Ilva, storica sentenza della Corte di giustizia europea

Un precedente europeo in difesa della salute e dell'ambiente: la battaglia legale dei cittadini tarantini e il ruolo della direttiva sulle emissioni industriali

Rosy Battaglia
La città di Taranto © KonstantinMaslak/iStockPhoto
Rosy Battaglia
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Dopo le cinque condanne della Corte Europea per i Diritti umani (CEDU)  tra il 2019 e il 2022, anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea, il massimo organo giurisdizionale del nostro ordinamento, ha emesso una sentenza storica contro le violazioni della direttiva sulle emissioni industriali compiute dallo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto. Violazioni sulle quali è in corso anche l’iter di una procedura di infrazione della Commissione europea

Le azioni legali dell’Associazione Genitori Tarantini

«Se presenta pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute umana, l’esercizio dell’acciaieria Ilva dovrà essere sospeso», affermano i giudici del Lussemburgo, ribadendo che spetta al Tribunale di Milano stabilirlo. Una sentenza emessa lo scorso 25 giugno che crea un precedente, a livello europeo, in merito alla causa “C-626/22 | Ilva e a.”, promossa da dieci persone dell’Associazione Genitori Tarantini e un bambino di 11 anni affetto da una rara malattia genetica, contro Ilva Spa in amministrazione straordinaria, Acciaierie d’Italia Holding Spa e Acciaierie d’Italia Spa. 

«Ora attendiamo la convocazione per la prossima udienza dal Tribunale di Milano per questo primo procedimento di carattere inibitorio, in cui abbiamo chiesto la sospensione delle attività dello stabilimento», dichiara a Valori.it Massimo Castellana, il portavoce dell’associazione. Sono infatti due i procedimenti legali in corso promossi dai Genitori Tarantini. «Il secondo è la class action risarcitoria sottoscritta da 136 cittadini, in cui si chiede risarcimento del danno ambientale e sanitario prodotto dal siderurgico, finora. La prima udienza di convocazione delle parti è stata fissata sempre dal Tribunale di Milano, sezione imprese, per il 17 ottobre prossimo».

L’importanza della sentenza sull’Ilva per il diritto comunitario

Ma che cosa dice esattamente la sentenza della Corte di Giustizia Ue e perché è così importante per il diritto comunitario? L’avvocato Maurizio Rizzo Striano, legale delle parti che hanno promosso l’azione inibitoria insieme all’avvocato Ascanio Amanduni, afferma: «La Corte di Giustizia europea, rispondendo alla domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Milano del 3 settembre 2022, sottolinea, anzitutto, “lo stretto collegamento tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana, che costituiscono obiettivi chiave del diritto dell’Unione, garantiti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” e rammenta come “la direttiva sulle emissioni industriali contribuisca al conseguimento di tali obiettivi e alla salvaguardia del diritto di vivere in un ambiente atto a garantire la salute e il benessere”». 

Rizzo Striano ribadisce come sia proprio sulla nozione di «inquinamento» che si è creato il discrimine tra il governo italiano e l’Unione europea. Come si legge nella sentenza, «secondo il governo italiano, la direttiva non fa alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario», mentre la Corte rileva che la nozione di “inquinamento” ai sensi di tale direttiva «include i danni tanto all’ambiente quanto alla salute umana». 

Un concetto per nulla scontato per i governi italiani che, dal 2012 a oggi, hanno emesso almeno 16 decreti cosiddetti “Salva ILVA” per permettere allo stabilimento di funzionare e produrre acciaio, nonostante il sequestro degli impianti, senza facoltà d’uso, da parte della magistratura tarantina, avvenuto nel luglio del 2012. 

I decreti “Salva-Ilva”, le norme speciali e le Autorizzazioni integrate ambientali (AIA)

«Le Autorizzazioni integrate ambientali (AIA), l’ultima delle quali scaduta ad agosto 2023, le procedure amministrative emesse dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e da Ispra per permettere agli impianti di funzionare non hanno previsto alcuna procedura di Valutazione preventiva di impatto sanitario (VIS), né hanno acquisito agli atti del procedimento di rinnovo-riesame dell’AIA, le Valutazioni di  danno sanitario (VDS) già esistenti, cioè ex-post la produzione. Report che in ogni caso non lasciano dubbi sull’impatto dell’impianto sulla salute dei tarantini», sottolinea Rizzo Striano.

Ma come è stato possibile tutto ciò? Come scrivono i giudici nella sentenza, «le norme speciali applicate all’acciaieria Ilva hanno consentito di rilasciarle un’autorizzazione ambientale e di riesaminarla senza considerare talune sostanze inquinanti o i loro effetti nocivi sulla popolazione circostante».  Mentre, sottolinea l’avvocato Rizzo Striano, «la Corte di giustizia rileva che il gestore di un’installazione deve fornire, nella sua domanda di autorizzazione iniziale, informazioni relative al tipo, all’entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni che possono essere prodotte dalla sua installazione».

Non possono più essere create norme ad hoc, quindi, per rendere accettabili le emissioni nocive e permettere la continuità produttiva . «Solo le sostanze inquinanti che si ritiene abbiano un effetto trascurabile sulla salute umana e sull’ambiente possono non essere assoggettate al rispetto dei valori limite di emissione nell’autorizzazione all’esercizio», dice chiaramente la Corte.  

L’omessa valutazione preventiva di impatto sanitario

Pertanto, precisa l’avvocato Rizzo Striano, «la valutazione preventiva dell’impatto dell’acciaieria Ilva deve essere un atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio, previsti dalla direttiva europea. E deve rispettare tutte le norme, compresa quella delle direttiva sulla qualità dell’aria sulla quale il nostro Paese è già stato condannato». Nel procedimento di riesame dell’AIA occorrerà considerare tutte le sostanze inquinanti connesse all’attività dell’installazione, oltre che il loro effetto cumulativo. «Questo dovrà avvenire anche se non sono state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale. La Corte è chiara: in caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, l’esercizio dell’acciaieria ILVA dovrà essere sospeso».

Mentre Acciaierie d’Italia ha prodotto una propria Valutazione di impatto sanitario, resa nota alla stampa proprio qualche giorno prima della sentenza della Corte di Giustizia europea, negli anni i vari enti di controllo e le massime istituzioni sanitarie locali, regionali e nazionali hanno prodotto diversi rapporti epidemiologici che quantificano l’impatto di perdita di salute della popolazione tarantina. Rapporti leggibili sul sito del Mase dedicato all’Osservatorio ILVA di Taranto, dove si trovano le valutazioni di danno sanitario emesse negli anni 2017, 2021 e 2023 da Arpa Puglia, insieme all’Agenzia per la Salute della Regione Puglia e dall’ASL di Taranto. A cui si aggiunge la “Valutazione dell’impatto sanitario delle attività dell’impianto siderurgico di Taranto” dell’Organizzazione mondiale della sanità, pubblicata a dicembre 2023, che correla il numero di morti a ogni tonnellata di acciaio prodotta.

La ricaduta dell’inquinamento dell’Ilva sulle madri e i bambini di Taranto

Senza dimenticare lo storico report dell’Istituto superiore di sanità, lo Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento (Sentieri), che fornisce da un decennio il quadro di inquinamento persistente che è tra le cause di malattie oncologiche precoci tra bambini e adulti, come si legge nell’ultima valutazione di danno sanitario del 2023.

Eppure, lo stesso Istituto superiore di sanità ha ammesso, rispondendo alla richiesta FOIA di chi scrive, lo scorso 3 novembre, di «non aver effettuato attività di sorveglianza sanitaria sulla presenza di diossine nel latte e nel sangue materno, nei tessuti adiposi delle donne di Taranto residenti nei quartieri prospicienti lo stabilimento». Quando invece un precedente rapporto conferma la presenza di una molecola chimica, il 2,3,4,7,8-pentaclorodibenzofurano, che «può essere considerato un marcatore di attività industriali di carattere metallurgico».

Lo studio, messo a disposizione dell’Ordine dei Medici della provincia di Taranto che lo aveva chiesto per anni invano, è l’esito di una prescrizione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale che risaliva al 2012. La prescrizione 93 imponeva, infatti, all’allora ILVA Spa di commissionare una campagna di biomonitoraggio per determinare la concentrazione di diossina e PCB nel latte materno nelle aree circostanti all’impianto.

Entro sei mesi, l’azienda avrebbe dovuto concordare modalità e realizzare uno studio che monitorasse i licheni, l’ozono, gli inquinanti organici persistenti (diossine) secondo le indicazioni OMS e FAO con verifica di PCDD/F, PCB nel latte e sangue materno, nel pesce, nei bovini e negli ovini e nei tessuti adiposi. La campagna di biomonitoraggio sul latte materno non è stata più effettuata, per stessa ammissione dell’Istituto Superiore di Sanità.  

La situazione attuale dello stabilimento e delle inchieste giudiziarie e giornalistiche

A oggi, nonostante la diminuzione della produzione, lo stabilimento di Taranto continua a produrre sostanze nocive, con un preoccupante aumento dei livelli di benzene, noto cancerogeno, rilevato da Arpa Puglia e Ispra. Il professor Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, lo ha denunciato alla Commissione Petizioni del Parlamento europeo l’8 aprile 2024.

Intanto Acciaierie d’Italia Spa, la partecipata costituita tra AM InvestCo Italy Spa (la società affittuaria dei rami di azienda di Ilva in amministrazione straordinaria creata ad hoc dalla multinazionale anglo-indiana ArcelorMittal) e Invitalia (partecipata interamente dal Ministero dell’economia e delle finanze italiano), è stata dichiarata insolvente il 29 febbraio 2024 dal Tribunale di Milano.

Ma mentre i commissari ministeriali designati dal ministro D’Urso lo scorso primo marzo cercano nuovi gestori del siderurgico, che ha raggiunto il minimo storico della produzione e diversi altoforni fermi per manutenzione, fioccano nuove inchieste della magistratura. Oltre il secondo grado di giudizio del processo Ambiente Svenduto, le cui udienze sono partite nello scorso mese di aprile, si parla già di “Ambiente Svenduto bis”, con gli estremi di una truffa sulle quote di CO2, inquinamento ambientale e rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni, che ha portato la magistratura inquirente a perquisizioni nei confronti di 10 indagati, tra i quali l’ex AD di Acciaierie d’Italia Lucia Morselli.

Secondo quanto trapelato dalla stampa, l’accusa è di aver attestato nel piano di monitoraggio e rendicontazione al Comitato Ets (Emission Trading System) falsi quantitativi di consumi di materie prime (fossile, gas ecc.), di prodotti finiti, semilavorati e giacenze e quindi alterato il “fattore di emissione” e il “livello di attività” per ottenere un maggior numero di quote.

Il costo sociale dell’inquinamento a Taranto secondo l’Agenzia europea per l’ambiente

Proprio nell’ultima inchiesta europea del network investigativo Corrective.Europe e Cittadini Reattivi sull’impatto dell’inquinamento industriale è emerso, dai dati forniti in esclusiva dall’Agenzia europea per l’ambiente, come lo stabilimento di Taranto costi alla collettività in termini impatto sanitario, ambientale e climatico, con morti premature, malattie e danni all’ecosistema, più di un miliardo di euro l’anno. Per la precisione 1.135.702.144 euro. Di cui ben 393 milioni all’anno per la mortalità dovuta all’esposizione ai principali inquinanti atmosferici, stimata traducendo in valore economico gli anni di vita persi dalla popolazione esposta. Danni che superano la somma del Fondo per la transizione giusta (Just Transition Fund) messa a disposizione dalla Commissione europea proprio su Taranto, pari a 795,6 milioni di euro.

Un quadro drammatico per i cittadini e per le migliaia di lavoratori in cassa integrazione, primi esposti alle emissioni tossiche, che ha portato l’Onu, attraverso l’indagine dello UN Special Rapporteur on toxics and human rights Marcos Orellana, a definire Taranto nel gennaio del 2022 come una «zona di sacrificio». Una delle più inquinate e vessate dall’ingiustizia ambientale dell’intero pianeta Terra. 

A fronte di tutto ciò, le conclusioni dell’avvocato Maurizio Rizzo Striano: «Il giudizio che dovrà rendere il Tribunale di Milano sull’attuale pericolosità degli impianti non potrà che essere, proprio in conseguenza del quadro attuale, quello di ordinare la sospensione dell’attività».