Cop30 di Belém: mai così tanti lobbisti delle fossili

Alla Cop30 record di lobbisti fossili: un partecipante su 25, con gravi rischi di influenza sulle decisioni sul clima

© Kiara Worth/UN Climate Change

C’è qualcuno che alle Cop, le conferenze delle Nazioni Unite sul clima, timbra sempre il cartellino. Ma per il bene dei negoziatimolto probabilmente sarebbe meglio restasse a casa, come del resto chiedono a gran voce in tanti. Stiamo parlando dell’esercito dei lobbisti delle fossili.

Alle Cop la lobby fossile non manca mai

La presenza dei lobbisti delle società dell’industria fossile è stata una costante delle ultime Cop. Ovviamente è vista come fumo negli occhi da tutti gli altri. Perché non si capisce come l’industria fossile che è la principale responsabile delle emissioni di gas serra possa sedersi al tavolo per discutere di strategie di riduzione delle emissioni e di abbandono delle fossili stesse. Quando è risaputo che essa continua a fare di tutto per rallentare la transizione ecologica e proseguire col business as usual che sta arrostendo il Pianeta.

Non si contano, ad esempio, le volte in cui il Segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha tuonato contro l’industria fossile: «Gli attivisti per il clima vengono talvolta descritti come pericolosi radicali – è una delle sue affermazioni più citate, di qualche anno fa –. Ma i radicali davvero pericolosi sono i Paesi che stanno aumentando la produzione di combustibili fossili. Investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è una follia morale ed economica».

Si sperava che in Brasile sui lobbisti fossili ci fosse un giro di vite. Anche perché con la Cop30 si era interrotta la striscia di conferenze ospitate dai petro-Stati Dubai (sede della Cop28) e Azerbaigian (Cop29). E invece no.

Cop30 di Belém: record storico di lobbisti fossili

A Belém è stato segnato un nuovo record: un partecipante su 25 è un lobbista delle fossili. Sono 1.600 i lobbisti dell’industria fossile ai quali è stato concesso di partecipare. Se fossero una delegazione nazionale, sarebbe quella col maggior numero di rappresentanti, se si esclude la delegazione del Paese ospitante, il Brasile, che ne ha più di 3.800.

In termini assoluti la presenza dei lobbisti fossili era stata superiore sia a Baku (1.773), sia in Dubai (2.456). Ma in termini percentuali quella di Belém è la più alta concentrazione di lobbisti fossili da quando il monitoraggio è stato attivato. Addirittura si è segnato un +12% rispetto all’ultima Cop. Non solo: se si pensa che la crisi climatica sta colpendo di più le aree del mondo che ne sono meno responsabili, il “Sud del mondo”, non si può che definire una vergogna il fatto che i lobbisti fossili abbiano ricevuto per la Cop30 il 66% di pass in più rispetto ai 10 Paesi più vulnerabili, che tutti insieme superano di poco i mille delegati. Le Filippine, ad esempio, teatro di recenti tifoni che hanno ucciso centinaia di persone, sono in Brasile con una delegazione quasi 50 volte meno numerosa dei lobbisti fossili.

A fare questi conti dal 2021 è la coalizione internazionale Kick Big Polluters Out (Kbpo), che comprende 450 organizzazioni. Kbpo mette a disposizione su richiesta l’intera lista dei 1.602 lobbisti fossili presenti a Belém. Dalla Cop26 di Glasgow ne ha contati oltre 7mila. «L’ennesima “invasione” di una Cop da parte di manager fossili è intollerabile – ha dichiarato Daniela Finamore della ong italiana ReCommon, membro di Kbpo –. L’obiettivo di questi “personaggi” è garantirsi altri decenni di petrolio, gas e mega infrastrutture Gnl (gas naturale liquefatto) spacciate come transizione. O si caccia l’industria fossile dalle Cop, o la crisi climatica continuerà a essere scritta da chi ne trae profitto».

L’Italia del fossile arriva in forze alla Cop30

ReCommon ha analizzato in particolare la presenza a Belém dei lobbisti fossili italiani, in tutto 17. Tre esponenti di Feem (Fondazione Eni Enrico Mattei, collegata a Eni), due di Confindustria, quattro di Acea (che, come ricorda sempre ReCommon, sta puntando con decisione su progetti per lo sfruttamento del gas), sei di Enel, uno di Edison (tra le società più attive nell’import di Gnl in Italia), e uno della Venice Sustainability Foundation, fondazione presente alla Cop30 col suo direttore generale, dipendente di Snam che è leader italiano ed europeo delle infrastrutture gasiere.

Robusto è anche il contingente di esponenti di organizzazioni di lobbying. Che annoverano fra i loro membri anche Eni e Snam e promuovono soluzioni, quali i biocarburanti o la ccs (cattura e stoccaggio del carbonio), molto criticate riguardo alla loro effettiva capacità di contrastare la crisi climatica. «Stanno promuovendo “soluzioni” che vanno bene per i loro affari – è il commento di Elena Gerebizza di ReCommon – ma non per le persone e il clima e che dovrebbero essere etichettate come greenwashing per l’espansione dell’estrazione di petrolio e gas che continua ad avvenire».

Trasparenza e conflitto di interessi: il nodo irrisolto delle Cop

Sembra che questo esercito di lobbisti fossili non si riesca a fermare. Da tempo si chiedono più trasparenza e vincoli. Ma evidentemente non c’è la volontà. Sebbene tutti siano consapevoli, organizzatori delle Cop in testa, che ciò rappresenta un vulnus enorme alla credibilità delle Conferenze.

Elisa Morgera, relatrice speciale delle Nazioni Unite su clima e diritti umani, ha parlato di inconciliabile conflitto di interessi fra le Cop e l’industria fossile e fa parte della trentina di esperti Onu che proprio all’inizio della Cop30 hanno rilasciato una dichiarazione che ribadiva la necessità di limitare la presenza dei lobbisti fossili, stigmatizzandone l’indebita influenza.

Ormai per la Cop30 è tardi. Vedremo se per la Cop31 qualche porta che per i lobbisti delle fossili è sempre stata aperta inizierà una buona volta a chiudersi.

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