Clima, il “dialogo” di Bonn salverà Parigi?
L'ex capitale della Germania federale ospita da oggi 200 delegazioni per rendere operativo l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Una questione ambientale ma anche economica
A un’opinione pubblica distratta, un appuntamento come quello che si apre oggi a Bonn, in Germania, potrebbe sembrare secondario, nonostante ospiti delegazioni di quasi 200 nazioni. Ma da esso molto dipenderà dei risultati effettivi nella lotta ai cambiamenti climatici. Non è un caso che la Ue guardi a quell’appuntamento con molta più preoccupazione. Obiettivo: rendere operativo l’Accordo di Parigi siglato al termine della Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop 21) nel 2015 e che è ancora, di fatto, un’ambiziosa dichiarazione di intenti. E che, per inciso, garantirebbe una valanga di euro di risparmi, se rispettato davvero.
“Abbiamo davvero bisogno di vedere un cambio di passo, qui e subito, se intendiamo centrare l’accordo a Katowice. Bisogna fare ancora molti progressi, che per ora non sono uniformi” ha tuonato Elina Bardram, il capo negoziatore dell’Unione europea. Che ha anche ammonito i governi a “fare urgentemente” maggiori progressi. La tappa odierna è infatti cruciale per il percorso di avvicinamento alla prossima Cop 24, che si terrà a dicembre a Katowice, in Polonia.
Delegates attending the 2018 @UN #climatechange conference in Bonn have a great opportunity to #WalkTheTalk by reducing their #climate footprint. We explain how to make #SB48Bonn a sustainable conference https://t.co/cLOy175S90 pic.twitter.com/vH4S8cvlTO
— UN Climate Change (@UNFCCC) April 29, 2018
Dieci giorni per spianare la strada verso Katowice
Come noto, infatti, l’intesa raggiunta in Francia ormai due anni e mezzo fa indica la necessità di limitare la crescita della temperatura media globale, sulla superficie delle terre emerse e degli oceani, ad un massimo di due gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Per raggiungere tale obiettivo, è stato chiesto a ciascun governo di indicare – nero su bianco – degli impegni in termini di diminuzione delle emissioni climalteranti. Tali documenti sono noti agli addetti ai lavori come INDC (Intended Nationally Determined Contributions) e sono stati inviati all’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite che organizza le Cop.
All’epoca, per evitare che regole troppo stringenti potessero portare ad un’impasse politica, si scelse di lasciare carta bianca agli Stati. Ciascuno ha così scelto liberamente quale calo percentuale delle emissioni promettere. Entro quando raggiungere l’obiettivo. E rispetto a quale punto di riferimento del passato calcolare la diminuzione. Per fare un esempio, gli Stati Uniti dell’allora presidente Barack Obama indicarono una diminuzione delle emissioni del 26-28%. Da ottenere entro il 2025, rispetto al valore registrato nel 2005. Problema: le stime di governi e Ong di tutto il mondo indicano che con gli INDC attuali non si potrà centrare l’obiettivo dei 2 gradi centigradi. Saremo almeno a 2,7, secondo una stima del governo francese effettuata nei giorni precedenti alla Cop 21. Mentre secondo le associazioni ambientaliste arriveremo ben oltre i 3 gradi.
Il “dialogo di Talanoa” e il muro polacco
Di qui la decisione, nel corso della Cop 23 tenuta a Bonn nello scorso novembre, di lanciare il “dialogo di Talanoa”. La richiesta ai governi di confrontarsi per raddrizzare il tiro. È per questo che, fino al 10 maggio, la città tedesca tornerà ad essere la capitale mondiale del clima, a pochi mesi ormai dall’appuntamento di Katowice.
Quest’ultimo si annuncia particolarmente complesso: la nazione ospitante, la Polonia, è poco incline ad appoggiare politiche ecologiche troppo stringenti. Basti pensare che buona parte del sistema energetico polacco si basa ancora sul carbone. Il cui abbandono è determinante se si vuole far sì che l’Accordo di Parigi non sia carta straccia.
Climate Pledges of the World Are Not ‘Ambitious Enough’: Speaking at the start of a new round of climate talks in Bonn, Germany, today, Patricia Espinosa, executive secretary of the United Nations Framework Convention on Climate Change, said the current… https://t.co/lrAZwVbIA1 pic.twitter.com/kUoMNOSkq9
— Green Guru (@green81guru) April 30, 2018
«Per far sì che la Cop 24 sia un successo, è essenziale che gli Stati comincino a lavorare fin da ora ad una bozza di testo. Ciò consentirà di affrontare la seconda metà del 2018 con una solida base di lavoro. E renderà più facile ottenere alla fine un risultato importante», ha affermato Patricia Espinosa, segretaria esecutiva dell’Unfccc. Ma, secondo quanto riferito dalla stampa internazionale, il ministro dell’Ambiente delle Maldive Thoriq Ibrahim – che presiede l’Aosis (gruppo delle piccole nazioni insulari) – non è così ottimista. «È frustrante – ha affermato – sentire certi Paesi sviluppati celebrare la loro leadership in materia di clima, quando non hanno mantenuto neppure i modesti impegni assunti. Finché il mondo ricco non farà seguire alle parole i fatti, la nostra sopravvivenza resterà a rischio».
Il nodo dei 100 miliardi di dollari e gli impegni pre-2020
Altro nodo che sarà affrontato nelle due settimane di lavori di Bonn è quello delle azioni da compiere prima del 2020. È infatti tra due anni che l’Accordo di Parigi diventerà operativo, ma tutti concordano su un punto: non ci si può permettere di aspettare. Occorre dunque un impegno anche “pre-2020”. E tutto passa per il nodo, ancora ampiamente irrisolto, dei famosi 100 miliardi di dollari all’anno. Denaro che la comunità internazionale dovrà stanziare al fine di garantire le politiche di adattamento e di mitigazione nella lotta ai cambiamenti climatici.