Cop30 di Belém: chi sono i protagonisti dei negoziati sul clima

Dal Brasile alla Cina, dall’Europa ai piccoli Stati insulari: i volti dei protagonisti della Cop30. E l’uso del maschile non è un caso

© LulaOfficial/Wikimedia Commons

Diversi media stanno cercando di tracciare un profilo di chi, tra le decine di migliaia di accreditati, deciderà davvero le sorti della Cop30. La testata finanziaria Bloomberg, ad esempio, ha pubblicato una bella scheda sui negoziatori della Cop. Vediamo assieme i nomi da tenere a mente.

André Corrêa do Lago: il presidente della Cop

André Corrêa do Lago © João Risi / Seaud / Pr / Palácio do Planalto / Flickr

Il primo è sempre quello del Presidente, perché nel bizantino sistema delle Cop chi la presiede ha un grande potere. Per darvi un’idea, le decisioni si prendono col consenso. Che sembra l’unanimità, ma non lo è. Una decisione è presa quando il Presidente ritiene che nessuno Stato abbia davvero una forte opposizione a quel tema. Capite che c’è una discrezionalità enorme.

Quest’anno il grande capo si chiama André Corrêa do Lago. Ha 66 anni ed è un diplomatico con un quarto di secolo d’esperienza nelle negoziazioni climatiche. E’ brasiliano, perché la presidenza spetta sempre al Paese che ospita. Pare voglia incontrare i movimenti che si stanno riunendo fuori dalla sede della Cop per discutere con loro. E al contempo sembra che punti all’alleanza con banche e privati. Questa ambiguità – di lotta e di finanza, per parafrasare un vecchio slogan italiano – è anche la cifra dell’ambiguità del suo governo, quello brasiliano.

Lula Ignacio da Silva, presidente del Brasile, è un altro grande protagonista. È uno che da un lato si è fatto eleggere promettendo contrasto senza quartiere alla deforestazione, dall’altro investendo come mai prima d’ora nel petrolio e aderendo all’Opec+, il cartello dei produttori di greggio. Il blocco brasiliano, oltre ai capi-negoziatori ufficiali, lo completa Marina Silva, l’attivista ecologista fatta ministra dell’Ambiente da Lula. Rappresenta l’anima verde di questo governo un po’ verde e un po’ nero.

Li Gao: c’è un nuovo sceriffo in città?

membri della delegazione cinese alla cop30 di belém Kiara Worth Un Climate Change
Membri della delegazione cinese alla Cop30 di Belém © Kiara Worth/Un Climate Change

Uscendo dallo spezzone brasiliano, un altro grande nome è quello di Li Gao, il capo negoziazione cinese. Questa è la prima Cop a cui gli Stati Uniti sostanzialmente non si presentano. E molti si chiedono se Pechino farà un passo per far vedere che c’è un nuovo sceriffo in città. E sono loro. Ma la metafora dello sceriffo è americana, non cinese. E la diplomazia asiatica ci ha abituato a tanta lentezza. Li Gao è al suo primo anno da capo negoziazione, ma è vice-ministro dell’Ambiente e sta nel giro delle Cop da un ventennio.

Per ora, ha messo in chiario due obiettivi. Primo, fare il sindacalista della “maggioranza globale” (espressione che proprio la Cina ha portato alla ribalta alcuni mesi fa per sostituire quella di “Sud globale”), convincendo l’Europa e gli altri ricchi a sganciare soldi per la transizione. Secondo – e questo dà la misura di quando sta cambiando il mondo – combattere il protezionismo statunitense (e in parte europeo). Per esempio chiedendo che i dazi non si applicano ai beni necessari alla transizione. Il Partito Comunista Cinese come massimo alfiere mondiale del liberoscambismo è una storia interessante. Ma non ci entriamo ora.

Wopke Hoekstra: il panda a capo della delegazione europea

Wopke Hoekstra © Ministerie van Buitenlandse Zaken/Wikimedia Commons

L’olandese Wopke Hoekstra è il capo negoziatore dell’Unione europea. E parla anche per noi, perché i 27 alla Cop si presentano uniti. Hoekstra è un moderato, uno di quelli che dice che possiamo far crescere il Pil senza sacrificare troppo il clima. Praticamente è un panda, una specie in via di estinzione. In un momento in cui anche le destre cosiddette moderate stanno inseguendo posizioni se non negazioniste, quantomeno molto rallentiste, diciamo così.

La sua nomina a Commissario del clima venne peraltro accolta non esattamente con entusiasmo. Perché prima di darsi alla politica aveva lavorato per la multinazionale petrolifera Shell. Ha decisamente meno esperienza di Corrêa do Lago e Li Gao, e rappresenta un pezzo di mondo che continua a presentarsi come alfiere della transizione, ma a casa è sempre meno ambizioso. Vedremo che saprà fare. 

Mohammad Ayoub: il Messi dell’inazione climatica

Mohammad Ayoub
Mohammad Ayoub © IISD/ENB | Anastasia Rodopoulou

Il sesto nome è quello di Mohammad Ayoub, il capo della delegazione saudita. Lui è un talento vero, il Messi dell’inazione. Potreste pensare che il petro-Stato per eccellenza, l’Arabia Saudita, si disinteressi delle Cop. Ma è il contrario.

I diplomatici di Riad sono raffinatissimi. E hanno sviluppato nei decenni un’infinità di tecniche per sabotare qualunque risultato tangibile. Se ci sono voluti quasi trent’anni perché nei documenti ufficiali delle Cop si nominassero i combustibili fossili è soprattutto grazie a Ayoub e alla sua squadra.

Tina Stege: la portavoce molto vocale della High Coalition Ambition

Tina Stege, in alto a sinistra © Scottish Government/Wikimedia Commons

Dal lato opposto della barricata c’è Tina Stege – la seconda donna che nominiamo, e che siano così poche ci dice già qualcosa del nostro mondo. Lei è l’inviata speciale per il clima delle Isole Marshall. Uno stato insulare del Pacifico con meno abitanti di Cosenza e un Pil che è una frazione di quello della Valle d’Aosta.

Parliamo di lei perché è la portavoce molto vocale della High Coalition Ambition. Un gruppo negoziale che riunisce – quando funziona, cioè non sempre – i Paesi europei e altre economie sviluppate coi piccoli Stati insulari e altre nazioni povere ma, appunto, ambiziose. Chi le vuole male dice che è poco più di una interposta persona per gli europei, soprattutto dei leader un pochino più attenti al tema come Macron e Sanchez. Chi le vuole bene dice che, al contrario, ha saputo ritagliare un ruolo a Paesi che altrimenti non toccano palla. Di certo, di lei parleremo.

Ali Mohamed: alla Cop30 in nome del Kenya e dei Paesi africani, con obiettivi chiari

Ali Mohamed © Fredrick Onyango/Wikimedia Commons

Un altro nome che di sicuro non conoscete ma che si farà notare è quello di Ali Mohamed. Lui rappresenta il Kenya, la nazione di cui è diplomatico, ma soprattutto il gruppo dei Paesi africani, che come gli europei alle Cop si presentano uniti. Mohamed è un tipo piuttosto duro, quando serve. Grazie anche a lui il Kenya ha ospitato l’African Climate Summit. Il vertice dove tutti i Paesi del Continente hanno concordato una linea comune in vista di Belém. E anche uno dei round dei negoziati Onu sulla plastica.

Il suo obiettivo è chiaro. Tasse su alcune delle cose che fanno gli occidentali, specie quelli ricchi, come volare in aereo e ottenere rendite finanziarie, per finanziare la transizione nei paesi poveri. Idee che piacciono poco ai leader europei e pochissimo a Trump, ovviamente. Sulla mitigazione, quindi la riduzione delle emissioni, il suo blocco è flessibile: più soldi ci garantite, più noi possiamo parlarne.

Gustavo Petro e gli altri leader sudamericani

Gustavo Petro © Programas Telemedellín/Wikimedia Commons

Tra coloro che non sono negoziatori in senso stretto, ma di fatto contano, c’è quello che qualcuno chiama “il blocco latinoamericano”. Le Americhe del Sud e Centrale non sono esattamente il centro politico del mondo, ma a questa Cop contano – un po’ perché giocano in casa, un po’ perché sono l’ultimo continente con molti governi di sinistra. Il più ambizioso tra loro è sicuramente Gustavo Petro, l’economista socialista che guida la Colombia. E ha fermato le nuove estrazioni di fossile in un Paese che esporta carbone e gas.

Accanto a lui ci sarebbero altri. Gabriel Boric in Cile, Claudia Sheinbaum in Messico. Ma ognuno coi suoi limiti: Boric è più ecologista ma ha un governo ora molto debole; Sheinbaum è una delle presidenti più popolari al mondo e anche una ex-scienziata dell’Ipcc, l’organo scientifico per il clima dell’Onu. Ma governa un Paese il cui bilancio dipende molto da Pemex, la grande industria petrolifera di Stato. 

Donald Trump: il boicottatore della Cop30

Donald Trump © Gage Skidmore/Flickr

Infine, non possiamo non nominare il grande assente: Donald Trump. Lui ovviamente non ci sarà. Ma alla Cop ha comunque un obiettivo: boicottare. Quando ha parlato all’assemblea generale delle Nazioni Unite, ha affermato molto chiaramente che il multilateralismo – quella cosa per cui ci sediamo tutti allo stesso tavolo e discutiamo – non gli piace. E la transizione ecologica ancora meno. A Washington lui seguirà con attenzione quello che succede, sperando vada il peggio possibile: nessun esito è per lui il miglior esito.

Nota conclusiva. Fuori dai negoziati dove stanno tutti loro, ci saranno i movimenti per il clima, specie quelli latinoamericani e specie quelli indigeni. Loro stanno giocando un’altra partita: non tanto influenzare questa Cop, ma dimostrare che sono ancora vivi. Che possono ancora fermare progetti, spostare voti, cambiare flussi di capitali. In una parola: contare.


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