Clima, non agire potrebbe costarci 790mila miliardi di dollari
A spiegarlo è uno studio cinese. Secondo il quale, al contrario, rispettando l'Accordo di Parigi guadagneremmo fino a 422mila miliardi
Coste sommerse, terre desertificate, eventi meteorologici estremi, pandemie. Il mancato rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima comporterà costi immensi per le nazioni di tutto il mondo. Che nel peggiore degli scenari potrebbero arrivare alla cifra stratosferica di 790mila miliardi di dollari, di qui alla fine del secolo. Il calcolo è stato effettuato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Tecnologia di Pechino, in Cina.
Gli impegni sul clima sono ancora troppo deboli
I risultati dell’analisi sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature. E prendono in considerazione il principale obiettivo dell’Accordo raggiunto nella capitale francese nel 2015. Ovvero il mantenimento del riscaldamento globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi.
Per questo, proprio prima del 2015, alle nazioni di tutto il mondo fu chiesto di presentare dei documenti, chiamati NDC (Nationally Determined Contribution): al loro interno illustravano in che modo – e di quanto, soprattutto – ciascun governo intendeva ridurre le emissioni di gas ad effetto serra.
Le anomalie riscontrate dalla Nasa nelle temperature al suolo tra il 1880 e il 2019 La stragrande maggioranza dei Paesi del mondo presentò a Parigi quei documenti. Problema: i calcoli delle Nazioni Unite indicano che tali promesse ci porteranno lontanissimi dalla forchetta 1,5-2 gradi. Gli impegni, ammesso che vengano rispettati, faranno salire la temperatura media globale di 3,2 gradi di qui al 2100. Il che significherà passare da uno stato di crisi climatica a condizioni di catastrofe climatica.
Per questo, le stesse Nazioni Unite hanno chiesto al mondo intero di presentare nuovi NDC, da inviare prima della ventiseiesima conferenza mondiale sul clima, CopLa Vendita allo scoperto è un'operazione finanziaria che consiste nella vendita di titoli non direttamente posseduti dal venditore.Approfondisci 26, prevista inizialmente per il mese di novembre a Glasgow, in Scozia. Ma a causa del coronavirus l’evento è stato rinviato a data da destinarsi.
«Serve una presa di coscienza della gravità del problema»
Lo studio pubblicato su Nature, in ogni caso, non potrà che rappresentare una base di discussione in occasione della Cop 26. L’analisi prende infatti in considerazione da una parte i costi che graveranno su tutti noi. In termini soprattutto di danni derivanti dai cambiamenti climaticiVariazione dello stato del clima rispetto alla media e/o variabilità delle sue proprietà che persiste per un lungo periodo, generalmente numerosi decenni.Approfondisci. Ma anche di investimenti che sarà necessario effettuare, ad esempio per portare a termine la transizione energetica. Abbandonando le fonti fossili e puntando su rinnovabili ed efficienza. Il tutto sulla base di differenti scenari.
Secondo tali previsioni, il mancato rispetto dell’Accordo di Parigi potrebbe comportare esborsi compresi tra 126mila e 616mila miliardi di dollari. Ma il dato più interessante è legato a ciò che invece si guadagnerebbe se mantenessimo latemperaturaApprofondisci entro i limiti fissati dalla comunità internazionale. L’economia mondiale ricaverebbe un minimo di 336mila e un massimo di 422mila miliardi dollari.
Ciò, appunto, avverrebbe immaginando che gli NDC attuali (pur insufficienti) venissero rispettati. E qualora non lo si facesse? In tal caso le perdite potrebbero arrivare, appunto, a 790mila miliardi di dollari. Anche nella migliore delle ipotesi prese in considerazione dai ricercatori cinesi, non sarebbero inferiori a 150mila miliardi.
«L’adozione di una strategia capace di preservare il clima della Terra – ha spiegato Biying Yu, principale autore dello studio – implica una presa di coscienza della gravità del riscaldamento climatico».
Il Giappone non cambia gli impegni per il clima. Poi ci ripensa
Al contrario, secondo lo studioso i governi per ora considerano prioritari i ritorni sul breve termine, rispetto agli investimenti a favore del clima. I cui frutti, inevitabilmente, si vedrebbero soprattutto sul medio-lungo periodo. Eppure, tali stanziamenti sono imprescindibili: «Senza – conclude il ricercatore – le emissioni di CO2 non potranno essere ridotte».
Come ripetuto dunque in occasione di tutte le Conferenze mondiali sul clima degli ultimi anni, serve una rinnovata ambizione da parte degli Stati. Purtroppo, invece, le prime indicazioni appaiono decisamente negative. L’unica nazione del G7 ad aver già depositato i nuovi impegni di riduzione delle emissioni climalteranti è il Giappone.
Il documento presentato dal governo di Tokyo è però sostanzialmente identico a quello del 2015. La nazione asiatica, evidentemente, non ritiene di dover fare di più. O ritiene che a fare di più debbano essere gli altri. Uno scaricabarile, nella migliore delle ipotesi. Giudicato «vergognoso» da numerose organizzazioni non governative ecologiste.
Spinto dalle pressioni di queste ultilme, alla fine dello scorso mese di aprile l’esecutivo della nazione asiatica ha promesso che presenterà un ulteriore documento. Nella speranza che esso possa rappresentare effettivamente un passo avanti.