Era la nostra ultima, migliore speranza
La Cop26 è finita. Il carbone è salvo. E noi?
Due settimane di negoziati, prolungate all’ultimo momento di ulteriori 24 ore, non sono bastate ad ottenere ciò che servirebbe per porre il mondo sulla via di una lotta efficace ai cambiamenti climatici. A Glasgow la sensazione che si respirava, nelle sale delle delegazioni, nei lunghi corridoi dello Scottish Exhibition Center, nelle assemblee plenarie era di giocare in difesa.
Il presidente Alok Sharma era stato onesto già all’inizio: «I pianeti oggi non sono allineati come accadde nel 2015 a Parigi» quando fu raggiunto l’Accordo che porta il nome della capitale francese. E così è stato, nonostante qualche timido segnale positivo. Uno di questi è legato al fatto che per la prima volta è stato indicato a chiare lettere che occorrerà – prima o poi, eh – sbarazzarci del carbone e dei sussidi alle fossili. Non fosse per i tanti, tanti “ma”, sarebbe stato da applausi.
Riavvolgiamo il nastro
Copcast. Il diario della Cop26 di Glasgow
Ogni giorno aggiornamenti e commenti dalla conferenza delle Nazioni Unite sul clima
Dalle timide speranze della prima bozza alla delusione
Nella prima bozza che era stata diffusa, alla metà della seconda settimana, era stata indicata apertamente la necessità di un phase-out (uscita) dalla fonte fossile in assoluto più dannosa per il clima. E allo stesso modo figurava la richiesta dello stop ai finanziamenti pubblici concessi anche a gas e petrolio. Troppo bello per essere vero: nella seconda e terza bozza le cose erano già cambiate nella sostanza. Sul capitolo-carbone si era cominciato a parlare di chiudere solo le centrali alle quali non sono affiancati sistemi di recupero della CO2 emessa. E per i sussidi si era scelto di bloccare solo quelli considerati “inefficaci”, formula che apre alle più ampie interpretazioni.
Peccato, per un paio di giorni ci si era sperato. Detto ciò, «per lo meno del problema si comincia a parlare», ripetevano delegati e osservatori alla Cop26. Perché sì, può sembrare incredibile ma mai in un documento ufficiale di una Cop si erano usate parole di questo genere su carbone e sussidi.
Anche questo, però, era troppo bello per essere vero. La scure, affilata, è stata tirata fuori all’ultima ora dell’ultima riunione. A sferrare il colpo è stata la delegazione dell’India (ma certamente non era isolata in questo), che ha chiesto di cambiare una sola parola nel testo: non più phase-out ma phase-down (calo). A quell’ora di sabato, è stato un aut-aut: o così, oppure salta il banco. Prendere o lasciare.
Qualche timido passo avanti alla Cop26
Un passo in avanti è stato fatto invece sulla questione delle NDC, le promesse di riduzione delle emissioni climalteranti avanzate dai governi di tutto il mondo (e che per ora ci portano ben al di là dei 2 gradi centigradi di riscaldamento globale, al 2100, rispetto ai livelli pre-industriali). La Cop26 ha deciso che saranno riviste entro la fine del 2022, in anticipo rispetto a quanto previsto. Ma d’altra parte, appunto, si tratta di compiti a casa fatti male e dunque da rifare, per cui…
Sul fronte della trasparenza, è stato inoltre approvato un sistema comune e uniformato per rendicontare i passi avanti fatti in termini di calo delle emissioni. E passi avanti sono stati fatti anche sul mercato comune dei carbon credits ed è stata citata, anche se in modo particolarmente blando, la necessità di diminuire l’uso del metano. Politicamente, un colpo particolarmente duro per l’industria fossile, che si era presentata a Glasgow con un padiglione specificatamente dedicato al gas.
I Paesi ricchi rifiutano di impegnarsi verso quelli più poveri
La faccenda del carbone pesa però come un macigno. Almeno tanto quanto quella del loss and damage. Ovvero le perdite e danni che possono patire le nazioni più povere e vulnerabili di fronte agli impatti dei cambiamenti climatici. Le nazioni ricche si sono rifiutate di approvare un meccanismo di finanziamenti per indennizzare le nazioni più colpite e meno responsabili della crisi climatica: il sistema era stato battezzato Loss and Damage Finance Facility ed era stato proposto dal G77, dalla Cina e dalle piccole nazioni insulari. Una robetta da 6 miliardi di persone. Alle quali i potenti della Terra hanno detto «no».
Per lo meno, però, a Glasgow è stato stabilito un principio: se non abbatteremo nei prossimi anni le emissioni climalteranti non sarà più possibile centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi, il più ambizioso nella forchetta 1,5-2 gradi indicata dall’Accordo di Parigi. La Cop26 ha il merito, se così si può dire, di mantenere viva la speranza. La Cop27 in Egitto e quella successiva (pare in “trasferta” – in tutti i sensi – negli Emirati Arabi Uniti) potranno tentare ancora la svolta. Sempre che si depongano le scuri.
Questo articolo è stato pubblicato in 11 anni – storie e approfondimenti sulla crisi climatica, la newsletter che Valori.it invia ogni venerdì. Se vuoi riceverla iscriviti alla newsletter e seleziona “Ambiente” tra i tuoi interessi.