Prestiti peer-to-peer, in Cina la bolla è scoppiata (e fa male anche a noi)
Il governo e la crescita ridotta affossano i prestiti privati. La Cina rischia un altro contraccolpo miliardario. E tutti devono preoccuparsi. Italia compresa
La Cina ha un problema con il credito. E i risvolti delle ultime vicende appaiono davvero inquietanti. Non solo per Pechino. Nelle ultime settimane, ha riferito in questi giorni l’emittente tedesca Deutsche Welle, il governo cinese ha attuato l’ennesimo giro di vite nei confronti del peer-to-peer lending, il mercato dei prestiti tra privati. Un settore particolarmente sviluppato che interessa milioni di clienti che hanno difficoltà a ottenere crediti dalle banche tradizionali. Ma anche un comparto opaco che da tempo suscita parecchie perplessità.
Nel dettaglio – precisa DW – le autorità di Pechino hanno sequestrato ad oggi asset complessivi per 1 miliardo e mezzo di dollari aprendo indagini su oltre 100 manager. Negli ultimi due anni, migliaia di piattaforme peer-to-peer (P2P) hanno dichiarato default o, talvolta, sono sparite nel nulla.
Milioni di cinesi hanno perso tutto
Interpellato dalla stessa emittente tedesca, Zongxin Qian, professore di finanza alla Renmin University di Pechino ha definito gli operatori del peer-to-peer “squali della finanza” accusandoli di rivolgersi a clienti vulnerabili imponendo tassi di interesse a doppia cifra. Il risultato è una diffusa ondata di insolvenze. Ma a rischiare sono anche i risparmiatori che hanno messo i propri soldi sulle stesse piattaforme. Milioni di cinesi avrebbero perso tutto il capitale investito. E il rallentamento dell’economia nazionale potrebbe ora peggiorare la situazione per investitori e clienti. Nel mese di novembre, l’ultimo per il quale sono disponibili i dati, il volume dei prestiti P2P in Cina si è ridotto del 70% su base annuale. La bolla del credito – perché di questo si tratta – sembra definitivamente scoppiata.
Il boom della finanza privata
La crisi del peer-to-peer è soltanto uno degli aspetti problematici del sistema creditizio cinese. Fino alla metà degli anni ’80, tutti i prestiti del Paese passavano attraverso la People’s Bank of China, la banca centrale che finanziava tutti i progetti approvati dalle autorità. Poi sono entrate sulla scena nuove istituzioni finanziarie, come banche di investimento, compagnie assicurative, società di leasing e istituti stranieri. Con l’espansione record dell’economia, infine, è stata a volta dei prestiti per i privati.
Nello spazio di un decennio, il debito delle famiglie cinesi è passato dal 18% al 49% del Pil.
Il dato resta inferiore alla media globale (59% secondo la società di analisi MicKinsey) ma superiore, per fare un paragone, a quello italiano: 41%, addirittura in diminuzione dal 2010.
Debiti occulti da 5.800 miliardi
Il vero problema del debito cinese è dato soprattutto dalla sua imponderabilità. Difficile, per non dire impossibile, sapere con certezza chi debba quanto a chi. E le cifre in gioco ovviamente, sono a 13 zeri (parlando in dollari, ça va sans dire). Prendiamo il debito pubblico: a metà 2017, sosteneva un’analisi di McKinsey, si collocava sotto quota 50% del Pil, in evidente ascesa da molti anni. Ma la stima, sostiene un rapporto pubblicato a ottobre dall’agenzia di rating Standard & Poor’s, non terrebbe conto del debito occulto da 5.800 miliardi di dollari accumulato, secondo l’ipotesi peggiore, dai governi locali. Se la stima fosse corretta il peso delle pendenze pubbliche sull’economia salirebbe così oltre la soglia del 60%.
Un default che cambia la storia?
I debiti locali sono da tempo nell’occhio del ciclone. L’ultimo allarme è risuonato in questi giorni. Qinghai Provincial Investment Group, una società pubblica locale, non ha rispettato le scadenze ritardando il saldo degli interessi sul debito accumulato. L’episodio coinvolge anche creditori esteri e costituisce pertanto, nota il Financial Times, il primo default tecnico di una società pubblica cinese su un debito offshore in oltre 20 anni. L’effetto psicologico per gli investitori, osserva ancora il quotidiano britannico, sarà difficile da superare. L’ipotesi che le società pubbliche provinciali godessero implicitamente della protezione ultima dello Stato non era mai stata messa in discussione.
Ma il rallentamento delle economie locali – soprattutto nelle province nord-orientali e occidentali – sta riducendo le risorse a disposizione per la copertura dei saldi.
E non è un mistero che Pechino punti a trasformare i veicoli finanziari provinciali in entità sempre più autonome in grado di finanziarsi da sole senza bisogno di un sostegno esterno. «Riteniamo che Qinghai Provincial Investment Group riceverà con ogni probabilità un sostegno straordinario da parte del governo provinciale – ha dichiarato al FT Claire Yuan, analista di Standard & Poor’s ad Hong Kong – ma c’è il rischio che questo supporto possa indebolirsi nel tempo».
Il debito della Cina? $30mila miliardi (forse)
Ma a preoccupare non è solo il debito pubblico. McKinsey, ad esempio, valutava in 19 trilioni di dollari il debito delle imprese cinesi nel 2017. Cifra che, una volta sommata ai prestiti in essere contratti dallo Stato e dai privati cittadini, porta il conto totale a circa 30 mila miliardi di dollari. Equivalenti, all’epoca della rilevazione, al 256% del Pil. In pratica una crescita di quasi 100 punti percentuali in dieci anni.
Un problema per tutti. Italia compresa
Il fatto, a questo punto, è che una crisi del sistema creditizio cinese rappresenta una pessima notizia anche per le altre economie. Italia compresa. Semplificare sarebbe fuorviante, ma basta unire i pezzi del puzzle per ottenere un quadro preoccupante. In Cina i debiti sono cresciuti per anni a ritmi ben superiori rispetto all’espansione economica. Il settore dei prestiti tra privati, essenziali per molti consumatori, si sta ridimensionando in modo evidente. E il fenomeno, come se non bastasse, avviene in una fase di rallentamento generale dell’economia.
All’inizio dell’anno ha chiuso i battenti Yidai, una delle principali società del settore P2P con 32 mila investitori individuali e un giro d’affari da 4 miliardi di yuan (580 milioni di dollari circa). Di questo passo, è molto probabile, molti altri seguiranno l’esempio.
Per un Paese intenzionato da tempo a trasformare la propria economia puntando più sui consumi che sulla produzione, i contraccolpi sul fronte della domanda possono pesare e non poco. Esasperando, forse, la frenata del mercato interno. Per i grandi esportatori di tutto il mondo si tratta dell’ennesima tegola. Destinazione diretta di 300 miliardi di dollari di export europeo (16,4 miliardi dall’Italia), la Cina è oggi più che mai pericolosamente vicina.
(Articolo aggiornato il 4 marzo 2019)