Oltre gli 1,5°C: il collasso dell’Amoc come punto di non ritorno
Il collasso dell'Amoc, di cui fa parte la corrente del Golfo, ha già effetti devastanti sul clima e sulle temperature globali
Crescono le preoccupazioni per l’ormai certo primo superamento, speriamo temporaneo, della fatidica soglia di +1,5°C rispetto all’era preindustriale. Il 2024 è ormai avviato in questa direzione. E benché dobbiamo ricordarci che comunque ogni decimo di grado evitato diminuisce il rischio di superare il punto di non ritorno, viene lecito chiedersi: che multa rischiamo superando i limiti dell’Accordo di Parigi sul clima?
Nessuna multa per chi supera i limiti di velocità dei disastri ambientali
Se superiamo i limiti di velocità in auto infatti sappiamo tutti che rischiamo ben che vada una multa, anche salata, mal che vada un incidente con danni seri, nella peggiore delle ipotesi a rischio è la nostra vita. L’Accordo di Parigi sul clima però non prevede sanzioni. Né a chi non rispetta gli impegni “volontari e dal basso” presentati dagli Stati firmatari con gli NDC (i piani nazionali non vincolanti, ndr.). Né una sanzione per così dire collettiva, o magari ai grandi emettitori, se vengono superati i due limiti di +1,5°C e +2°C. Nessuna multa o condanna quindi.
Ma come in auto rischiamo un incidente non rispettando il codice della strada, così la corsa al rialzo di emissioni e concentrazioni di gas serra, nonché delle temperature, ci espone a rischi di incidenti catastrofici e improvvisi. Anche inaspettati. Il clima è un sistema non lineare complesso, dove tutto è connesso. E l’aumento delle temperature globali si può ripercuotere sulla nostra vita non solo con effetti diretti come le ondate di caldo, ma anche con ripercussioni indirette dovute per esempio alla fusione dei ghiacci marini e continentali delle regioni tropicali. Ecco due esempi con le ultime novità dal mondo scientifico.
Il collasso dell’Amoc: “The day after Tomorrow”
L’orso polare è un po’ il simbolo ambientalista del climate change, ma il vero animale in pericolo per la fusione dei ghiacci polari è l’uomo. L’esempio più noto è per il rischio di blocco della corrente del Golfo. O più precisamente dell’intera Amoc – Atlantic Meridional Overturning Circulation. Lo ricordiamo, è questo il complesso nastro trasportatore oceanico del calore, che corre negli oceani fra i due emisferi. La corrente del Golfo ne è solo un ramo, per noi vitale, e ancor di più per i Paesi dell’Europa occidentale e settentrionale.
È grazie alla corrente del Golfo che in Irlanda e Scozia vi sono rigogliosi giardini con piante tropicali, per fare un esempio. Resa famosa dal noto film “The Day After Tomorrow”, l’interruzione della corrente del Golfo con il pianeta che piomba nell’era glaciale improvvisa è da fiction. Ma il rischio che corriamo è comunque grande, ed è quello di un cambiamento climatico brusco e improvviso.
Cosa succederebbe con il collasso dell’Amoc?
Un recente studio scientifico pubblicato sulla rivista Nature Geoscience il 18 novembre 2024 dal titolo “Weakening of the Atlantic Meridional Overturning Circulation driven by subarctic freshening since the mid-twentieth century” – autori Gabriel M. Pontes e Laurie Menviel del Climate Change Research Centre, University of New South Wales, Sydney, New South Wales, Australia – mette in guardia del rischio di un repentino collasso della Amoc. E stabilisce con metodi innovati il legame di causa ed effetto tra la fusione dei ghiacci e il rallentamento dell’Amoc.
Le previsioni vanno lette con cautela, meglio ritenerle scenari. Vi sono infatti molteplici variabili in gioco, e la scienza come è suo scopo ne discute. Ma in ogni caso mette in evidenza le conseguenze disastrose a cui porterebbe un crollo del nastro trasportatore oceanico. Nel dettaglio, dai dati osservativi si nota già un indebolimento, iniziato dalla seconda metà del XX secolo. Nonostante i modelli climatici classici finora usati, simulando il clima del passato, mostrino invece una situazione stabile.
Al contrario, questo studio mediante modelli avanzati fa luce su queste discrepanze, tenendo in considerazione dettagli finora trascurati. Dai risultati della ricerca risulta che la fusione (si dice, in fisica, appunto fusione, non scioglimento) dei ghiacci continentali della Groenlandia ha già ridotto la salinità marina nell’Atlantico settentrionale. Influenzando la circolazione oceanica. Un riscontro pratico è osservabile con le animazioni della Nasa delle temperature globali a livello planetario.
Oltre gli 1,5°C: il pericolo del «cold blob»
Nel complesso di un mondo sempre più caldo, con forte riscaldamento delle zone artiche ed anche del Mediterraneo, si osserva facilmente una zona azzurra. Con temperature leggermente più basse del passato. In pratica, il riscaldamento globale è inequivocabile, ma non è uniforme nello spazio e nel tempo. Questa zona viene anche chiamata «cold blob». Potremmo tradurlo con «macchia fredda». E preoccupa molto gli scienziati, in particolare climatologi e oceanografi.
L’Amoc dal 1950 ad oggi ha già rallentato la sua corsa di 0,46 Sverdrup (milioni di metri cubi d’acqua al secondo) per decennio. L’effetto a lungo termine di questo processo altera anche il clima dell’Atlantico meridionale. Aumentando temperatura e salinità attraverso onde di Kelvin e Rossby, meccanismi complessi di propagazione oceanica e di circolazione dell’atmosfera.
Oltre gli 1,5°C: verso una nuova era glaciale?
Se il riscaldamento globale continua di questo passo. E dopo gli 1,5°C nel prossimo decennio si superassero i 2 °C sull’era preindustriale. La circolazione atlantica potrebbe indebolirsi di un ulteriore 33%. Questo avrebbe effetti drammatici su clima ed ecosistemi. E questo non è certo, come sostengono i negazionisti, un segno di speranza. «Il clima si scalda, ma la Terra si autoregola», dice qualcuno talvolta. Saremo invece costretti ad assistere a un ulteriore aumento di eventi meteo estremi. E cambiamenti nei regimi delle precipitazioni.
L’effetto sugli ecosistemi marini, unito all’acidificazione degli oceani, potrebbe avere un impatto devastante sulla vita marina e sulle risorse ittiche. I Paesi nord europei, in particolare, potrebbero subire quelli che in gergo si chiamano «abrupt climate change». Cambiamenti climatici improvvisi, anche di segno opposto, con brusche diminuzioni delle temperature e con inverni più rigidi. Difficile si arrivi a una opposta era glaciale, ad avviso di molti climatologi, ma qualcuno non lo esclude e non sarebbe affatto una buona notizia.
Il rapporto Ipcc sul collasso dell’Amoc
Nel V rapporto del 2021 l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) riteneva estremamente improbabile il collasso dell’Amoc in questo secolo. Ma nel VI rapporto pubblicato nel 2023, si è passati a «livello medio di confidenza» che l’Amoc «non crollerà prima del 2100». Ovvero, abbiamo una media probabilità che questo avvenga già questo secolo. Di recente, vari scienziati hanno sottoscritto una lettera aperta ai leader del Nordic Council (l’Unione dei gruppi parlamentari dei Paesi nordici), facendo presente che a loro avviso il rischio di collasso dell’Amoc è stato probabilmente sottovalutato dall’Ipcc. E ritengono che vi sia «una seria possibilità nei prossimi decenni» di superamento del punto di non ritorno.
Altri scienziati a ottobre scorso hanno lanciato il loro grido d’allarme per l’impreparazione di Paesi come il Regno Unito. Paragonando i rischi di un improvviso cambiamento climatico a quelli corsi col Covid nel 2020, quando i piani pandemici mancavano o erano inadeguati. Allo stesso modo, il Regno Unito sarebbe totalmente impreparato a tale evento.
Il crollo dell’Amoc come una nuova pandemia
Laurie Laybourn, ricercatrice nella valutazione del rischio di cambiamento climatico presso il think tank Chatham House, ha dichiarato al Times: «Dopo aver vissuto il Covid, sappiamo che ha avuto ripercussioni su tutto e che è necessario effettuare valutazioni del rischio di tutte le conseguenze a cascata di un’altra pandemia. Non c’è stato finora lo stesso processo per il crollo dell’Amoc. Potrebbe avere ripercussioni su tutto. È probabile che il peggior impatto sia sulla sicurezza alimentare e potrebbe verificarsi in questo momento».
Vi è però un altro rischio con la fusione dei ghiacci, stavolta di quelli marini: il fenomeno dell’amplificazione artica che va ad alterare la corrente a getto. Ulteriore fattore, stavolta meteorologico, che probabilmente ha già impattato il nostro continente in ondate di freddo, come a febbraio 2012. Ne riparleremo presto con un approfondimento.