Cop 25, il negoziato infinito farà trionfare la “low ambition coalition”?

A Madrid le trattative tra le 200 nazioni non sono terminate. Tra le delegazioni grande distanza su almeno tre punti. Si rischia un accordo inadeguato

Andrea Barolini, inviato a Madrid
I negoziati alla Cop 25 di Madrid non si sono arrestati, come previsto, nella serata di venerdì. Sono ancora troppe le distanze tra le parti © Camilla Soldati
Andrea Barolini, inviato a Madrid
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Quella tra venerdì e sabato è stata una notte lunga e insonne alla Cop 25 di Madrid. Nel tardo pomeriggio di ieri la presidenza cilena della venticinquesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite ha convocato un incontro con la stampa nel corso del quale ha spiegato a chiare lettere che i punti di scontro tra le quasi 200 nazioni presenti erano ancora moltissimi: «Se lasciassimo una settimana di tempo, probabilmente si continuerebbe a discutere fino alla fine».

Si negozia ad oltranza alla Cop 25 di Madrid: una nuova assemblea plenaria è stata convocata per le 14 di sabato

Una nuova seduta plenaria convocata per le 14 di sabato

Una seduta plenaria è stata così convocata per le 23. Anch’essa, però, si è rivelata insufficiente. I delegati hanno lavorato per ore senza ottenere grandi risultati. Una nuova convocazione è stata quindi diramata per le 9 di mattina. Nel corso delle discussioni, numerose nazioni hanno sottolineato il rischio di «mancanza di ambizione» nei testi fino ad ora redatti. Ma il blocco da parte di alcuni Stati è apparso evidente. La delegata degli Stati Uniti, ad esempio, ha affermato senza mezzi termini di fronte all’assemblea di essere «in disaccordo con il linguaggio utilizzato» in alcune parti del testo.

A metà mattinata, è giunta così la notizia di una nuova convocazione per le 14. Non è impossibile immaginare, dunque, che le delegazioni restino al lavoro ancora per tutta la giornata di oggi. E non è scontato che ciò possa portare ad un risultato accettabile. Commentando le bozze circolate nella primissima mattinata di sabato, David Waskow del World Resources Institute ha affermato: «Se questi testi verranno approvati, oggi sarà il giorno del trionfo della “low ambition coalition”». Ovvero dei Paesi che vogliono imporre un forte rallentamento al processo globale di lotta ai cambiamenti climatici.

I nodi della Cop 25: double counting, scambio di quote di emissioni e sostegno ai Paesi poveri

Venerdì, in questo senso, il dito era puntato contro i soliti noti. Stati Uniti, Cina, Australia, India, Giappone. «Il rischio – ha confidato il ministro dell’Ambiente italiano Sergio Costa ad alcune testate, tra le quali Valori.it – è di uscire da qui con pochi risultati e di ingolfare la Cop 26 di Glosgow del 2020».

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Negoziati ad oltranza alla Cop 25 di Madrid © UNclimatechange/Flickr

I nodi da sciogliere sono legati principalmente al rischio di “double counting”, ovvero di doppia contabilizzazione di una singola riduzione di emissioni di CO2 (ad esempio in caso di progetti in partnership tra più nazioni). Il che, di fatto, può falsificare i dati complessivi. Permangono poi grandi distanze sull’articolo 6, ovvero sul funzionamento del nuovo carbon market mondiale, che rimpiazzerà quello istituito dal Protocollo di Kyoto. Esso dovrebbe consentire di stabilire un totale massimo di emissioni, a livello globale, permettendo ai Paesi virtuosi di cedere “diritti ad inquinare” ad altri ancora indietro nella transizione. Ma mantenendo gli obiettivi climatici complessivi.

Alcune nazioni, tuttavia, hanno eccepito di non voler “buttare” i vecchi carbon credit già maturati. Principio che è stato accettato dalla comunità internazionale ma senza che si sia giunti ad un accordo sui tempi di validità di tali crediti. «Non c’è alcuna possibilità che si possa accettare un compromesso che metta in pericolo l’integrità dell’Accordo di Parigi. Semplicemente alcuna possibilità», ha dichiarato in merito il vice-presidente della Commissione europea Frans Timmermans.

La Costa Rica: «Siamo molto preoccupati»

Infine, il mondo risulta ancora diviso sulla questione dei trasferimenti dal Nord al Sud del mondo per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Il finanziamento delle “perdite e danni” (“loss & damage”) continua infatti a contrapporre le nazioni più povere della Terra e più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici a quelle più ricche. Che dovrebbero assumersi la responsabilità di aver disperso la quasi totalità delle emissioni di CO2 negli ultimi decenni, a vantaggio delle loro economie.

«Siamo molto preoccupati. La maggior parte dei testi sui tavoli dei negoziati non sono compatibili con lo spirito dell’Accordo di Parigi», ha ammesso Carlos Manuel Rodriguez, ministro dell’Ambiente della Costa Rica, che co-organizza la Cop 25.