendere così agevole trasformarla nella città ospitante.

Decisamente più facile sarebbe organizzarla a Bonn, dove ha sede il segretariato dell’UNFCCC, Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Proprio nella città tedesca si erano tenuti i lavori preparatori della conferenza, che avevano già gettato più di un dubbio sui risultati concreti raggiungibili all’appuntamento cileno. Quasi un presagio di sventura…

In Cile una situazione sempre più esplosiva

La situazione nel Paese sudamericano è effettivamente sempre più pesante da diverse settimane e la posizione del governo si fa sempre più incerta. Solo venerdì scorso, 25 ottobre, oltre un milione di persone ha sfilato per le strade della capitale Santiago e in molte altre città del Cile per protestare contro la crescente disuguaglianza sociale, acuita dalle ultime decisioni del governo. Nei violenti scontri sono morte almeno 11 persone.

Le proteste di piazza sono iniziate lo scorso 14 ottobre in risposta all’aumento del costo del trasporto pubblico. Il presidente Sebastián Piñera ha risposto dispiegando l’esercito e imponendo il coprifuoco, un provvedimento che era stato ordinato l’ultima volta nel 1987, durante la dittatura d Pinochet.

Una delle economie più inique del continente e pensioni da fame

La sensazione, per non dire la certezza, è che l’incremento delle tariffe sui trasporti – iniziativa poi ritirata – sia stata la classica goccia capace di far traboccare il vaso. Sebbene caratterizzata dal PIL pro capite più elevato del Subcontinente (quasi 25mila dollari), l’economia cilena resta una delle più inique dell’America Latina.

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Secondo le ultime rilevazioni della Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal), la ricchezza media delle singole famiglie cilene viaggia attorno ai 115mila dollari. Ma per la metà più povera dei cittadini il dato si ferma a quota 5mila dollari contro i 760mila del 10% più ricco della popolazione e gli oltre 3 milioni del Top 1%.

Circa un decimo della ricchezza nazionale, inoltre, è controllato da meno di 550 famiglie, una proporzione – nota qualcuno – simile a quella rilevata in molti Paesi africani.

A pesare, infine, sono un welfare ridotto e costoso e una previdenza da tempo sotto accusa. Introdotto all’inizio degli anni Ottanta durante il regime militare, il sistema è interamente gestito dai fondi privati e produce pensioni molto modeste anche in relazione all’elevato costo della vita.