La FAO in salsa cinese un favore a OGM, corporation e agribusiness?

Il neo-direttore generale FAO Qu Dongyu invoca partnership con Bayer e Alibaba. Con lui Pechino può indirizzare dossier scottanti come pesticidi e organismi geneticamente modificati

Agricoltura e pesticidi. CC0 Creative Commons da Pixabay.com

La Food and Agriculture Organization, nota ai più come FAO, è l’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella lotta internazionale alla fame e nella promozione della sicurezza alimentare per tutti. E da che, a giugno 2019, è guidata dal nuovo direttore generale Qu Dongyu, che non è solo cinese (il primo della storia) ma anche viceministro dell’Agricoltura e degli affari rurali in carica nel suo Paese, il futuro dell’agenzia ha imposto non poche riflessioni ai commentatori.

Perché FAO occupa 11.500 dipendenti in tutto il mondo ed è un’organismo di prima linea per l’obiettivo di un mondo libero dalla fame entro il 2030. Ma non solo. Esprime un peso che la prestigiosa rivista «Nature» descrive come assolutamente rilevante in moltissime direzioni: il suo lavoro «oggi abbraccia la pesca, l’agricoltura e la silvicoltura», e tramite uno staff nutrito di scienziati, statistici e altri specialisti «collabora con istituzioni accademiche e ricercatori», diffonde raccomandazioni «sull’uso di antibiotici negli animali da allevamento e sull’uso di colture e animali geneticamente modificati».

Insomma, con 194 Paesi membri, FAO non si configura come organo eminentemente “politico”. Ma di fatto influenza la politica delle nazioni. E, pur non essendo un organo prettamente scientifico, è capace di indirizzare la ricerca.

FAO e la forza politica delle relazioni

Come spiega un funzionario interno all’agenzia, che preferisce mantenere l’anonimato, «FAO dialoga con i ministri e i governi, informa e crea contatti, se viene richiesto il suo impegno. Può influenzare la politica (ma non decidere) attraverso la diffusione delle proiezioni sulle produzioni e a livelli diversi, diffondendo la conoscenza e mostrando le fragilità dei sistemi. Ed è importante per il perseguimento degli SDGs delle Nazioni unite (gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, sette dei quali sono citati come “di competenza diretta” nel discorso di candidatura di Qu Dongyu, ndr). Sviluppa, infatti, linee guida volontarie sull’utilizzo dei pesticidi, sullo sfruttamento della pesca, e promuove collegamenti con corpi intermedi.

Talvolta i governi domandano un contributo FAO per elaborare le riforme in agricoltura e i piani strategici di investimenti».

Si occupa anche di temi controversi come quello degli OGM: c’è motivo di preoccupazione per l’assunzione cinese del ruolo di vertice?

«Sì, se ne occupa. Ma quello degli organismi geneticamente modificati rimane un tema di conflitto. D’altra parte la FAO non è un centro di ricerca, né ha una sua posizione in merito, perché è composta da Paesi membri che hanno opinioni diverse. All’interno dell’agenzia lavorano tanti professionisti capaci ma con differenti convinzioni. E si ricordi che anche la candidata francese, alla vigilia del voto, avrebbe assicurato agli USA di non schierarsi contro gli OGM.

La direzione del brasiliano Graziano da Silva ha appoggiato con decisione l’agroecologia e l’attenzione ai piccoli agricoltori, pur non riuscendo sempre a tradurle altrettanto in pratica. Tuttavia queste linee guida sono già state adottate e non cambiano in fretta. Serve però una migliore organizzazione interna, soprattutto mandati chiari nelle missioni a medio e lungo termine. E va detto che i cinesi stanno imparando dai loro errori: hanno abbattuto la povertà per 700 milioni di individui in pochi anni, ma l’hanno ottenuto distruggendo parte del proprio ambiente».

Nel discorso di candidatura Qu Dongyu richiama l’importanza di partnership col privato. Si citano Bayer e Alibaba. Vi stupisce?

«Bisogna lavorare col settore privato per ottenere risultati rispetto agli SDGs. Ma un’apertura simile non avviene normalmente. Ci sono linee guida e regole dell’ufficio legale, che applica una stretta due diligence per la quale una collaborazione con Bayer (cioè il colosso delle biotecnologie e dell’agribusiness che nel 2018 ha incorporato Monsanto, ndr) appare al limite per rischi reputazionali. Meglio collaborazioni con settori privati locali e soggetti più piccoli».

Restiamo insomma in attesa di capire come si muoverà effettivamente il nuovo direttore generale. In occasione della sua candidatura, del resto, Qu ha comunque voluto rivendicare l’indipendenza delle sue azioni da influenze esterne. E la sua vittoria è stata salutata da numerosi complimenti ufficiali, tra cui quelli delle autorità italiane, del premier e del ministro degli Affari esteri.

Un comportamento comprensibile da parte di Giuseppe Conte ed Enzo Moavero Milanesi. Che potrebbero fare il paio con la consuetudine che il Paese ospitante la FAO, che ha sede a Roma, voti per il candidato favorito. Onde non inimicarselo ancora prima di averlo ospite. Ma difficilmente sapremo mai se ciò sia avvenuto, facendo quindi uno sgarbo alla candidata francese ed europea, Catherine Geslain-Laneelle.